Febbraio: un viaggio nel tempo tra antichità e tradizioni

Esplorando le radici del mese più breve dell’anno

Rocco Michele Renna

Il mese di febbraio, con i suoi 28 o 29 giorni, è un piccolo scrigno di storia e tradizioni. Il suo nome affonda le radici nel latino “februare,” che si traduce in “purificare” o “un rimedio agli errori”. In epoca romana, febbraio era il momento dei rituali di purificazione, celebrati in onore del dio etrusco Februus e della dea romana Febris. Il culmine di questi riti pagani avveniva il 14 febbraio, un giorno che sembra essersi trasformato nel moderno San Valentino, soppiantando l’antica devozione a Santa Febronia.

Mosaico pavimentale da Thysdrus (el-Djem). Databile al III secolo d.C. Museo di Sousse.

Curiosamente, febbraio e gennaio furono gli ultimi mesi ad essere aggiunti al calendario romano. Gli antichi romani consideravano l’inverno un periodo senza mesi, e fu solo nel 700 a.C. che Numa Pompilio decise di inserirli per allineare il calendario al ciclo solare. Originariamente, febbraio conteneva 29 giorni (o 30 in un anno bisestile).

Un fatto interessante è che Augusto, l’imperatore romano, decise di togliere un giorno a febbraio per aggiungerlo ad agosto, il mese che porta il suo nome. L’intento era di equiparare il numero di giorni di agosto a quelli di luglio, dedicato a Giulio Cesare. Nominalmente, febbraio era l’ultimo mese dell’anno romano.

Il termine “februm,” di origine sabina, significa purificazione ed è presente nei sacrifici antichi. La citazione “Februm Sabini purgametum, et id in sacris nostris verbum non” evoca l’antico legame tra febbraio e i riti di purificazione.

Va notato che, a causa delle imprecisioni nei calcoli calendariali antichi, i sacerdoti romani occasionalmente inserivano un mese di intermezzo chiamato “Mercedonius” per riallineare il calendario alle stagioni.

In conclusione, febbraio si presenta come un mese intriso di storia e significato, con radici che si intrecciano tra antiche celebrazioni pagane e adattamenti successivi nel contesto romano. Un viaggio nel tempo attraverso le sue origini ci offre una prospettiva affascinante sulla ricca storia del nostro calendario.

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