Giorno 549 (26 agosto 20239

Affrontiamo due misteri della comunicazione: la scomparsa di Prigozhin e i tentennamenti americani sull’jnvasione russa

Orio Giorgio Stirpe

Prigo Pelato ci ha lasciato… Oppure no?

Ci sono molti punti poco chiari che lasciano la questione aperta. Innanzitutto, considerato che stiamo parlando di un’organizzazione (non di un individuo) estremamente efficace, capace, esperta e ben posizionata per acquisire informazioni riservate, appare strano che la Wagner si sia lasciata decapitare così facilmente dopo essersi esposta in maniera così imprudente (tutti e quattro i leader principali del gruppo sullo stesso aereo privo di scorta in volo proprio da Mosca a San Pietroburgo laddove tutto il mondo dava per scontato che Putin si sarebbe vendicato?).

In secondo luogo, non esistono fonti neutre che possano confermare il decesso di Prigozhin & Co.: abbiamo le dichiarazioni del Gruppo Wagner, che lo da per “abbattuto dalla contraerea di Putin” e giura vendetta, e quelle ufficiali delle autorità del Regime che hanno confermato il decesso delle persone riportate nelle liste di carico e confermandone le identità ad un tempo record, incompatibile con un serio esame del DNA. Difficile che le salme di persone precipitate da un aereo in fiamme siano ancora riconoscibili dopo l’impatto, e il fatto che a una mancasse un dito non mi pare una prova certa che si trattasse di Prigo Pelato.

In terzo luogo, è anche vero che la sopravvivenza ufficiale di Prigo con un Regime ancora in piedi non era compatibile con la figura di Putin come lo vede l’opinione pubblica: se davvero c’era stata una qualche riconciliazione volta a proiettare le capacità della Wagner verso l’Africa, occorreva che il personaggio Prigo scomparisse dalle scene, altrimenti avrebbe continuato ad oscurare l’Autocrate supremo.

Se queste considerazioni abbiano qualche fondamento, è impossibile dirlo: al momento si tratta di pura speculazione, e quindi la lascio alla considerazione di chi legge.

Tornando ai fatti: la PMC Wagner appare decapitata, in contemporaneità con l’eliminazione definitiva dalle scene pubbliche del generale Surovikin (che con la Wagner aveva un rapporto diciamo “complicato”) e di alcuni altri personaggi di alto grado dell’Armata Russa poco allineati con i vertici ufficiali.

Appare interessante osservare come al di sotto del duo Shoygu-Gerasimov (fra i quali non esista alcuna simpatia reciproca ma piuttosto una simbiosi professionale) fra i ranghi militari russi non sia sopravvissuto al suo posto praticamente nessun generale in carica il 24 febbraio 2022. Chiaro che una tale rotazione doveva essere prevista fin dall’inizio dal piano dell’”Operazione Militare Speciale”, e che rappresenti la dimostrazione di come tutto stia andando per l’appunto secondo il piano… (sarcasmo, questo mio, degno di Tom Cooper il “Sarcastosauro”).

Cosa succederà ora?

Stando alle prime informazioni giunte dalla Bielorussia, sembra che i campi in cui era ospitato il “nocciolo duro” della Wagner si stiano sciogliendo; sarà interessante vedere cosa succederà dell’ossatura dell’organizzazione paramilitare più potente della Russia. Ciò che rimane della sua gerarchia ha giurato vendetta: vedremo se si tratta di minacce vuote o reali.

Circa il personale, potrebbe seguire strade diverse: potrebbe sbandarsi semplicemente, oppure accettare di lasciarsi integrare nelle forze armate regolari, aderire ad altre PMC oppure trovare il modo di raggiungere l’Africa e tornare a fare il mercenario vecchio stile.

Un’ulteriore opzione, data la connotazione politica di estrema destra di molti componenti del gruppo, potrebbe essere perfino confluire nella fazione estremista della Legione Russia Libera, che combatte al fianco degli ucraini.

Infine, se le mie speculazioni iniziali trovassero riscontro, la Wagner potrebbe rimanere coesa e continuare ad operare all’estero a vantaggio del Regime sotto una leadership clandestina ma sostanzialmente invariata.

Quel che mi interessa maggiormente dire a questo punto però, è che quale che sia la verità sulla probabile dipartita di Prigo Pelato, è che questa rientra nei complessi giochi di potere interni al Regime di Putin. Giochi di potere estremamente complessi, in atto da diversi anni, e di cui noi possiamo osservare solo una minima parte, come per il famoso iceberg.

