Giorno 483

Prigozhin in esilio in Ucraina, dopo aver dimostrato che la Wagner avrebbe potuto conquistare Mosca. è il mistero del giorno. Quale il futuro e da che parte sta?

Orio Giorgio Stirpe

Cerchiamo di ricapitolare.

Innanzitutto i fatti noti ad oggi, dal punto di vista puramente militare.

  • La PMC Wagner, che è la componente più efficace e professionale delle forze di Mosca, e che risponde al suo padrone Prigozhin invece che allo Stato Maggiore, di cui chiaramente disprezza la leadership, dichiara di avviare una “marcia per la giustizia” e ottenere la rimozione dei personaggi di cui sopra. Si sgancia dal fronte e, con il senno di poi, è logica la connivenza ucraina in tale sganciamento.
  • Wagner occupa di sorpresa Rostov sul Don, città russa sede del Comando Operativo di Teatro per la guerra in Ucraina e centro logistico principale, disconnettendo così l’intero esercito dalla catena di comando nazionale e più di due terzi dalle sue fonti di alimentazione logistica. La sorte del comandante operativo (Surovikin) non è chiara.
  • Dopo poche ore, Wagner occupa la città di Voronezh, a metà strada fra Rostov e Mosca, snodo logistico importantissimo, disconnettendo così dalle fonti logistiche anche l’ultimo terzo dell’esercito di campagna in Ucraina, che da questo momento è completamente “in apnea”. Mosca è tagliata fuori dall’esercito regolare.
  • Gli ucraini, che ovviamente sono al corrente di quanto avviene almeno quanto lo siamo noi e probabilmente molto di più, NON approfittano dell’occasione per attaccare. L’esercito russo in apnea non muove un muscolo.
  • Wagner muove su Mosca per autostrada; i posti di blocco della Rozgvardya non provano nemmeno a fermare i mercenari. Un aereo e tre elicotteri che provano ad intervenire sono abbattuti. Per il resto l’aviazione non interviene, confermando la sua impotenza (attaccare una colonna in autostrada è lo sport preferito dai cacciabombardieri di tutto il mondo, se non lo fanno è perché non possono).
  • L’unica reazione armata terrestre del governo è spostare una Brigata cecena, che però dopo aver mosso su Rostov si guarda bene dall’attaccare, consapevole della netta superiorità sul campo dei mercenari. Il governo, Putin compreso, evacua la capitale a san Pietroburgo, mentre Mosca viene militarizzata: la Rozgvardya schiera mezzi corazzati per le strade, piazza posti di blocco e sfonda le strade per piazzare ostacoli.
  • Più o meno simultaneamente, la Wagner si ferma sul fiume Oka, all’ingresso nell’oblast di Mosca, Prigozhin accetta di interrompere l’azione, e gli ucraini sferrano un attacco con forze pesanti (per la prima volta) poco a nord di Bakhmut.
  • Wagner inizia a muovere verso i campi di addestramento, l’azione si spegne completamente e anche gli ucraini sembrano placarsi.

Sempre dal punto di vista militare, vediamo cosa è cambiato.

  • La PMC Wagner non combatte più fra le forze russe.
  • La posizione dello Stato Maggiore russo rimane formalmente invariata, ma la perdita di prestigio è evidente: diversi comandanti militari di forze di élite, specialmente Spetznaz e VDV, si erano schierati con la Wagner, e nessuna unità aveva mosso un dito in sostegno al governo.
  • Gli ucraini hanno perso un’occasione d’oro per attaccare i russi mentre erano in apnea, ma per il resto la loro posizione è invariata.

In conclusione, dal punto di vista militare, TUTTI hanno perduto un’opportunità più o meno vantaggiosa; tanto le forze russe lealiste che la Wagner hanno perso prestigio, morale e coesione, mentre quelle ucraine, pur perdendo un’occasione, hanno assistito alla disorganizzazione nemica.

Più difficile l’analisi politica, i quanto tanto i fatti che le conseguenze appaiono decisamente opachi.

Poiché i fatti sono davvero troppo nebulosi e evidenziati solo da dichiarazioni pubbliche dalla veridicità difficilmente stimabile, proviamo a guardare ai risultati apparenti.

