Brexit uccide i trasportatori inglesi

Denunciano una perdita di fatturato del 68%. Si associano i pescatori

GP

Nel giorno in cui la diplomazia inglese si associa a quella dell’Unione europea, nel chiedere una riunione d’urgenza del Consiglio dei diritti umani dell’Onu per il golpe in Birmania, le conseguenze della brexit sono violentemente attaccate dai trasportatori inglesi che denunciano una perdita del 68% delle esportazioni e del loro fatturato. A questo si aggiunge che a causa della limitazione di prodotti importabili in Inghilterra i pochi camion che riescono a portare un carico in Paesi Europei, tornano sistematicamente vuoti. Un settore più che al collasso ridotto in coma profondo, da una politica dissennata.

Al coro dei trasportatori, portato avanti duramente dalle loro associazioni di categoria, si unisce quello dei pescatori, altro settore trainante dell’economia dell’isola britannica. I controlli doganali, affermano, fanno deperire il prodotto fresco, ed ormai le loro esportazioni sono pari ed eguali a zero, ed il mercato interno non è assolutamente in grado di remunerare col suo consumo il lavoro di una flottiglia commerciale tra le maggiori al mondo.

Conferme della crisi provocata dalla brexit, unitamente agli effetti drammatici del Covid, viene anche dai porti che denunciano perdite di movimentazioni pari all’incirca a quanto denunciato dagli autotrasportatori.

In questo ultimo settore qualche voce in dissenso, ma i media britannici, a cominciare da The Guardian che per primo ha denunciato i fatti, richiamano l’attenzione sul fatto che la guida dei porti è soggetta a nomina politica governativa.

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