L’anno prossimo si terranno in Russia le elezioni presidenziali. Non si tratta certo di un evento democratico come lo intendiamo noi, e lo stesso Peskov lo ha candidamente ammesso; rimane però un momento delicato dal punto di vista politico per Putin, perché pur eliminando l’opposizione e controllando totalmente il processo elettorale, attraverso questo lui ha modo di verificare la propria presa reale sulla popolazione russa. Il sistema infatti è tale che anche se la rielezione per lui non è certamente a rischio, qualora il supporto reale nei suoi confronti risultasse inferiore alle attese si verrebbe comunque a sapere e questo minerebbe la sua autorità in maniera significativa non tanto davanti al popolo, quanto alla nomenklatura.

Se le forze armate sono completamente sotto controllo – almeno apparentemente – questo non vale per la nomenklatura stessa: quell’insieme di funzionari pubblici, oligarchi e tecnici che costituiscono l’ossatura del Regime. Come detto da tempo, Putin ha fatto il vuoto intorno a sé di possibili pretendenti al suo posto, circondandosi di mediocri incapaci di esercitare il proprio potere (come Shoygu o Peskov), oppure assicurandosi che chi mediocre non è non abbia alcun potere (come Gerasimov o la Nabiullina). Prigo era l’eccezione che doveva essere normalizzata, e in un modo o nell’altro, lo è stato.

Per schiacciare e neutralizzare l’opposizione “democratica”, Putin si è appoggiato sempre più alle fazioni più estremiste e nazionaliste della Russia, che pertanto si sono rafforzate alla sua “destra”, e rappresentano oggi l’unica possibile fonte di dissenso al Regime. Di fatto all’interno di tali fazioni (di cui alcune discendono direttamente dal vecchio substrato comunista e altre sono più o meno reazionarie o apertamente naziste) il malcontento sta crescendo a causa dei mancati successi militari, che in un’autocrazia come quella russa non possono non essere attribuiti all’Autocrate stesso.

Questo malcontento, in vista delle elezioni e alla luce della mancanza di prospettive di successi militari in Ucraina, rappresenta una minaccia per Putin. Una minaccia che può essere mitigata solo attraverso “purghe” come quelle a cui stiamo assistendo (vedi Surovikin & Co.), e che presumibilmente andrebbero a spiegare – al netto delle mie famose speculazioni – il caso di Prigo Pelato.

Così come la politica interna russa riverbera sul conflitto in Ucraina, lo stesso accade con quella americana.

Le elezioni presidenziali di novembre 2024 cominciano ad influire pesantemente su quanto avviene in America, e il caso Trump amplifica di molto tale peso.

Assistiamo infatti nelle ultime settimane ad un moltiplicarsi di “fughe di notizie” da Washington – prontamente riprese dai media mainstream e amplificate dai social – in cui fonti anonime dell’Amministrazione Biden esprimerebbero dubbi o addirittura pessimismo sull’andamento delle operazioni, adombrando un presunto allentamento del sostegno americano all’Ucraina.

Quello che colpisce – o dovrebbe colpire – di tali affermazioni è la loro assoluta mancanza di argomentazioni: si limitano a definire “deludenti” i risultati fin qui ottenuti, e tale “delusione” andrebbe a motivare il loro pessimismo; inoltre di solito si tratta di voci normalmente “anonime”, oppure apertamente provenienti dall’opposizione trumpiana. La cosa dovrebbe far riflettere, invece viene rilanciata con entusiasmo e il pessimismo va a contagiare anche i sostenitori europei della politica di sostegno all’Ucraina.

Se dalla CIA sfuggono/sfuggissero commenti contrari alla politica estera del Governo, il Presidente reagirebbe in maniera piuttosto pesante per colpire chi “rema contro”. Se invece si trattasse di fughe da lui favorite per prepararsi un cambio di rotta (di cui non si vedrebbe però la ragione), non andrebbero a coincidere con nuovi annunci di aiuti economici e militari.

Insomma: la strumentalità di tali fughe di notizie dovrebbe apparire ovvia. Un’ala del partito repubblicano americano vicina a Trump intende fare della guerra in Ucraina un punto cardine della propria campagna elettorale, e ha quindi interesse a screditare la politica governativa attuale e l’andamento della controffensiva ucraina. Noi in Europa vediamo i riflessi di tale scontro.

Del resto anche da noi la politica interna si riverbera sul sostegno all’Ucraina: il caso Vannacci ne è un altro chiaro esempio…

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