Medici contro regione: viaggio nella polveriera Lombardia

Nella regione più colpita d’Italia iniziano ad essere tanti gli atti d’accusa contro la gestione della Lombardia a guida Fontana

Vito Longo

Dopo il duro attacco di alcuni sindaci, sette, per la precisione, Virginio Brivio (Lecco), Emilio Del Bono (Brescia), Davide Galimberti (Varese), Gianluca Galimberti (Cremona), Giorgio Gori (Bergamo), Mattia Palazzi (Mantova) e Beppe Sala (Milano), anche i medici si sono schierati contro la mala gestione dell’emergenza Covid-19 in Lombardia.

La regione, dal canto suo, sembra andare avanti dritta come un treno, rifuggendo da qualunque senso di responsabilità e rifiutando qualunque addebito per la situazione nella quale si trova ormai da più di un mese.

Sono francamente inaccettabili le parole di Pietro Foroni, esponente della Lega Nord, nato proprio a Codogno, nonché Assessore al Territorio e alla Protezione Civile della regione Lombardia, secondo il quale “le abbiamo azzeccate tutte”. Non è il momento di trovare responsabili e colpevoli, ma prorompersi in una simile dichiarazione quando si è a guida della ragione più martoriata d’Italia, è francamente discutibile.

Altrettanto discutibile è la scelta di imporre le mascherine a tutta la popolazione senza essersi prima garantiti una fornitura adeguata. Intendiamoci, non è sbagliata l’ordinanza in sé, ma l’averla emessa in un periodo nel quale mascherine e DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) in genere non sono facilmente reperibili, anzi. Molto più illuminata, ad esempio, è stata la gestione della regione Toscana che si è prima assicurata dieci milioni di mascherine e solo successivamente ne ha imposto l’obbligo ai cittadini.

Ma torniamo al tema iniziale: lo scontro tra medici e regione Lombardia.

Come scritto ieri, dall’inizio del lockdown, la risposta istituzionale all’epidemia da Coronavirus si è limitata al chiedere con insistenza agli italiani di “restare a casa”, costringendo una larghissima parte della popolazione ad una quarantena domiciliare forzata, ad eccezione di alcune limitate categorie commerciali ritenute essenziali.

La Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia (FROMCeO) ha emesso un durissimo comunicato che è un atto di accusa verso le istituzioni.

Di seguito alcuni passaggi:

«A fronte di un ottimo intervento sul potenziamento delle terapie intensive, in larga misura reso possibile dall’impegno e dal sacrificio dei medici e degli altri professionisti sanitari, è risultata evidente l’assenza di strategie relative alla gestione del territorio.

Ricordiamo, a titolo di esempio non esaustivo:

1) La mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia, legata all’esecuzione di tamponi solo ai pazienti ricoverati e alla diagnosi di morte attribuita solo ai deceduti in ospedale. I dati sono sempre stati presentati come “numero degli infetti” e come “numero dei deceduti” e la mortalità calcolata è quella relativa ai pazienti ricoverati, mentre il mondo si chiede le ragioni dell’alta mortalità registrata in Italia, senza rendersi conto che si tratta solo dell’errata impostazione della raccolta dati, che sottostima enormemente il numero dei malati e discretamente il numero dei deceduti.

2) L’incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio.

3) La gestione confusa delle RSA e dei centri diurni per anziani, che ha prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite umane (nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6000 ospiti in un mese).

4) La mancata fornitura di protezioni individuali ai medici del territorio (MMG, PLS, CA e medici delle RSA) e al restante personale sanitario. Questo ha causato la morte di numerosi colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile e involontaria diffusione del contagio, specie nelle prime fasi dell’epidemia.

5) La pressoché totale assenza delle attività di igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti, ecc.)

6) La mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari del territorio e in alcune realtà delle strutture ospedaliere pubbliche e private, con ulteriore rischio di diffusione del contagio.

7) Il mancato governo del territorio ha determinato la saturazione dei posti letto ospedalieri con la necessità di trattenere sul territorio pazienti che, in altre circostanze, avrebbero dovuto essere messi in sicurezza mediante ricovero.

La situazione disastrosa in cui si è venuta a trovare la nostra Regione, anche rispetto a realtà regionali vicine, può essere in larga parte attribuita all’interpretazione della situazione solo nel senso di un’emergenza intensivologica, quando in realtà si trattava di un’emergenza di sanità pubblica.

La sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra Regione.»

Il comunicato, tuttavia, non si limita a demolire, pur legittimamente, la gestione regionale, ma contiene anche una parte nella quale vengono avanzate delle proposte.

«Per quanto riguarda gli operatori sanitari la proposta è di sottoporre tutti a test rapido immunologico, una volta ufficialmente validato, e, in caso di riscontro di presenza anticorpale (IgG e/o IgM), sottoporre il soggetto a tampone diagnostico. In caso di positività in assenza di sintomi potrebbe essere da valutare la possibilità, in casi estremi con l’attribuzione di specifiche responsabilità e procedure, di un’attività solo in ambiente COVID, sempre con protezioni individuali adeguate. Il test immunologico andrebbe ripetuto con periodicità da definire negli operatori sanitari risultati negativi.

Per quanto riguarda le attività non sanitarie sembra raccomandabile un’estesa effettuazione di test rapidi immunologici per discriminare i soggetti che non hanno avuto contatto con il virus, soggetti che si possono riavviare al lavoro. Per i soggetti nei quali si rileva la presenza di immunoglobuline (IgG o IgM) sembra indicata l’esecuzione del tampone diagnostico. In tal senso si raccomanda di potenziare al massimo tale attività diagnostica e di procedere prima ad indagare i soggetti che risultano urgente riammettere al lavoro, in quanto addetti ad attività ritenute di prioritario interesse, in funzione della disponibilità di tamponi.

La ripresa del lavoro dovrebbe essere subordinata all’effettuazione del test immunologico rapido di screening, non risultando in letteratura alcun termine temporale valido per la quarantena post malattia, anche se decorsa in forma paucisintomatica.

È evidente come tale procedura comporti un rilevante impiego di risorse, soprattutto umane, ed è altresì evidente come la stessa, al momento, sia l’unica atta a consentire la ripresa dell’attività lavorativa in relativa sicurezza.

A tale scopo Regione Lombardia dovrà mettere in campo tutte le risorse umane ed economiche disponibili.

Naturalmente quanto sopra dovrà essere accompagnato dall’uso costante, per tutta la popolazione e in particolare nei luoghi di lavoro, di idonei comportamenti e protezioni.

La ripresa potrà quindi essere solo graduale, prudente e con tempi dettati dalla necessità di mettere in campo le risorse sopracitate. È superfluo segnalare come qualsiasi imprudenza potrebbe determinare un disastro di proporzioni difficili da immaginare e come le misure di isolamento sociale siano da potenziare e applicare con assoluto rigore.

Da ultimo, la FROMCeO lombarda ha preso in considerazione la questione, sollevata da molti colleghi, della mancanza di protocolli di terapia sul territorio. Il problema è stato in gran parte determinato anche dalla esigenza di trattare a domicilio pazienti che ordinariamente sarebbero stati inviati in ospedale, ma che non hanno potuto essere accolti per saturazione dei posti letto. FROMCeO raccomanda ai colleghi di non affidarsi a protocolli estemporanei non validati e ad attenersi alle indicazioni di AIFA e di Regione, utilizzando la massima cautela.»

Quest’atto di accusa segue la durissima lettera inviata dai medici di Bergamo, tradotta in italiano dal professor Fabio Sabatini.

Entrambi i comunicati sembrano condividere molte delle posizioni già espresse dagli operatori della sanità lombarda. Nonostante la natura molto diversa, le due comunicazioni convergono sugli stessi punti.

Sono stati commessi errori molto gravi, soprattutto a livello istituzionale.

Sperando di risolvere al più presto la situazione, accertare la responsabilità di tali errori è fondamentale. In Italia sono morte più di 16.500 persone, più di 9.200 solo in Lombardia, ma il numero potrebbe tranquillamente essere sottodimensionato per i tanti decessi non censiti. Inoltre il nostro personale sanitario sta pagando un prezzo altissimo, con un numero troppo elevato di contagi e 89 tra medici e infermieri che hanno perso la vita.

C’è bisogno di ripartire con slancio e, per farlo, c’è bisogno che a guidare la fase di uscita dalla crisi non siano le stesse persone che in questa crisi così profonda ci hanno fatto sprofondare.