  • Prigozhin ha fallito il suo obiettivo, quale che fosse, e va in esilio in Bielorussia; in compenso ha umiliato i suoi avversari diretti Shoygu e Gerasimov dimostrando la loro impotenza sul campo, e sembrerebbe avere mano libera in Africa.
  • Putin ha contenuto la crisi all’ultimo momento, proprio quando sembrava sul punto di perdere la capitale di fronte al colpo di stato di un suo supposto fedelissimo, ma ha visto distrutta la sua aura di invincibilità, essendo stato costretto ad abbandonare il Cremlino e a chiedere aiuto a leader stranieri (Kazakistan e Iran hanno voltato le spalle, ma Lukashenka è risultato decisivo nelle trattative con Prigozhin).
  • Lukashenka appare l’unico ad averci guadagnato, in prestigio e forse anche in stabilità interna, ora che ha Prigozhin e ciò che resta della sua PMC dalla sua parte.
  • Il popolo russo ha subito uno shock violento che ha sicuramente scosso la sua apaticità: l’Autocrate è scappato, Mosca è stata sul punto di essere invasa, gli “eroi” della Wagner si sono ribellati, e soprattutto si sono sentiti dire da qualcuno di cui si fida(va)no che le motivazioni dell’”Operazione Militare Speciale” erano false.
  • Budanov, il capo dell’SBU ucraino che per sua stessa ammissione era al corrente delle intenzioni di Prigozhin, coordinandosi con lui in vista di possibili vantaggi ben maggiori, ha impedito lo sfruttamento militare dello sbandamento russo, facendo perdere un’occasione d’oro all’esercito ucraino. Ammetto però che al suo posto avrei fatto lo stesso, vista l’imprevedibilità di ciò che è poi accaduto.

Insomma, anche dal punto di vista politico non mi sembra che ci abbia guadagnato nessuno. La tesi che leggo di alcuni secondo cui in questo modo ora Putin sarebbe in grado di liberarsi di Shoygu e Gerasimov mi appare surreale: c’erano cento modi più semplici e soprattutto meno costosi in termini politici e militari per ottenere un simile risultato.

Quindi quale lettura possiamo dare di quanto avvenuto?

La risposta più ragionevole è che al momento non ce ne sono di ragionevoli, e che occorrerà aspettare la fine della guerra e l’interrogatorio dei prigionieri per dare una risposta plausibile. Sicuramente possiamo affermare che nessuno aveva pianificato le cose così come si sono poi svolte, e che quale che fosse il piano ad un certo momento qualcosa è andato storto.

Tanto il piano originario quanto la ragione per cui è saltato sono al momento semplici ipotesi, nessuna delle quali abbastanza credibile o suffragata da prove, e tutto sommato arrovellarcisi sopra potrà anche essere interessante ma è sostanzialmente inutile.

Quello che però mi sento di dire è che dubito fortemente di tutte quelle ipotesi che si basano sull’idea che le motivazioni di fondo fossero economiche. Prigozhin non è semplicemente ricchissimo di suo e nella posizione di arricchirsi ulteriormente con una certa facilità: risulta anche essere in controllo di una quota non indifferente delle ricchezze dello stesso Putin (la ragione della sua “intoccabilità”). Quindi l’idea che possa essere stato “comprato” da qualcuno, americano, russo o rettiliano, appare futile.

Più produttivo probabilmente è lo studio psicologico del personaggio, che è sicuramente un nazionalista estremista, un suprematista grande-russo e un neo-nazista, ma è anche fondamentalmente un oligarca russo con un suo deviato senso dell’onore (inteso in senso mafioso). È su questo suo “onore” che probabilmente è stato possibile fare riferimento per distoglierlo dal suo proposito iniziale.

Perché il fatto che le sue intenzioni iniziali fossero tali da collidere con l’attuale politica del regime è reso evidente dalle sue dichiarazioni iniziali, con le quali ha sostanzialmente smentito in maniera irrefutabile la versione di Putin sulle responsabilità ucraine per la guerra: dichiarazioni chiaramente concordate con la sua controparte ucraina, e fondamentalmente congrue alla visione di una persona militarmente competente, con una chiara visione della situazione e decisa ad andare contro il regime stesso per i propri scopi.

Anche la sua dichiarazione finale però è congrua alla sua mentalità ultranazionalista e imperniata sull’”onore”: dato il suo profilo psicologico, la sua preoccupazione di non “spargere sangue russo” appare credibile anche se tardiva, e sicuramente ha contribuito a supportare una decisione la cui base principale però ci appare ancora oscura.

In conclusione, chi ha guadagnato e chi ha perso da questa storia degna di un film?

Ad un’analisi immediata, a livello assoluto, ci hanno rimesso tutti.

A livello relativo, gli ucraini ci hanno rimesso meno di tutti: hanno perso un’occasione, ma sono nella stessa posizione militare di prima della crisi.

Prigozhin ha fatto un accordo che lo estromette per il momento dalla Russia: vedremo in futuro se questo gli porterà vantaggi personali, ma di sicuro la perdita della Wagner non avvantaggia davvero lo sforzo militare russo.

Putin ha perso prestigio e credibilità: ora non è più un Autocrate supremo, ma un leader indebolito circondato da gente di dubbia lealtà, consapevole della sua vulnerabilità e pronta ad approfittarne alla prima opportunità; il limite dei suoi avversari interni ora è la difficoltà di capire le lealtà reciproche fra di loro. L’orso Vladimiro di sicuro ha perso un sacco di pelo in questa storia.

Le forze russe non hanno solo perso la loro componente più efficace: hanno subito un trauma psicologico tremendo nel toccare con mano l’instabilità della nazione alle loro spalle e il livello di incompetenza e di slealtà dei loro comandanti. Intanto, di fronte a loro, i soldati ucraini hanno probabilmente smesso di mangiare popcorn e hanno riacceso i motori dei Leopard (in copertina).

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