L’accoglienza per Silvia Romano.

Erano passate meno di 24 ore dal ritorno in Italia, cioè in Patria, di Silvia Romano che su di lei una polemica disgustante. Un successo che infastidisce o abitudine di buttarla in caciara?

Gianvito Pugliese

Anch’io, non lo nego, come certamente molti, sono rimasto stupito nel vedere le immagini di Silvia Romano scendere dalla scaletta dell’aereo, che l’aveva riportata in Italia dalla Somalia. Indossava mascherina anti Covid ed un’abito di fattura islamica, di un verde acceso. Stupito nell’apprendere che lo indossava non per un caso, ma per rimarcare la sua conversione alla religione islamica, avvenuta durante la prigionia. L’ho, infatti, sottolineato en passant nell’articolo di ieri. Concludevo preconizzando che qualcuno avrebbe “storto il muso”, ma non mi aspettavo tanto.

Ormai in Italia, e parlo del Paese che conosco meglio, ma sarebbe forse più esatto dire nel mondo, la mela è stata sostituita dalla polemica. Infatti non vale più “una mela al giorno toglie il medico di torno”, è assai più consumata la polemica senza esclusione di colpi, della mela nelle sue variegate qualità. Non si era ancora spenta l’eco del duello Buonafede-Di Matteo (in rigoroso ordine alfabetico), che l’arrivo della cooperante milanese venticinquenne, liberata anche grazie all’attività dei nostri servizi di sicurezza all’estero, ha scatenato una ridda di insinuazioni, richieste e paragoni sui social, dei quali francamente avrei preferito fare a meno.

Non è questione di libertà di espressione, che è cosa ben diversa dalla libertà d’insulto o d’insinuazione, ma sembra che a 75 anni dall’entrata in vigore della nostra Costituzione la differenza sia chiara a pochi. E’, innanzitutto, questione di buon gusto, di quel minimo di educazione, senza di che la convivenza civile va a farsi benedire.

Confesso, gentili lettrici e cari lettori, anch’io mi sono chiesto, ma tenendomi per me le domande: sarà la sindrome di Stoccolma? Ma Silvia dice subito di non aver subito violenze e di non aver avuto “complicazioni amorose”. Magari lo afferma per sviare il dubbio? Ma non sarà che qualche Imam, non proprio corretto, adopera tecniche simili ai santoni-plagiatori di tutto il mondo per acquisire proseliti? E via discorrendo.

Stamane un’eruzione verbale e scritta. Parole e post o tweet, al posto di cenere e lapilli. Se seguirà la lava chiedetelo ad un vulcanologo. Il segretario della Lega, al suo solito, dice e non dice. Fa intuire che sa di un riscatto, ma non lo dice. Essendosi espresso Re Artù, partono lancia in resta i cavalieri di FdI, il primo sul mistero dei nostri rapporti con Erdogan, quasi che i servizi per collaborare in loco avessero bisogno del preventivo accordo dei Premier, il secondo con un “gli italiani da oggi saranno il bancomat dei sequestratori”, parola più, parola meno. Non mancano reazione opposte sull’altro fronte: da chi chiede che il Leader della Lega sia convocato dal Presidente leghista del Copasir, ben sapendo che non avverrà mai, a chi invita a guardare il sorriso e non il vestito. Si sono fatte sentire anche le sardine, togliendomi la preoccupazione: ci sono, vive e vegete, evviva.

Non parliamo dei “pecoroni” o “conigli” da tastiera. Le volgarità e gli insulti, con seguito di contro insulto, hanno fatto il pieno. Registro con indignazione, mista a disgusto, interventi pesanti sui social di colleghi, pardon gente che fa il mio stesso mestiere.

Silvia Romano, espletate le formalità di rito e dopo aver risposto ai magistrati, si godrà il riposo e la famiglia. Spero solo che poi, leggendo quanto lordume siamo stati capaci di generare sulla sua liberazione, non decida di tornare in quell’estero, dove, pur da sequestrata, a suo dire è stata trattata bene. Non mi sembra si possa dire lo stesso ad opera di buona parte di noi.