Sergio Mattarella all’800° della fondazione dell’Università degli Studi di Padova.

Ha partecipato alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2021/2022

La redazione

Padova, 19/05/2022 (II mandato)

Registro, con soddisfazione, negli interventi una netta prevalenza femminile. È un bel segnale in questo anniversario.

Rivolgo un saluto molto cordiale a tutti i presenti. Saluto e ringrazio, per i loro interventi, il Presidente del Senato, la Presidente del Parlamento europeo, la Ministra dell’Università.

Rivolgo un saluto al Presidente della Regione, al Presidente della Provincia, al Sindaco e, attraverso di lui, a tutte le cittadine e a tutti i cittadini di Padova.

Un saluto ai Rettori degli altri Atenei presenti, con un ringraziamento per l’attività svolta dai loro Atenei. Un saluto particolarmente intenso al Corpo accademico, al personale tecnico-amministrativo e agli studenti di questa Università.

Ringrazio la Magnifica Rettrice per l’invito a tornare qui, in questo Ateneo, in questa straordinaria ricorrenza. Ottocento anni sono un periodo straordinario, un ordine di grandezza che supera, travalica le abituali categorie temporali con cui ci confrontiamo di solito. Ed è una condizione che induce – vorrei dire quasi provvidamente costringe – a rifuggire da una tentazione diffusa, non soltanto in questo tempo ma sostanzialmente sempre: quella di rinchiudersi in un eterno presente, che fa ignorare l’esperienza del passato e fa trascurare le prospettive del futuro e le conseguenze dei comportamenti di oggi sul futuro.

Capisco bene quindi, comprendiamo tutti bene i sentimenti che la Rettrice ha poc’anzi espresso nella sua eccellente relazione: sentimenti insieme di orgoglio e di senso di responsabilità; di orgoglio per questa storia; di responsabilità non soltanto nel ricordarla ma nell’inverarla costantemente attraverso le stagioni che cambiano e di fronte alle esigenze che mutano.

Il discorso di Mattarella

Questo è un compito straordinario, perché le Università sono alla base e alle fondamenta dell’Europa, della sua comunanza, della sua integrazione, a partire dall’inizio del Millennio precedente quando, nei primi due secoli, sono sorti i primi Atenei che erano Atenei europei, del mondo allora conosciuto e frequentato. Atenei in cui si incontravano, discutevano, dibattevano e costruivano teorie, distribuendo insegnamenti e apprendimenti, persone, protagonisti, docenti e studenti di ogni parte d’Europa.

Questo ha creato un tessuto di cultura comune e di valori comuni che, malgrado le differenze, è rimasto e si è accresciuto nel corso del tempo, resistendo anche all’epoca dei nazionalismi accesi, dei nazionalismi interpretati come contrapposizione tra gli Stati.

Quel tessuto culturale comune si è sviluppato, ed è quello su cui si basa oggi la convivenza europea e l’idea di integrazione nel nostro Continente.

Naturalmente con tutto questo stride oggi quello cui assistiamo: un’aggressione nei confronti di un Paese confinante, per imporgli le proprie scelte, da parte di un Paese più grande e più forte.

Ecco, riflettevo in questo periodo: dopo il tornante di millennio, allora, vi fu uno sforzo di innovazione verso il futuro che le Università sorte in quel periodo hanno interpretato, coltivato, fatto maturare e diffuso.

Questo tornante di millennio che noi abbiamo appena attraversato ci pone di fronte a interrogativi. Certo, le stagioni storiche si sono abbreviate; i mutamenti che prima avvenivano in un arco di un secolo oggi si realizzano in un arco di tempo ben più ristretto e breve.

I primi venti anni di questo Millennio abbiamo coltivato l’idea di un mondo sempre più raccolto, in cui le distanze geografiche sono sostanzialmente scomparse, in cui si comunica, in tempo reale, da una parte all’altra del pianeta, da parte di ciascuno che abbia la volontà di farlo. Un mondo in cui era, ed è, sempre più evidente l’esistenza di nemici comuni da affrontare insieme: dall’ambiente alla salute.

Lo abbiamo visto durante la pandemia. Lo sforzo della comunità scientifica internazionale, al di sopra dei confini, ha consentito di trovare vaccini, rimedi e strumenti per contrastarla in tempo velocissimo.

