Pjerin Gjoni, albanese lotta il Covid a Brindisi.

Medico, nato a Durazzo fu tra i migranti del 1991. Ora è al 118 di Brindisi.

GP

Bello raccontare storie come questa, che rinfrancano dopo che dalla mattina alla sera gli argomenti prioritari sono femminicidi, spaccio, rave party in zone rosse, Quando poi scrivi di politica, se vuoi essere onesto con i tuoi lettori, e per me non c’è altro modo di fare il giornalismo, la situazione si fa ancor più avvilente,

PJerin Gjoni, è nato a Durazzo, e d il 7 marzo 1991 fu uno dei 24 mila che in massa sbarcarono a Brindisi. Era già laureato in medicina in Albania, ma per rimanere ed esercitare in Italia ha dovuto rifare tutti gli studi, gli esami universitari e le abilitazioni. Oggi i nostri studenti che per numero chiuso o altro non possono studiare in Italia vanno in Albania a laurearsi e poi si fanno omologare il titolo di studio. La normativa nel ’91 era assai menio permissiva.

PJerin Gjoni,

Così il dottor Gjoni commenta il suo rapporto con l’Italia e con Brindisi in particolare: “E’ stata una mia scelta restare qui per ricompensare l’Italia, Brindisi, per quello che è stato fatto per me, per il mio popolo. Le luci della città restarono accese per tre giorni e tre notti, fummo accolti in casa dalla gente, io sono stato ospitato per un mese intero”. Indossare il camice al 118 in questo periodo è pericoloso: “E’ un modo per restituire almeno un po’ a un popolo che ha dato tanto, che merita di essere messo sul piedistallo per la sua solidarietà”.

Questa è l’immigrazione di cui andar fieri, questa l’immagine più alta e pura di “Italiani, brava gente”. Permettetemi un attimo di commozione da un lato e di stizza dall’altro quando vedo queste sane tradizioni messe in discussioni da bulli di periferia elevati a leader, e non mi riferisco ad uno soltanto.

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