Tornate… Qui se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto

Sotto il peso dei ricordi, l’Irpinia si sveglia a 43 anni dal terremoto che cambiò il destino di una terra e di chi la abita.

Rocco Michele Renna

Il 23 novembre 1980, alle 19:34, un brivido sismico di magnitudo 6.9 Richter sconvolse l’Alta Irpinia, trasformando città e paesaggi in un caos apocalittico. Sotto le macerie di diciotto comuni persero la vita 2.735 persone, mentre novemila rimasero ferite. Novantanove comuni furono devastati, con trecentomila abitazioni ridotte in polvere su un’area di 17 mila chilometri quadrati. L’Irpinia si ritrovò a dover ricostruire non solo case, ma intere comunità.

La storia, però, ci insegna che la resilienza è spesso seguita da una dolorosa verità. La ricostruzione, giunta a compimento solo negli ultimi anni, non ha fermato il lento svuotamento delle aree interne. Gli investimenti industriali, osteggiati da contrapposizioni Nord-Sud nei tumultuosi anni Novanta, hanno avuto successo solo in minima parte. Oggi, l’Irpinia è come un vecchio manoscritto dimenticato, spolverato solo a intermittenza di anniversari tragici.

Franco Arminio, il poeta-paesologo di Bisaccia, ha acceso una fiamma di resistenza. La sua terra, l’Irpinia, è segnata non solo dalla geografia sismica, ma anche da un esodo silenzioso. Giovani, diplomati e laureati, abbandonano le strade che portano ai paesi-presepi per cercare opportunità altrove, trasformando la provincia di Avellino in una landa desolata.

Arminio, radicato nelle sue origini, ha deciso di non piegarsi al peso della rassegnazione. In occasione del quarantatreesimo anniversario del sisma, ha organizzato quattro giorni di incontri, dibattiti e assemblee aperte. Un tentativo di risvegliare le coscienze, di lottare contro il dilagare della rassegnazione che ha ormai preso il controllo di questa terra.

La prima regola per affrontare questa sfida,” dice il poeta, “è quella di non piangersi addosso.” Un monito rivolto a coloro che sono rimasti, affinché non cedano al senso di abbandono. La ricostruzione, afferma, deve partire dall’unità comunitaria, con il contributo imprescindibile dei giovani. È una battaglia per il futuro, un grido di resistenza contro gli scoraggiatori che, purtroppo, sembrano costituire l’egemonia culturale del Paese.

Eppure, non possiamo ignorare le ferite ancora aperte. Toni Ricciardi, deputato irpino del Pd, ha fatto notare che, nonostante gli enormi investimenti nella ricostruzione, meno della metà delle risorse sono state destinate alla provincia di Avellino. Le controversie sulla qualità della ricostruzione e sulle risorse impiegate hanno alimentato dibattiti feroci, dando vita all’Irpiniagate.

Ciriaco De Mita, figura di spicco e sindaco di Nusco, ha sollevato un’amara verità: coloro che decisero l’allargamento dell’area colpita dal terremoto sono diventati i più accaniti critici dei costi sostenuti per la ricostruzione.

Oggi, l’Irpinia è in ginocchio, non solo per le scosse sismiche del passato ma anche per le scelte politiche che ne hanno condizionato il futuro. È giunto il momento di alzare la testa, di dire basta al lento stillicidio di risorse e opportunità. L’Irpinia merita di tornare a splendere, di essere il faro di una rinascita che va oltre la ricostruzione di edifici. La sua vera forza risiede nella sua gente, nella volontà di resistere e costruire un futuro migliore, nonostante le scosse che continuano a minare il terreno sotto i loro piedi.

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