Al Quirinale il Corpo diplomatico da Mattarella

Oggi la cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno swl Capo dello Stato con il Corpo diplomatico

La redazione

Si è svolta, al Palazzo del Quirinale, la tradizionale cerimonia dello scambio degli auguri di fine anno tra il Corpo Diplomatico e il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Dopo l’indirizzo di saluto augurale del Cardinale Emil Paul Tscherrig, Decano del Corpo Diplomatico – Nunzio Apostolico, il Presidente Mattarella ha rivolto un discorso ai Capi delle Missioni Diplomatiche accreditati presso la Repubblica Italiana.
Alla cerimonia, nel Salone dei Corazzieri, hanno partecipato il Ministro Antonio Tajani, il Vice Ministro e i Sottosegretari del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

 Roma, 15/12/2023 (II mandato)

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della Cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con il Corpo Diplomatico

 Palazzo del Quirinale, 15/12/2023 (II mandato)

Eminentissimo Decano,

Signor Ministro,

Signore e Signori Ambasciatori,

ringrazio l’Eminentissimo Decano, il cardinale Tscherrig, per le considerazioni che ha svolto aprendo questa cerimonia e per le espressioni augurali rivolte alla Repubblica Italiana e alla mia persona a nome del Corpo diplomatico accreditato presso il Quirinale.

Ricambio con rispetto e gratitudine.

Un anno fa in questa stessa circostanza concludevo il mio saluto auspicando il ripristino di una pace giusta per l’Ucraina. 

Dobbiamo invece constatare, purtroppo, che non soltanto Kiev è ancora impegnata a difendersi dall’inaccettabile aggressione russa, ma che molte altre aree del nostro globo sono oggi in condizioni di maggiore precarietà rispetto allo scorso anno.

Come non era difficile immaginare, a causa dello sconvolgimento di valori indotto dall’attacco alle regole della comunità internazionale, l’aggressione alla stabilità e alla pace si è riverberata in negativo in tutte le aree del globo e su tutti i dossier, da quello del contrasto alle mutazioni climatiche a quello della sicurezza alimentare – con il pericolo di rendere popolazioni del mondo più povere e meno sicure – a quello dello spazio che rischia di trasformarsi, da ambito di collaborazione scientifica a vantaggio dell’umanità, in ambito, oltre che di competizione commerciale, di contrapposizione militare, con drammatiche prospettive per il pianeta su cui, tutti, viviamo.

Lo stato del mondo sul finire di questo 2023 ci impone di superare la superficiale sottovalutazione con cui si assiste al moltiplicarsi delle crisi e dei drammi umani che comportano.

Il Medio Oriente è nuovamente sconvolto da una spirale di violenza a seguito dei proditori attacchi terroristici mossi da Hamas contro inermi cittadini israeliani.

Assassinii e brutalità verso cui rinnovo la più forte e ferma condanna della Repubblica Italiana.

La situazione a Gaza è stata definita dai vertici delle Nazioni Unite come “apocalittica” e i resti dei territori sotto l’Autorità Nazionale Palestinese sono, anch’essi, in preda a gravi sofferenze, per le violenze che le persone subiscono.

In Europa, la guerra di Mosca contro l’Ucraina continua a provocare sofferenze indicibili alla popolazione civile e conseguenze drammatiche a livello mondiale. 

L’impegno della comunità internazionale in Africa si è dimostrato insufficiente a frenare l’ondata di focolai di crisi.

Così il deterioramento del quadro securitario nel Sahel ha aggravato ulteriormente l’emergenza umanitaria in atto.

Gli scontri in Sudan hanno provocato migliaia di vittime nonché milioni di sfollati interni e di rifugiati. 

Il succedersi delle crisi rischia di distogliere l’indispensabile attenzione da altre situazioni foriere di non meno gravi sofferenze: penso alle bambine e alle donne afgane ostaggio dei talebani; alle giovani e ai giovani iraniani le cui aspirazioni sono quotidianamente concusse e soffocate.

Queste sofferenze assumono a volte caratteri ancor più intollerabili.

