Il caffè con il lettore

Un’ex soldatessa giapponese vince la causa ed ottiene la condanna di commilitoni che la molestarono ai limiti della violenza sessuale

Gianvito Pugliese

La notizia arriva da Fukushima in Giappone. Un tribunale giapponese ha pronunziato oggi un verdetto di condanna nei confronti di tre ex soldati ed ex commilitoni della vittima, rei di “aver aggredito sessualmente una collega”.

Questa donna coraggiosa, denunziandoli e chiedendo di ottenere giustizia, sostiene la Reuters, “ha sfidato i tabù di una società tradizionale dominata dagli uomini“. Ma la sfida ha avuto successo e sarà un precedente che incoraggerà moltissime donne a smettere di sopportare e denunciare a loro volta.

La vittima, Rina Gonoi, una 24enne ex membro delle forze di autodifesa, aveva denunziato un sopruso avvenuto nel 2021 durante il suo periodo di permanenza nell’esercito. Era stata, infatti, immobilizzata da tre colleghi maschi che hanno simulato un atto sessuale su di lei.

Gli imputati si sono difesi negando che “i loro atti costituissero violenza sessuale“. I tre ex commilitoni di età compresa tra i 29 e i 31 anni, sono apparsi indifferenti quando il giudice ha dato lettura del verdetto, che ha comminato ai tre una pena sospesa di due anni.

Gonoi, ai giornalisti che l’hanno attesa all’uscita del Tribunale: “Penso che sia stato un bene per la società giapponese che la corte abbia emesso un verdetto di colpevolezza e abbia accettato le mie affermazioni fin dall’inizio“. Il giudizio si è svolto dinanzi al tribunale distrettuale di Fukushima, circa 250 chilometri (155 miglia) a nord di Tokio.

Gonoi ha proseguito sostenendo che il verdetto “dimostra che non è giusto fare cose per ridere, che tali atti sono un vero crimine“.

Gonoi, ha anche precisato “di essere stata sottoposta a persistenti molestie dopo essersi arruolata nel 2020, e che i tre uomini l’hanno immobilizzata a terra, le hanno aperto le gambe e le hanno premuto i genitali contro nella simulazione di un atto sessuale“.

Lei si lamentò dell’affronto subito con i suoi superiori, ma in seguito quando vide che non era stata intrapresa alcuna azione in merito, ha deciso di lasciare l’esercito.

Gonoi, vista l’indifferenza dei suoi superiori ha, altresì, reso pubbliche le sue accuse nel 2022, “una mossa rara in una società conservatrice in cui parlare apertamente contro la violenza sessuale è rimasta in gran parte un tabù” sostiene un Collega.

Il ministero della Difesa giapponese, all’esito del giudizio, ha chiesto scusa pubblicamente, precisando che “cinque uomini collegati all’incidente sono stati licenziati e altri quattro puniti, di aver avviato un’ampia indagine sulle molestie nei confronti dell’esercito e delle entità collegate all’esercito che ha rilevato più di 1.400 denunce”.

Gonoi ha ottenuto riconoscimenti internazionali da Time Magazine alla British Broadcasting Corp, ma in patria, continua il Collega “è stata bersaglio del vetriolo online“. I leoni della tastiera sono diffusi in tutto il mondo come la gramigna e la malerba.

Chelsea Szendi Schieder, docente di storia giapponese. presso l’Università Aoyama Gakuin di Tokyo: “In Giappone gli ostacoli per poter uscire allo scoperto pubblicamente sono incredibilmente alti e questo ha a che fare con… il tipo di reazione che una donna riceve quando parla di questi problemiÈ un verdetto davvero importante che spero spinga molte organizzazioni in Giappone a rivalutare i propri sistemi interni“.

Gonoi aveva, comunque, già primo dell’esito favorevole della denuncia, iniziato una causa civile contro i suoi ex colleghi e il governo, con richiesta di risarcimento dei danni anche a causa dell’inerzia, nonostante le sue denunce.

