Giorno 455

Si ricomincia con un aggiornamento del nostro esperto militare sull’invasione russa dell’Ucraina. In copertina un drone Usa, decollato da Sigonella, sorvola il Mar Nero in prossimità della Crimea.

Orio Giorgio Stirpe

Bene: cosa è successo negli ultimi dieci giorni?

Alla fine, niente di decisivo, anche se ovviamente c’è stato molto di cui parlare.

Se non ho perso il conto come per i giorni di guerra (455 è giusto?), Bakhmut è stata data per caduta per la settima o ottava volta. Questa volta è stato Prigozhin a dare l’annuncio, e come tutte le altre volte i media (in particolare quelli italiani) si sono affrettatati a prendere la cosa per buona. In realtà, non è importante se i russi abbiano effettivamente preso fino all’ultimo isolato oppure no: non esiste una definizione matematica per dare una località per “caduta” oppure no, anche perché non ha senso definirla tale combattimento durante. Poiché non esiste alcun elemento tattico particolarmente importante nell’area urbana di cui si parla – sono mesi che cerchiamo di spiegare come Bakhmut non rivesta alcuna reale importanza militare di suo ma ne abbia acquisita una puramente virtuale a causa della sua sovraesposizione mediatica – non è possibile individuare un punto sul terreno che consenta di marcare il possesso dell’intera città, anche in quanto questa ha cessato di esistere in quanto tale ormai da tempo.

In generale, una posizione si definisce “caduta” quando la presa di un elemento tattico specifico determina il termine dei combattimenti. Nel caso in esame questo non è avvenuto, e la battaglia è ancora in atto, proprio in quanto le rovine dell’area urbana rappresentano semplicemente una parte dell’area contesa, e che questa area è contesa per ragioni che nulla hanno a che vedere con l’area urbana stessa: per i russi si tratta di strappare un successo mediatico, e per gli ucraini di impegnare quante più forze di élite russe possibile distruggendone una percentuale consistente.

In base ad entrambi i punti di vista, la battaglia è sempre in corso e non ha cambiato molto fisionomia: gli ucraini cercano di protrarre il dissanguamento dei russi il più a lungo possibile per facilitare la loro prossima controffensiva, e i loro avversari cercano di smarcare il risultato positivo che inseguono da mesi. Significativo l’entusiasmo con cui i fiancheggiatori nostrani di Putin hanno salutato l’annuncio di Prigozhin, peraltro non suffragato da alcunché.

Più significativo dal punto di vista strategico l’annuncio sugli F-16. La tentazione di scrivere “ve l’avevo detto, io…” è piuttosto forte, ma cercherò di resistere ai miei impulsi infantili. Il fatto è che gli F-16 non sono affatto decisivi, come non lo è alcun altro pezzo di equipaggiamento occidentale: si tratta semplicemente di un altro pezzo del “puzzle” che si sta mettendo laboriosamente insieme per trasformare le forze armate ucraine in un avversario sempre più solido e ormai già impossibile da debellare per le malandate truppe di Putin.

La guerra ucraina ha assunto una fisionomia tale per cui la terza dimensione occupa un ruolo marginale nelle operazioni, e questo aspetto difficilmente cambierà con l’arrivo degli aerei occidentali: in ogni caso non saranno in numero tale da poter acquisire quella superiorità aerea che la dottrina occidentale richiede per un’offensiva manovrata di successo. La controffensiva ucraina si svolgerà con il supporto decisivo di mezzi e dottrine occidentali, ma si svilupperà comunque in base alla dottrina ucraina; questo in quanto sarà condotta da soldati ucraini comandati da generali ucraini.

La presenza però di una crescente potenza aerea ucraina renderà via via sempre più difficile un ritorno offensivo russo e limiterà ulteriormente le già scarse opzioni operative di Putin.

Quello che è veramente significativo a livello strategico è la conferma ulteriore – e per certi versi ormai definitiva – di come l’impegno dell’Occidente nel conflitto sia definitivo.

Da mesi mi sforzo di far capire come la politica occidentale di sostegno a Kyiv sia non solo coesa e unitaria, ma soprattutto coerente con uno sforzo di lungo periodo, e rappresenti un investimento politico ed economico prima ancora che militare, tale da configurare l’intento di procedere fino in fondo garantendo la vittoria difensiva ucraina e la completa sconfitta politica e militare del regime russo.