Poche settimane fa, in occasione della Giornata mondiale del fanciullo, l’Unicef Italia ha pubblicato un rapporto, i cui numeri inchiodano alle responsabilità della comunità internazionale, dimostrando inequivocabilmente le insufficienze palesate dalla sua azione.

In oltre due anni di guerra – rileva quel rapporto – 6,4 milioni bambini ucraini sono risultati bisognosi di assistenza umanitaria. In Siria sono più di 13.000 i bambini che hanno perso la vita o sono stati feriti nel lungo conflitto interno; quasi altrettante sono le piccole vittime in Yemen. Ad Haiti la stragrande maggioranza di bambini vive sotto il controllo di gruppi armati e rischia ogni giorno la morte, il ferimento, il reclutamento.

A questi teatri si aggiunge la più recente barbarie che poc’anzi ricordavo: la ferocia di Hamas contro i bambini inermi. Neppure i neonati sono stati risparmiati quel giorno. Ci colpiscono dolorosamente le oltre 5.000 piccole vittime innocenti nella striscia di Gaza.

Una comunità internazionale che non riesce a proteggere i suoi figli, che non è in grado di recare aiuto umanitario neanche ai fanciulli, appare inumana.

Ci allarmiamo per i danni inflitti al nostro pianeta da virus o da catastrofi naturali ma dobbiamo constatare che il pericolo maggiore arriva dagli sciagurati comportamenti di alcuni governi, da forze paramilitari, da gruppi terroristici.

Impossibile non riconoscere la chiaroveggenza del Pontefice, Francesco, che già dieci anni orsono ha parlato per la prima volta di una “guerra mondiale a pezzi”.

Quel monito, oggi più che mai attuale, non deve essere ignorato e richiede una più consapevole lettura della realtà.

Questi frammenti di guerra, infatti, rischiano di creare false prospettive, ingannando la nostra capacità di analisi e di comprensione.

Signore e signori Ambasciatori,

a fronte di uno scenario che sembrerebbe implicare la fine di un sistema basato su regole condivise, alcuni osservatori parlano di “un’età del caos”, in un mondo in cui tutto è permesso, dove l’atto di aggressione non è più censurato come violazione ma, al contrario, viene addirittura giustificato per pretesi interessi nazionali. 

L’ondata di destabilizzazione delle regole adottate dalla comunità internazionale, e che portò alla creazione delle Nazioni Unite, è davanti a tutti noi.

I pretesti sono i più diversi: con approccio inammissibile c’è chi giustifica gli attacchi come desiderio di costruire un nuovo ordine internazionale, più rispettoso di nuovi equilibri affacciatisi.

Il mondo in questi decenni è cambiato ma l’esito dei conflitti non lo condurrebbe mai a un ordine più rispettoso e più giusto.

Se si desidera realizzare regole e istituzioni più rispondenti è certamente produttivo ed efficace procedere all’impresa quando si è in pace.

È la pari dignità tra tutti i soggetti internazionali il principio su cui impostare i rapporti tra gli Stati. Con un cambio di paradigma, che sposti definitivamente l’accento dalla competizione alla cooperazione.

Il modello non può essere quello delle conferenze internazionali che si limitino, di volta in volta, a fotografare contingenti rapporti di forza.

Dobbiamo essere consapevoli che il nostro pianeta, per sopravvivere, ha indispensabile necessità di un sistema multilaterale, capace di sviluppare ulteriormente forme di collaborazione e di integrazione.

Non si tratta di una difesa pregiudiziale dell’attuale sistema multilaterale: le Organizzazioni Internazionali di cui oggi disponiamo non sono state disegnate per affrontare tutte le sfide che abbiamo davanti e, riflettendo gli equilibri usciti dalla Seconda guerra mondiale, spesso non sono state in grado di registrare le novità, perdendo efficacia.

La soluzione, tuttavia, non consiste nell’accentuarne i difetti, rischio insito in alcune riforme ipotizzate, cristallizzando, ad esempio, nuove categorie di serie A e serie B per i membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, all’Organizzazione mondiale del commercio, dall’Organizzazione mondiale della sanità, al regime sul controllo degli armamenti nucleari, queste e altre istituzioni hanno bisogno di essere aggiornate e rafforzate.

