Acquasale

Un piatto della tradizione, nato per sfamare i braccianti, ora quasi da alta cucina

Nonna Camilla

Nei giorni scorsi sono tornata, un pochino in Lucania (Basilicata mi piace poco…) e, come avrete capito, se seguite questa mia rubrica di cucina semplice, ho portato a casa prodotti vari dell’orto, senza concimi o altro.

Oltre a pane, focaccia ecc…un tozzo di pane raffermo. “Cosa ne devi fare?” “Acquasale!”. Ditemi quello che volete ma l’acquasale buona come un tempo si può ottenere solo con del pane fatto in casa, con lievito madre.

Quindi eccomi all’opera. la ricetta è semplicissima, gli ingredienti pochi, ma genuini: qualche fetta di pane raffermo, qualche pomodoro, un paio di cipolle ramate o di Tropea, sale q.b., un filo d’olio d’oliva.

Preparazione: semplicissima, lavate, sbucciate e affettate sottilmente le cipolle, poi fate a cubetti grossolani i pomodori o pomodorini, quello che preferite. Quindi in una pentola bassa o una bella padella, mettete un paio di bicchieri d’acqua e aggiungete le cipolle, quando saranno appassite aggiungete i pomodori e lasciate andare a fuoco medio, controllate e rigirate di tanto in tanto, se l’acqua si consuma, aggiungetene altra, si deve creare una specie di sughetto che deve inzuppare ed ammorbidire il pane, aggiustate di sale.

Nella nostra tradizione famigliare l’olio d’oliva, non viene mai soffritto, ma aggiunto solo quasi a fine cottura per non disperderne sapore e benefici.

Mentre la vostra acquasale va, tagliate del pane casereccio (cafone) a fette e posizionatelo in una coppa.

Appena i pomodori e le cipolle saranno cotti, il vostro condimento sarà pronto, con un mestolo o un cucchiaio grande condite bene tutta la coppa di pane e lasciatelo riposare per qualche minuto. La vostra acquasale è pronta per essere servita!

Questa pietanza, o meglio, un pane condito, da sempre è stato usato nella mia famiglia quando avevamo dei lavoranti stagionali o a giornata. Nella nostra masseria, c’erano degli usi e consuetudini sulla alimentazione di questi uomini, anche donne, che avevano bisogno di energie per lavorare: la mattina verso le 6,00 ogni lavorante riceveva una bella fetta di pane, la uastedd’, tagliata da un lato all’altro della forma di pane, generalmente metà lo mangiava subito, metà lo conservava nel suo tascapane, bisaccia, per consumarlo dopo, o portarlo a casa. Spesso, questo pane veniva accompagnato da un cipolla fresca, consumata a morsi.

Verso le 10.00-11.00 i lavoratori facevano una pausa, era un momento di m’brenna, merenda. Era il momento del pane condito, spesso accompagnato da uno o più uova in camicia o fritte, poggiate sulle fette di pane, magari con una bella spolverata di formaggio, anche qualche peperoncino, se gradito. Solo alle 17.00, quando si finiva il lavoro, c’era il vero pranzo, tavolate sull’aia, strascitati o altra pasta condita con ragù di pecora, pezzi di carne o salsiccia, contorni di peperoni, insalate, quello che c’era. Molti uomini conservavano qualcosa int’ alla scutedd, una scodella di legno sagomato, che si avvitava, e poi int’au tascappane, da portare in famiglia. Mogli o figli che aspettavano oltre alla paga, qualcosa da mangiare. Dipendeva dalla loro generosità e spesso anche dai pacchettini di cibo che si distribuivano a chi aveva famiglie numerose o problemi. Era un atto di vera generosità, un atto che mia nonna faceva in silenzio, quasi in privato, un atto che non toglieva dignità a nessuno, proprietari o lavoranti. Se qualcuno chiedeva qualcosa, faceva spallucce “Noi ne abbiamo, abbiamo bestiame, galline, uova, formaggio, possiamo darne”.

Molti volevano lavorare da noi, paga giusta e buon cibo. Spesso venivano a chiederlo, la sera precedente a casa. La prima frase, di nonna, dopo la buonasera era “Hai mangiato? Aspetta, qualcosa era sempre “in più”; forse non lo era, ma l’altruismo ed un sorriso pagano sempre.

Provate e gustate questo pane condito molto semplice ed economico, lo apprezzerete, parola di nonna Camilla.

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