La lunga guerra che interessò il Meridione a metà del XIV secolo (II parte: l’assedio di Palium)

Una pagina pregnante della Stora della Puglia, Il 17luglio 1349. In copertina: regina Giovanna D’Angiò

La redazione

L’assedio di Palium  (brano tratto dal romanzo CIVITAS INVICTA di Vito Tricarico – II parte giorno 17 luglio 1349)

Era appena all’alba, quando suonarono le campane a raccolta dei combattenti alla pugna. Cola non aveva l’aria felice, ma non aveva neanche più la voglia di piangere. Chiese all’amico che aveva il primitivo un altro sorso di vino e ne bevvero assieme. Erano tutti svegli nella chiesa, anche i bimbi. Cola diede un goccio di vino anche al figlioletto dal suo dito bagnato e gli baciò la fronte. Nella penombra guardò la moglie negli occhi per ricordare il suo sguardo e la strinse fortemente fra le sue braccia. Poi rivolto all’amico disse soltanto “Bé, ora possiamo andare”.  Attraversò insieme agli altri la navata centrale della Chiesa Madre e fu immediatamente sulla piazza  antistante. Dopo pochi passi, fra i primi intervenuti, era già a difendere la Porta Illustre con una balestra. All’avvicinarsi dei nemici, era meravigliato: quasi ogni suo colpo raggiungeva il bersaglio. Per il vino bevuto o perché voleva farsi gioco dell’angelo della morte, divenne quasi baldanzoso e spericolato e incitava a gran voce i suoi compagni. Dopo circa un’ora di difesa della postazione, però, fu trafitto dal dardo di una balestra ungherese, che lo raggiunse fra collo e petto. Fu il primo caduto dei Palionensi. L’amico lo segnò con un segno di croce sulla fronte e arrivarono a prelevarlo gli addetti a quel compito misericordioso. Un altro combattente della riserva corse subito a sostituire il prode Cola.

          La vittoria palionense

All’alba del giorno 17 luglio 1349 stazionavano in prossimità di Palium i Capitani ungheresi con i loro uomini, il gruppo dei fuorusciti gravinesi sotto la guida del giudice Angelo del signor Gualtieri, il gruppo dei latini Impuratus e, in numero esorbitante, le compagnie dei mercenari teutonici. Dietro di loro, una moltitudine infinita di cavalieri e di pedoni armati di Butuntum, tutti sotto il comando supremo di Hebniger, connestabile di Lupisce. Circa duemila erano gli uomini dell’esercito ungherese ed alleato, con altrettanti pedoni armati per un totale di quattromila uomini in armi. I Palionensi complessivamente, considerando uomini, donne, vecchi e bambini non raggiungevano duemilacinquecento anime.

Niccolò Acciuoli feudatario di Palium

Il syndicus Mattheo de Pedonis con la sua barbuta teutonica, comandava un piccolo gruppo di uomini a cavallo all’interno delle mura. Quando lo spiegamento delle forze nemiche fu a tiro, i balestrieri fecero partire i loro micidiali colpi, mietendo molte vittime. Anche i balestrieri alemanni e di Butuntum, che si erano posizionati sulla linea di assedio, risposero con le loro balestre.  

            Il Syndicus si consultò col capitano del castello per una rapida ritirata dentro le mura dopo aver dato alle fiamme i capanni e le case servite per una momentanea difesa. Il combattimento fu intenso e feroce sotto un caldo opprimente. Le pesanti macchine da guerra furono avvicinate al castello. Gli uomini con le scale e quelli con i ponti per superare il fossato, erano pronti a scalare le mura nei punti ritenuti più vulnerabili, mentre i balestrieri coprivano la loro avanzata con i loro micidiali dardi. Dionysio era stato chiamato a difendere la porta di ponente ove più forte era la volontà degli assedianti di sfondare la resistenza palionense. Le donne e molti di coloro che avevano partecipato ai corsi del gruppo Erculea Proles, con le loro balestre riuscivano a tenere a debita distanza i numerosi nemici. Molti ragazzi e giovinette erano adibiti a portare, sui camminamenti della mura, rifornimenti di quartare ricolme di acqua fresca ai combattenti. La giovanissima Palma, fissata sulle mura la lancia dell’Erculea Proles, in modo che sovrastasse gli assedianti e fosse visibile anche dall’esterno, si era armata di arco e frecce e partecipava attivamente alla difesa. Dionysio, in precedenza, aveva dato ordine ai balestrieri di colpire i cavalieri ed i pedoni armati, in quanto gli strali delle balestre riuscivano a perforare anche le armature. Tutti coloro che erano armati di arco, invece, dovevano mirare e colpire i pedoni non protetti da alcuna armatura. In precedenza erano stati accumulati grossi massi e pietre di minor dimensione per essere rovesciati sugli assalitori, se la loro avanzata fosse giunta fin sotto le mura. Nel fossato, inoltre, per quasi tutta la sua lunghezza, erano state accumulate fascine e legna da ardere. Erano le ultime risorse se il nemico avesse superato il fossato. Don Bartolomeo e don Pascale erano rimasti nella Chiesa Madre. Raccolti in meditazione ed in preghiera, chiedevano al buon Dio che finisse quella carneficina, che finalmente potesse venire  il giorno del  Regno di Dio sulla terra …     

Sulle mura c’era un gran caldo. Il sole picchiava forte sulle armature e sugli elmi di diverse epoche, ma tutti restavano fermi e radicati sugli spalti e sui camminamenti come robuste querce antiche. Era una eroica resistenza di popolo, che incurante della superiorità delle forze avversarie, aveva deciso la resistenza ad oltranza. Il popolo palionense, senza capi militari, se non quella del Capitano che difendeva il castrum, dimostrava di essere all’altezza delle forze nemiche. Le obbligava, anzi, a retrocedere dopo la perdita di numerose vite umane.

            La morte voleva salire sulle mura ed incitava i cavalieri che arrivavano come i cavalloni nel mare spinti dalla tramontana. Il suo urlo disumano atterriva finanche gli assalitori, ma non prevalse. La sua volontà si disperdeva contro il silenzio vigile e fermo come una muraglia eretta da parte dei difensori. La morte, che voleva condurre una macabra danza infernale attorno ai Palionensi, portò il lutto fra coloro che conduceva all’assalto. Come queste, la corsa dei cavalieri, dei pedoni armati e il lancio degli strali delle loro balestre, si infrangevano contro le mura avversarie.

            All’ora dei vespri del 18 luglio, increduli per la superba difesa incontrata e per la stanchezza sopravvenuta, il gran Connestabile Hebniger, dopo un rapido consulto con gli altri capitani teutonici, tolse l’assedio. Suonate le trombe di guerra fu data la ritirata. Raccolti i numerosi feriti sui carri che dovevano servire per portar via il bottino di guerra, tutti gli uomini rientrarono in Butuntum. Dall’alto delle mura, Dionysio, notando prima i segni di resa negli avversari e dopo i movimenti convulsi e disperate frecciate di sguardi contro i valorosi difensori, cui seguirono le voltate di spalle dei primi cavalieri, raggiante esclamò: “Siamo salvi, è finito l’assedio “. Sigismondo Ruccia, esultante di gioia, gridava a squarciagola: “Palium invicta, Palium invicta

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