Delle loro carenze tutti paghiamo un prezzo.

Sarebbe tuttavia errato ritenere che la soluzione a tali carenze risieda nello smantellamento delle regole della globalizzazione: i limiti del multilateralismo odierno sono, infatti, riconducibili, in grande misura, alla volontà politica espressa dagli Stati che ne fanno parte.

Indebolire l’architettura internazionale darebbe libero campo a forze puramente distruttive laddove un multilateralismo efficace, fondato su principi di eguaglianza, trasparenti, responsabili e rappresentativi, sarebbe al contrario di grande vantaggio. 

La sfida principale è proprio quella della rappresentatività.

Le voci di chi oggi non si sente sufficientemente ascoltato vanno prese in adeguata considerazione, a partire dalle legittime esigenze dei Paesi più poveri, più fragili, perché sono quelli le cui popolazioni patiscono maggiormente i contraccolpi delle crisi che si susseguono.

Aggiornare le regole significa rendere più autentica la testimonianza dei valori sottesi alla nostra convivenza civile.

Abbiamo da poco celebrato il 75° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – come ricordava il Decano – un documento che non costituisce appannaggio di una sola cultura o di un singolo gruppo di Paesi ma esprime il patrimonio di valori comuni e condivisi dell’umanità.

Assumere come guida la tutela dei diritti umani rende le società più forti, resilienti ed eque anche nei rapporti fra le nazioni.

Il “pilastro” dei diritti umani è funzionale al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile che le Nazioni Unite si sono date a partire dagli ambiti della pace e sicurezza e della lotta alla povertà e alle disuguaglianze.

Lo stesso va detto per i principi fondanti lo Stato di diritto.

La tragedia della Seconda guerra mondiale spinse al cambiamento, al negoziato per un ordine internazionale che non fosse basato sul diritto del più forte.

La “guerra mondiale a pezzi”, porta a un mondo in pezzi.

Si innalzano muri, si attenta alla libertà di navigazione e di approdo.

Per evitare di essere trasformata in conflitti di più ampie proporzioni, deve spingere a ricercare un fattore comune da cui riprendere le fila di un confronto che consenta una proficua riforma strutturale del multilateralismo.

I pericoli di oggi hanno nomi diversi da quelli di ottant’anni fa, ma non sono meno temibili, e dovrebbero indurci ad agire, subito, insieme.

L’indebolimento del multilateralismo non poteva accadere in un momento peggiore, in cui tutte le sfide più grandi del ventunesimo secolo sono di carattere globale.

Dalle pandemie ai cambiamenti climatici, dalla sicurezza cibernetica al governo dell’intelligenza artificiale, dalla lotta alla povertà alla proliferazione nucleare, tutte le minacce a cui dobbiamo far fronte richiedono multilateralismo e cooperazione internazionale.

Ci guardano i cittadini dei nostri Paesi, attenti a disuguaglianze e ingiustizie sociali, economiche, generazionali, di genere o etniche.

Signore e signori Ambasciatori,

ho tracciato un quadro realista, con molteplici ombre che vi gravano.

Vanno, comunque, colti alcuni spiragli positivi sulla strada della cooperazione internazionale.

Il 2023 ha visto l’inclusione dell’Unione Africana come membro permanente del G20: è il riconoscimento della legittima aspirazione degli oltre cinquanta Stati africani a svolgere un ruolo più rilevante e crescente nella scena internazionale.

È, allo stesso tempo, un concreto passo per inserire una parte così importante e vitale del mondo all’interno delle dinamiche planetarie.

È significativo che quest’atteso riconoscimento – che anche l’Italia ha sempre sostenuto – sia avvenuto sotto la Presidenza di un importante Paese asiatico, l’India, e che toccherà a un grande Paese dell’America Latina, il Brasile, presiedere il primo G20 allargato all’Unione Africana.

L’Unione Europea ha deciso di procedere, dopo anni di ritardi, sulla strada del ricongiungimento con molti dei Paesi europei candidati a farne parte.