Questo è un momento difficile per il Giappone, alla ricerca di reclutare più donne soldato nelle sue forze per rafforzare l’esercito e così scoraggiare la Cina sempre più aggressiva e la Corea del Nord in possesso di armi nucleari.

Care/i ospiti del caffè di questa mattina, in cui il caffè l’ho dovuto preparare due volte, dato che la prima -per insufficienza di grani da macinare- era riuscito una gileppa, e l’abbiamo buttato via, la cultura, se di cultura di può parlare, della sottomissione della donna, purtroppo è largamente diffusa in tutto il mondo. Rarissime, m’insegnate le società matriarcali che hanno visto le donne al comando.

Ovviamente, la gamma di violenze e sopraffazioni varia e se ne potrebbe stilare una sorta di graduatoria. Così passiamo dall’Iran dei talebani, dove la donna, obbligata al capo coperto col hijab, che se non lo indossa correttamente rischia di essere uccisa a frustate dalla guardia morale, come pure se prova a studiare ed imparare una professione, ad una serie di paesi dell’Africa centrale e meridionale, dove l’uomo guerriero deve solo difendere la famiglia da aggressioni, ma tutti i lavori, dal primo all’ultimo, sono compito della povera donna, che deve anche accudire decine di figli “regalati” dal nullafacente guerriero, che non avendo appunto nulla da fare e neanche la televisione, si sollazza diversamente.

Qui siamo all’estremo, ma non è che nel resto del mondo esistano tanti i luoghi in cui la parità di diritti e doveri tra uomo e donna, vantata sulla carta e sui proclami elettorali, si sia effettivamente concretizzata. Un solo esempio: in Europa, il continente più evoluto, da donna a parità di mansioni e risultati dell’uomo riceve uno stipendio pari a due terzi rispetto a quello del secondo.

Non accusatemi di essere un mangiapreti per quanto sto per dire, anche se in realtà lo sono. Delle tre religioni monoteiste quella che meno infierisce sulla donna è la religione cristiana. Le deformazioni dell’Islam le abbiamo accennate e quanto agli ebrei assistere ad un matrimonio ti fa capire che la donna ha una vita da schiava e da esserla del padre diventa del marito. Quella mano sul capo scambiata tra i due non simboleggia e significa nulla di diverso.

Noi conosciamo più il cattolicesimo che l’ortodossia o il protestantesimo. Ebbene in tutte e tre le suddivisioni compresa la cattolica nella gerarchia della chiesa la donna non conta. Non può recitar messa, impartire la comunione, accostarsi alla confessione. Non poteva neanche studiare nelle scuole. Il meraviglioso film “La Papessa” fa una fotografia di quei costumi straordinariamente istruttiva. Certo ci sono le badesse, a capo dei conventi femminili, ma guardate caso chi comanda veramente è il padre confessore. E se Papa Francesco, che molte cose ha rivoluzionato, alla parità sacerdote- suora non ha messo mano, significa solo che la ritiene giustamente “mission impossible” e che i poteri assoluti del Papa non caverebbero un ragno da un buco.

Scoprire che l’avanzatissimo industrialmente Giappone abbia ancora la mentalità dei tempi delle Geishe, dove le donne più fortunate, studiavamo solo come dare piacere e compagnia all’uomo. come al solito al centro del pianeta, è sconvolgente,

E da noi? Non dimentichiamo che fino a pochi anni fa la nostra legislazione prevedeva il delitto d’onore, riservato all’uomo tradito e, peggio, il ratto a fini di matrimonio. E se questa care/i ospiti é la base in cui si sono formati ed acculturati i nostri connazionali, la confusione tra amore e possesso è conseguenziale e di lì al femminicidio il passo non è breve, è brevissimo.

Occorre che il progresso e l’eguaglianza facciano passi da gigante, ma prima di tutto occorre lavorare sulle generazioni perché si evolvano davvero. Quando sento dire della ragazzina in mini gonna molestata o peggio, “ma se l’è cercata“, rimproveratemi pure, ma mi scappa la violenza, di solito solo verbale, ma prima o poi, chissà?

A domani.

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