Giorno 568

Un’analisi approfondita della controffensiva ucraina finalizzata, con successo, a demoralizzare le forze armate russe,

Orio Giorgio Stirpe

Oggi diamo uno sguardo alla situazione militare con un’ottica “operativa”, che significa al livello del comandante di Teatro e inclusivo degli aspetti terrestre, navale e aereo; pertanto gli eventuali contributi di pensiero e le precisazioni da parte dei colleghi in blu o in azzurro saranno doppiamente apprezzati.

Chi mi segue da un po’ sa che secondo me gli ucraini conducono la loro controffensiva orientandosi a colpire il nemico più che a liberare uno specifico tratto di territorio: questo in quanto loro puntano a liberare tutto il territorio occupato e non solo una parte, e per fare ciò hanno bisogno di mettere in rotta l’esercito nemico, spezzandone la volontà di combattere e costringendolo a tornare a casa sua indipendentemente da ciò che ne possa pensare il suo autocrate.

Bene: in questa mia affermazione, proprio in quanto come ho detto intendo parlare a livello operativo e dunque interforze, esiste un’imprecisione importante, e il generale Zaluzhny ieri me lo ha ricordato in maniera piuttosto spettacolare. In sostanza, nel caso specifico del conflitto in corso non si tratta tanto di “mettere in rotta l’esercito nemico”, quanto di “mettere in rotta le forze armate nemiche”.

È vero che le operazioni controffensive a terra puntano a logorare le unità di manovra ed eventualmente a sconfiggere e distruggere una grossa porzione dell’esercito russo incastrato nel “corridoio sud” che adduce alla Crimea, ma la controffensiva ucraina è un’operazione interforze che mira a infliggere una sconfitta punitiva all’intero apparato militare dell’aggressore, per spezzarne la volontà di combattere e rendergli impossibile proseguire il conflitto. A questo scopo oltre alle forze di terra occorre debellare anche quelle navali ed aeree.

Di qui gli attacchi spettacolari alle basi aeree arretrate russe, e soprattutto l’attacco devastante di ieri alla base navale di Sebastopoli.

La Russia è sempre stata una potenza terrestre: le sue guerre le ha sempre combattute e vinte (o perse) sulla terra; cosa logica, vista la sua evidente natura continentale. Eppure, dai tempi di Pietro il Grande, la Russia ha sempre avuto l’ossessione di diventare una potenza navale, e ha dedicato risorse enormi alla creazione di flotte del tutto sproporzionate alle sue necessità strategiche.

I risultati sono stati poco brillanti: a parte i limitati successi del naviglio leggero dello stesso Pietro il Grande sugli svedesi nel mar Baltico e qualche azione di successo contro i turchi ottomani nel mar Nero, la marina russa non ha portato praticamente alcun contributo alle ambizioni imperiali di Mosca. L’unica vera guerra navale, combattuta contro il Giappone nel 1911, si è conclusa con un umiliante disastro ed entrambe le Guerre Mondiali hanno visto le navi russe asserragliate nei loro porti di fronte ad una Germania ben più aggressiva di loro, e i marinai russi impegnati a combattere quasi esclusivamente per terra.

Durante la Guerra Fredda la Marina Rossa ha raggiunto la sua massima espansione, risucchiando risorse immense e senza mai trovare alcun impiego, per finire poi ad arrugginire all’ancora dopo la caduta dell’URSS. Putin ha cercato di risollevarne per l’ennesima volta le sorti con investimenti mirati, ma senza troppi risultati… Il resto è storia recente.

La marina russa sta combattendo contro una Nazione che di marina è priva, ma ha perduto finora un incrociatore, un sommergibile, tre navi d’assalto anfibio e del naviglio minore infliggendo in cambio danni minimi all’infrastruttura costiera e industriale nemica. Ha anche perso il controllo dell’Isola dei Serpenti e delle piattaforme petrolifere poste fra la Crimea e Odessa, che erano di fatto gli unici obiettivi territoriali contendibili nel mar Nero, e riportato danni significativi alle basi navali di Sebastopoli e Novorossijsk.

Un risultato abbastanza umiliante, dal punto di vista tecnico e storico, ma soprattutto demoralizzante da quello psicologico.

E questo è esattamente lo scopo che gli ucraini si erano prefissi: spezzare la volontà di combattere dei nemici, in questo caso della loro Marina.

Intendiamoci: non è certo cosa fatta. Ma i lavori sono in corso.

