Nonno raccontami quando hai visto la guerra…

Episodi e aneddoti di vita vissuta, quando il patrimonio di una memoria storica è testimonianza di una generazione

Cinzia Montedoro

Le ginocchia diventano il posto sicuro dove sedersi per ascoltare le storie di un nonno, che ha toccato con mano la crudeltà della guerra: i bambini con gli occhi sgranati ascoltano attenti, stupiti e increduli. Quello dei nonni un patrimonio di esperienze, di ricordi a volte frammentati, storie difficili da ingoiare, impossibili da dimenticare. Il loro, un tesoro di sapienza che grazie alla trazione orale può continuare, perché «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario».

Raffaele, un nome che lega due generazioni diverse, due epoche, nonno e nipote rispettivamente ottantacinque e sei anni, insieme, per raccontarsi, capire e riflettere. Nonno Raffaele, vive a Bisceglie da diversi anni, il nipotino frequenta la prima elementare e capita spesso che si confrontino su temi importanti. «La guerra, racconta nonno Raffaele, era paura… Quando ero bambino ricordo che l’attuale parte artigianale di Molfetta, era piena di zone destinate alle munizioni, io vivevo in campagna, o meglio ci accampavamo li, avevamo una casa a Molfetta ma il timore della guerra era grande e puntualmente ci rifugiavamo in quel porto “sicuro” dove è adesso l’Ipercoop. C’era solo una stanza e vivevamo in sei, quando scappavamo in campagna portavamo con noi i sacchi con la nostra roba, e ricordo quanto era difficile sopravvivere, anche mangiare, si perché non è come oggi che abbiamo pranzi ricchi, oggi è domenica tutti i giorni, ai tempi della guerra c’era il pane duro, si caro Raffaele! Il pane duro! Mia madre, la tua bisnonna, si svegliava la mattina alle quattro per impastare il pane, dopo, noi piccoli lo portavamo al forno, quelli di una volta, e a mezzogiorno lo ritiravamo, questo ce lo facevamo durare anche giorni, non buttavamo niente, non esisteva fare la spesa, come quella che facciamo, noi ci arrangiavamo con poco».

 «Caro Raffaele, io frequentavo proprio come te la scuola elementare e sai qual era una delle mie più grandi paure? Quando sentivamo le sirene suonare! Un po’ come quella che suona a Bisceglie a mezzogiorno, quella che sentivamo noi però, era un segnale di pericolo imminente, avevamo la paura che le bombe ci colpissero, era una sensazione davvero brutta, credimi! Per paura ci rifugiavamo in un bunker tutti insieme e solo quando terminava l’allarme, e potevamo sentirci “tranquilli”, ritornavamo in superfice, ma avevamo ancora tanta paura». «La guerra, nipote mio, non si può dimenticare, ricordo anche quando finì, la situazione rimase durissima, mancava tutto, e noi giovani dovemmo rimboccarci le maniche per ricominciare a vivere e a riprenderci quella serenità che meritavamo. Sai cosa penso. Raffaele, che oggi per quello che stiamo vivendo con la pandemia, il coronavirus, è come se ci fosse di nuovo una guerra, ma questa io penso sia più difficile! La guerra, la vedevamo, ci potevamo difendere, oggi invece? È tutto intorno a noi, ma noi non lo vediamo, questa purtroppo è una guerra invisibile e quindi più pericolosa.

Io penso. nipote mio. che tu come tanti altri bambini della vostra età dobbiate imparare da ciò che è avvenuto, avete un grande compito: raccontare anche ai vostri futuri figli e nipoti, la mia storia, la nostra storia, perché anche se per voi è lontana, quasi impossibile da capire, quello che è avvenuto potrebbe accadere nuovamente, noi giovani di allora avevamo dalla nostra parte la forza di reagire e di sopravvivere, la vostra generazione la deve trovare e non attraverso un telefonino o un computer…Quella forza è nel cuore! Continuate a tramandare la storia, noi siamo le vostre radici, voi i nostri rami». Ti voglio bene, Raffaele.

Distintivo di guerra destinato agli invalidi civili

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