Tre anni dopo il colpo di stato, il capo della giunta birmana è sotto una pressione senza precedenti

In copertina il generale Min Aung Hlaing, capo della giunta militare che da tre anni, dopo il colpo di stato, governa il Myanmar, e che ora sta crollando sotto i colpi armati dell’opposizione.

Gianvito Pugliese

Tutto è cominciato verso la metà del mese scorso quando. durante un raduno di pochi birmani in una Città del Myanmar, che aveva subito un pesante cannoneggiamento, il monaco filo-militare Pauk Kotaw ha proposto le dimissioni di Min Aung Hlaing, capo della giunta militare che da tre anni, dopo il colpo di stato, governa il Myanmar, sostituendovi il suo vice.

La proposta è risultata gradita dalla folla dei presenti che hanno applaudito. Si sono improvvisamente svegliati giornalisti e blogger filo-militari. Ko Maung Maung, un noto YouTuber pro-militare birmano: “Dovrebbe dimettersi da comandante in capo”, ha scritto in un post.

La Reuters ritiene che “Tali dichiarazioni pubbliche contro il potente leader della giunta birmana e il capo delle sue forze armate sarebbero state impensabili solo pochi mesi fa. Ma dopo aver preso il potere con un colpo di stato all’alba del 1° febbraio 2021, Min Aung Hlaing si ritrova nella sua posizione più debole da quando ha deposto il governo democraticamente eletto del premio Nobel Aung San Suu Kyi”.

I dubbi sulla leadership del 67enne generale fanno seguito ad una serie di sconfitte sul campo da parte dei militari in una vasta offensiva dei gruppi ribelli iniziata in ottobre, denominata Operazione 1027 .

Il collettivo mediatico Myanmar Peace Monitor sostiene che la giunta militare birmana ha perso il controllo di almeno 35 città. Il  cessate il fuoco che ha visto mediatore Pechino, ha sortito esclusivamente l’effetto di fermare gli scontri nei pressi del confine cinese. Mentre in tutte le altre parti del Paese i combattimenti continuano, più cruenti che mai.

La giunta, che rifiuta di esaminare ed affrontare le sconfitte sul campo di battaglia, ha riconosciuto la perdita di controllo di buona parte del territorio del Myanmar del territorio.

Ieri, alla vigilia del terzo anniversario del colpo di stato, Min Aung Hlaing ha prolungato lo stato di emergenza di ulteriori sei mesi, con l’obiettivo dichiarato di permettere ai militari di svolgere compiti volti a “portare la nazione a un normale stato di stabilità e pace”.

Grafica Reuters
Grafica Reuters

Reuters ha intervistato un diplomatico nel sud-est asiatico, che ha chiesto di restare anonimo: “C’è una profonda frustrazione all’interno dei militari, che si estende anche a Min Aung Hlaing personalmente. Ad alcuni piacerebbe sicuramente vederlo andare via. L’esercito sta anche lottando per reclutare soldati e costringere il personale non combattente in prima linea, il che causa un contraccolpo per Min Aung Hlaing.

Singolare, riferisce sempre la Reuters che il portavoce della giunta militare non abbia risposto alle chiamate della più importante agenzia giornalistica del mondo che chiedeva un commento dal regime.

Le perdite dell’esercito sul campo di battaglia, a dirla tutta, potrebbero non portare a un collasso e non è evidente se e come Min Aung Hlaing potrebbe essere defenestrato e chi potrebbe sostituirlo, ivi compreso il suo attuale vice Soe Win. Resta il fatto certo che quanto accaduto ha danneggiato sia la credibilità di Min Aung Hlaing sia quella dell’esercito birmano, soprannominato Tatmadaw. L’ONU li ha accusato di condurre “sistematiche violazioni dei diritti umani nel Paese“.

Richard Horsey, consigliere senior del Crisis Group per il Myanmar: “La sua scarsa prestazione sul campo di battaglia è vista come vergognosa dai nazionalisti e da altri sostenitori militari che hanno lanciato critiche pubbliche senza precedenti alla leadership del comandante in capo Min Aung Hlaing“. Ed è radicalmente mutato l’atteggiamento dei giornalisti pro-giunta, che pongono ora domande difficili al regime e al suo leader.

Moe Hein, della piattaforma di notizie pro-giunta Thuriya Nay Wun che appare spesso sulla televisione di stato, avanza pesanti dubbi sulla leadership militare dopo la caduta della città di Laukkai durante l’operazione 1027 all’inizio di gennaio: “La vittoria o la perdita in una battaglia dipende da tutti, dal comandante in capo ai comandanti delle truppe” e Scot Marciel, ex ambasciatore americano in Myanmar: “(l’esercito) sta subendo pressioni su più fronti, ha perso molto territorio e il controllo di un certo numero di città, e sembra soffrire di morale basso e scarsa leadership“.

E’ opportuno ricordare che subito dopo il colpo di stato, la giunta si è impegnata a tenere elezioni democratiche entro agosto 2023. Ma i disordini, hanno mandato in tilt giunta ed esercito che hanno tentato di reprimerli con la violenza, innescando rivolte armate a livello nazionale. Ed ora si sono uniti a gruppi ribelli decennali per combattere insieme la giunta.

Ciliegina sulla torta, l’economia del Myanmar – già indebolita da decenni di dominio militare – ha subito l’ennesimo duro colpo: gli inestimenti esteri si sono letteralmente prosciugati dopo il colpo di stato ed a questi si nono aggiunte le sanzioni occidentali.

Ora è normale assistere ad interruzioni di corrente, mancanza di beni di prima necessità, compreso il carburante, e prezzi alle stelle. Un analista finanziario ha dichiarato: “Persone di ogni ceto sociale hanno iniziato a sentire il dolore“. Ovviamente a chiesto l’anonimato avanzando preoccupazioni per la sicurezza.

Ieri il governo di unità nazionale (NUG), che comprende esponenti del partito di Suu Kyi, insieme a tre gruppi ribelli ad esso alleati, ha reso noto di essere aperto “a negoziati con l’esercito se soddisfacesse sei condizioni. Questi includono il portare le forze armate sotto il controllo di un governo civile e la fine del coinvolgimento militare nella politica. Il NUG e altri gruppi cercano di stabilire un’unione democratica federale“-

Non c’è stata alcuna risposta della giunta alla proposta del NUG. L’opposizione teme che i combattimenti siano interrotti in molte parti del Paese “quando intorno a giugno arrivano le piogge monsoniche.”

Per l’ex ambasciatore Marciel, la resistenza “ha ora una reale possibilità di sconfiggere i militari, almeno in termini di forzare i militari a cedere un sostanziale potere politicoMa è difficile prevedere quanto tempo potrebbe richiedere.