L’attacco a Sebastopoli è l’ovvio seguito della cattura delle piattaforme petrolifere poste fra Odessa e la Crimea: da esse è molto più semplice controllare e addirittura dirigere gli attacchi alla base navale, soprattutto se questi sono condotti con l’ausilio di droni. I bersagli sono anche essi prevedibili: i sommergibili classe Kilo sono le piattaforme principali impiegate per gli attacchi missilistici navali contro le infrastrutture civili ucraine, in particolare il porto di Odessa e le centrali termiche dell’interno; le navi d’assalto anfibio classe Ropucha sono gli unici mezzi navali in grado di scaricare direttamente su una spiaggia senza ausilio di gru portuali, e sono essenziali per il rifornimento della Crimea in caso di taglio dei collegamenti ferroviari attraverso il ponte di Kerch. I danni poi non si fermano lì: a parte il danneggiamento di almeno altre due unità navali ammesso dagli stessi russi, la base è stata colpita in quanto tale e la sua capacità di supportare ciò che resta della flotta è compromessa.

Ancora peggio, la difesa aerea della base, che dovrebbe essere la più avanzata della Federazione dopo la città di Mosca (la Crimea ospita uno dei soli quattro “cluster” strategici A2AD volti all’interdizione totale di aerei, navi e mezzi terrestri, gli altri tre essendo Kaliningrad, Murmansk e la stessa Mosca), non ha funzionato.

Significa che la Marina non può fare affidamento sull’Aviazione. E naturalmente, che l’attacco potrà facilmente ripetersi.

Insomma: è stata colpita la Marina, ma il risultato più importante è stato ottenuto a livello interforze. Il morale complessivo delle forze armate ha subito un brutto colpo, proprio per via della tendenza russa ad attribuire una grande enfasi alla propria supposta potenza navale… E soprattutto si è fortemente rafforzato il grosso dubbio che mina alla base quello che a tutti gli effetti è ormai il centro di gravità operativo delle forze armate russe: è possibile difendere a oltranza la Crimea?

Di fatto, l’integrazione della Crimea (legalmente parte dell’Ucraina per il resto del mondo, BICS compresi) nella Federazione è alla base del prestigio del Regime: così come la sua acquisizione l’ha esaltato, la sua perdita lo comprometterebbe e farebbe collassare la determinazione popolare a combattere una guerra “sentita” assai poco come propria dalla stragrande maggioranza della popolazione.

Il messaggio che l’Ucraina ha voluto mandare è pressappoco: “stiamo stringendo la morsa sulla Crimea: per terra, per mare e anche nell’aria; e non c’è più niente che possiate fare per impedircelo… potete solo rallentarci”.

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Ora la domanda è: l’Ucraina è in grado di continuare a “stringere la morsa” indefinitamente?

La controffensiva procede assai più lentamente di quanto quasi tutti si aspettassero, e questo a causa del fatto, più volte ricordato, che non solo gli ucraini operano in attacco senza disporre di una superiorità numerica, ma soprattutto che operano senza disporre di potere aereo: questo impone un’avanzata al rallentatore e quindi richiede una sostenibilità operativa estremamente prolungata. Abbattere il morale del nemico è un ottimo sistema per rendere possibile questa operatività offensiva prolungata, a patto che la logistica sostenga lo sforzo.

Il termine della stagione estiva e il Grande Fango autunnale sono stati visti da molti osservatori come un limite cronologico naturale per la controffensiva ucraina; potrebbe essere un assunto sbagliato.

Innanzitutto le condizioni meteorologiche autunnali nel sud sono molto meno impeditive rispetto al resto del Paese; poi gran parte della manovra offensiva ucraina si svolge per infiltrazione di unità appiedate, in maniera lenta e sistematica, e non mediante azioni d’urto di unità meccanizzate, quindi il fango assume un valore impeditivo minore.

Un’ulteriore fattore da considerare è l’attitudine ucraina a manovrare “per linee interne”, e cioè a spostare le proprie Brigate da un punto all’altro del fronte ricurvo che le vede poste all’interno della curva stessa, sfruttando collegamenti stradali migliori; grazie a questa possibilità, gli ucraini cambiano spesso il punto di attacco del momento, confondendo i russi e obbligandoli a spostare le loro riserve continuamente lungo itinerari molto più difficili e logoranti, e questo consente di far riposare altre Brigate e consolidare le posizioni raggiunte altrove.

Se – come ormai appare probabile – le forze armate ucraine hanno pianificato fin dall’inizio un’operazione prolungata nel tempo tendente a logorare e demoralizzare le forze nemiche su tutte e tre le dimensioni terrestre, marittima e aerea, allora dobbiamo aspettarci una rimodulazione continua degli attacchi al complesso della macchina militare russa, destinati a convergere sulla Crimea fino al collasso della capacità operativa nemica.

E nel frattempo…

Nel frattempo dobbiamo aspettarci la reazione russa al bombardamento di Sebastopoli. Una reazione rabbiosa, probabilmente scomposta e isterica, ordinata direttamente dal Cremlino allo scopo di “vendicare” l’oltraggio subito.

Probabilmente una reazione non pianificata e militarmente poco significativa o addirittura controproducente, ma sicuramente ad alta visibilità mediatica.

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