Detta più direttamente: America ed Europa hanno deciso ormai da tempo che qualsiasi soluzione di compromesso sia meno conveniente di una che preveda la sconfitta chiara ed inequivocabile dell’aggressore. Putin ha esagerato e non c’è più spazio per il suo regime sull’arena internazionale, per cui è desiderabile che il suo regime cada e qualsiasi eventualità di un suo ritorno offensivo sia eliminata per sempre. La famosa “reductio ad Hitlerum” è questa: così come con Hitler, occorre farla finita anche con Putin in modo definitivo, in quanto entrambi i personaggi si sono rivelati incompatibili con l’ordinamento internazionale.

L’impegno sugli F-16 dimostra la coerenza della politica unitaria dell’Occidente in questo senso: ogni notizia che sembrerebbe scalfire l’unità di intenti di questa politica unitaria è da intendere come una mistificazione giornalistica, oppure come una vera e propria “maskirovka” (Ndr. “mascheramento”: una pratica militare diffusasi in Unione Sovietica a partire dagli anni ’20) occidentale tesa a gettare fumo negli occhi al regime russo.

Il livello di investimento già fatto dalle nazioni occidentali nel perseguire questa politica ormai è tale da rendere del tutto impensabile un ripensamento: l’Ucraina sarà sostenuta fino al totale recupero dei suoi territori e alla loro messa in completa sicurezza. Ne va della credibilità dei governi in carica, e questa è la migliore garanzia per l’Ucraina.

E poiché sicuramente il regime di Mosca è consapevole di non poter sopravvivere ad un’ammissione di sconfitta, occorre che i sostenitori della trattativa ad ogni costo si mettano il cuore in pace: si tratterà solo dopo la conclusione militare del conflitto, come del resto è sempre stato nel caso di conflitti totali.

Un altro evento significativo, anche se privo di effetti immediati sull’esito del conflitto, è la conferma della capacità dei sistemi contraerei avanzati occidentali di intercettare tutti i missili russi, compresi quelli ipersonici.

La stampa nazionale ha trattato la cosa come una specie di duello fra missili, ma -ovviamente- il succo del discorso è tutt’altro. A parte che la sola idea di usare da parte russa un Kinzhal per distruggere un lanciatore (e solo il lanciatore!) Patriot è ridicola in termini di costo-efficacia, un po’ come sacrificare un carro armato per distruggere un missile controcarri, quello che è interessante è che i russi stanno impiegando nei bombardamenti missili appena prodotti. In sostanza lanciano ciò che hanno potuto produrre il mese prima, in maniera artigianale più che industriale; di ciò che lanciano però meno del 10% arriva a bersaglio.

Questo significa che la campagna di bombardamento strategico russa è fallita.

Che poi la tecnologia militare occidentale sia molto più avanzata di quella russa (e quindi cinese che di quella russa è sostanzialmente una copia) si sapeva già da tempo, anche se stampa e apologeti del Cremlino faceva comodo o piacere rappresentare un’immagine opposta. Dire che il Patriot è “tecnologia degli Anni ‘70” può anche essere di effetto e dare un’idea di arretratezza, un po’ come i Leopard 2 che sarebbero “vecchi”; ma se nel frattempo nessuno ha prodotto niente di meglio, anche sistemi disegnati cinquant’anni fa rimangono al top. Soprattutto, se contrapposti a roba ancora più vecchia come quella russa.

Veniamo, infine, ai fatti delle ultime ore a Belgorod.

Una diversione ucraina in territorio russo nell’ambito della preparazione per la controffensiva era ed è nella logica delle cose. I russi si sono incredibilmente cullati nell’illusione che “gli americani non avrebbero permesso” attacchi in territorio russo, ma era semplicemente ovvio che gli attacchi a cui gli americani sono contrari (come la NATO e ogni analista militare di buon senso) sono quelli di natura strategica o anche solo operativa, non tattica.

Una violazione del territorio russo che non implichi un’invasione o anche solo una penetrazione in profondità non mette a rischio l’esistenza della nazione russa e non attiva quegli automatismi di solidarietà nazionale che portarono i russi a stringersi attorno a Stalin nel 1941 a dispetto della sua impopolarità quando i nazisti puntarono dritti su Mosca: quei meccanismi che si vuole assolutamente evitare di far scattare per tenere per quanto possibile separati il regime dalla popolazione russa.

Una dimostrazione di incapacità da parte del governo e delle forze armate nel proteggere la popolazione anche solo da un’incursione limitata – perché di questo si tratta – è invece un buon metodo per screditare il regime davanti alla popolazione.

Se poi fa anche scattare un riposizionamento delle magre riserve mobili russe verso territori lontani dagli obiettivi fissati per la controffensiva ucraina, è ancora meglio…

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