Si tratta di un percorso a volte impervio, ma il cui profondo significato storico e politico riveste grande rilievo.

Allargamento significa inclusione, accettazione delle differenze, solidarietà, valori agli antipodi rispetto alle pulsioni neo-imperialiste che provengono, in questo periodo, da Mosca.

Oltre ad ampliare il numero dei suoi membri, l’Unione Europea dovrà mettere mano a quel complesso di riforme istituzionali necessarie per porla in grado di affrontare, con efficacia e tempestività, le sfide del nostro tempo, offrendo l’esempio di una comunità che, attraverso il dialogo e il negoziato, contribuisce in maniera ancora più rilevante alla causa della pace e della collaborazione internazionali.

Numerose – ripeto – sono le istanze che l’agenda internazionale propone e di grande impatto le scelte che una comunità come l’Unione Europea può compiere, a partire dal clima.

Le iniziative recentemente assunte in sede europea in materia di Intelligenza Artificiale, per la definizione di standard e di regole, sono un esempio di buone pratiche a vantaggio di tutta la comunità internazionale.

Positivi segnali sono giunti anche dalla COP28: la comunità internazionale ha raggiunto un ampio consenso sul progressivo abbandono dei combustibili fossili.

Siamo adesso chiamati a dare rapida e concreta attuazione a quanto deciso, consapevoli che il ritardo accumulato è già molto e il costo di nuove esitazioni ricadrebbe, moltiplicato, sulle future generazioni.

Vi è la piena presa di coscienza che mentre si perseguono gli obiettivi di lungo periodo, bisogna sostenere i Paesi che più sono colpiti dai cambiamenti climatici. L’Italia parteciperà con 100 milioni di euro al nuovo fondo globale per le perdite e i danni, volto a fornire aiuto ai Paesi vulnerabili per superare le distruzioni causate dai cambiamenti climatici.

Il 2023 ha visto anche l’ingresso della Finlandia nell’Alleanza Atlantica e il raggiungimento di un’intesa per il prossimo ingresso della Svezia.

Il tema della sicurezza in un mondo sempre più interconnesso e senza più distanze riguarda i popoli sotto qualunque latitudine.

La parabola della NATO – un’organizzazione che ha ritrovato centralità e vigore nell’emergenza drammatica e imprevista di una guerra in Europa – testimonia quanto sia importante non abbandonare la strada del multilateralismo.

Va confermata la volontà di dialogo, nel rispetto del diritto internazionale, tra le strutture di sicurezza per perseguire la pace attraverso il multilateralismo, trovando il coraggio per riformarlo, ampliarlo, anche nella sua architettura.

Sul terreno degli impegni internazionali della Repubblica Italiana permettetemi di citare la Presidenza del G7, che si appresta ad assumere nel 2024.

Come è costume del nostro Paese, la ricerca del dialogo ne costituirà un elemento portante.

L’Italia non farà venire meno il proprio impegno per creare fiducia e spazi di collaborazione. Per raggiungere risultati di rilievo avremo bisogno del sostegno di tutti voi, che nel prossimo anno seguirete da Roma l’azione del nostro Paese.

Eminentissimo Decano, Signore e Signori Ambasciatori,

Il mio auspicio per il 2024 è che possa maturare un’accresciuta consapevolezza sulla necessità di imperniare i rapporti internazionali sul rispetto degli Stati, dei popoli, delle persone. Su cooperazione, solidarietà, condivisione di responsabilità.

Rivolgo un saluto i giovani diplomatici italiani qui presenti, che si affacciano a questo importante compito in una fase storica così complessa, rivolgendo loro l’invito a essere al tempo stesso umili e ambiziosi, consapevoli che tocca a loro raccogliere le aspirazioni delle giovani generazioni del mondo per un futuro di pace.

Nel rinnovare il ringraziamento per gli auguri formulati, esprimo a tutti voi, alle vostre famiglie e ai popoli che qui rappresentate, fervidi auguri per il Natale e per il nuovo anno.

Auguri!

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