Ecco, tutto questo è quello che per vent’anni abbiamo coltivato e avuto dinanzi a noi come prospettiva.

Ed è stato inatteso, sorprendente e imprevedibile il tentativo di far retrocedere la Storia a qualche secolo addietro, con un Paese – appunto – più forte e più grande che pretende, con la violenza delle armi e con la forza, di imporre le proprie scelte a un Paese confinante molto meno grande e molto meno forte.

Tutto questo richiama all’esigenza di tornare ai valori dell’Europa.

Questo tessuto di valori comuni che, attraverso i popoli europei, non può essere sacrificato, lacerandosi, di fronte alla prepotenza dell’uso della forza e di imporre con le armi le proprie scelte agli altri.

Questo Ateneo ha nel suo motto, come abbiamo sentito, la libertà. La libertà di insegnare, di approfondire, di ricercare liberamente; che trova una sanzione nell’articolo 33 della nostra Costituzione sugli ordinamenti autonomi delle Università.

Ecco, la libertà è quella che poc’anzi, nella prolusione così coinvolgente, il Professor Fumian ci ha illustrato, accompagnandoci nell’esaminare le premesse della libertà e illustrandone l’intreccio così stretto che c’è tra questo Ateneo e la libertà. Un intreccio storico, concretamente vissuto.

È giusto ricordare l’intervento di Concetto Marchesi del ’43 – per l’Anno accademico che si apriva, appena due mesi dopo l’8 settembre – da cui è nata la spinta alla Resistenza contro l’invasione e l’oppressione, che da questo Ateneo è partita in maniera vigorosa, tanto da meritare, come è stato ricordato, la Medaglia d’oro per la Resistenza.

Un’azione in cui era affiancato da un altro grande latinista: Ezio Franceschini. Marchesi e Franceschini, divisi da concezioni filosofiche, divisi anche dai successivi impegni nella società, ma uniti strettamente, solidalmente, nella difesa della libertà e nell’aspirazione alla democrazia.

Questo è il patrimonio che dobbiamo difendere, quello che spinge a non chiudere gli occhi di fronte a quanto accade nel nostro Paese o altrove, in sede internazionale, particolarmente nel nostro Continente.

La Presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, 

La libertà. Poc’anzi la rappresentante degli studenti ha sottolineato quanto sia importante garantire la libertà a tutti.

La libertà non è divisibile, né socialmente, né territorialmente, perché la libertà in realtà si ottiene pienamente soltanto se ne godono anche gli altri. Perché si realizza insieme a quella degli altri.

Non c’è libertà piena se gli altri ne sono privi.

Questo vale all’interno di un Paese, vale nella comunità internazionale.

Questo spinge – ripeto – a non chiudere gli occhi, a impegnarsi perché venga ripristinato il diritto internazionale in sede internazionale, venga riaffermata quella catena di valori in cui la libertà si articola.

La libertà è indissolubilmente connessa con altri valori: l’uguaglianza, la solidarietà. Sono questi i valori che vanno coltivati, difesi attivamente.

Non vi rubo altro tempo.

Vorrei concludere richiamando un’osservazione fatta dal Professor Fumian sull’umiltà e sulla vanità. La persona umile cerca la verità. Chi coltiva la superbia è convinto di possederla.

Ecco, vorrei raccomandare agli studenti di questo e di ogni altro Ateneo di non cadere mai in quella tentazione; di coltivare sempre il dubbio e lo spirito critico.

Questo è quello che alimenta la libertà e che rende consapevoli del complesso dei valori che in Europa si sono sviluppati.

Viene in mente un passo del Siracide molto duro sulla superbia.

L’antidoto alla superbia è la cultura. Questo sottolinea l’importanza dei luoghi in cui si distribuisce, si elabora, si approfondisce cultura.

Questo Ateneo ha grandi successi sul piano dei risultati della ricerca, dell’insegnamento. Li ha anche sul piano del suo carattere nei rapporti internazionali, che non è alternativo ma si integra con un forte radicamento territoriale, come dimostrano le numerose sedi integrate in un ampio territorio di riferimento.

Ecco, questo fanno i nostri Atenei.

E l’antidoto alla superbia, alla prepotenza, all’arroganza, alla violenza è, appunto, la cultura.

Per questo auguro a questo Ateneo, come a tutti gli altri che li hanno aperti, buon Anno accademico.

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