La storia siamo noi

Dagli Stati Uniti all’Europa, quanto pesa la deriva populista e il sovranismo

Giovanna Sellaroli

Giorno 126 della guerra, 2.811 missili russi hanno colpito le città ucraine dall’inizio della guerra. Lo afferma Zelensky, e aggiunge che “La Russia è uno stato terrorista”.

Dal primo giorno, da quel maledetto 24 febbraio, nei miei articoli, ho scandito giorno per giorno i dì di guerra (e noto con piacere che la cosa è piaciuta), ma oggi non voglio parlare della guerra, del campo di battaglia, anche se ritengo necessario non allentare l’attenzione sul conflitto, sulla cronaca quotidiana, sul racconto circostanziato dei fatti, piuttosto che perdersi in attestazioni a tutta pagina.

Oggi, al netto di questi drammatici 126 giorni, che hanno stravolto gli equilibri geopolitici del mondo intero, quello che agita i pensieri è la consapevolezza che stiamo vivendo una fase chiaramente involutiva e peggiorativa delle cosiddette democrazie liberali. Rigurgiti reazionari che non sappiamo neppure individuare e combattere, nazionalismi e derive autoritarie, minoranze organizzate, mosse da ideologie estremiste e fomentate da poteri forti gestiti da pochi, capaci di imporsi su maggioranze sempre più indifferenti e abuliche, che stanno resuscitando un mondo primitivo che si pensava ormai sorpassato. e relegato nei libri di storia.

E attenzione, non sto assolutamente tessendo il funerale dell’Occidente agonizzante e corrotto, questo può dirlo il povero Medveded caduto in disgrazia presso la corte dello zar. Osservo i fatti, li metto in fila e ho la sensazione che le vecchie dinamiche conservatrici crescano rigogliose e diventino terreno fertile per intere popolazioni del terzo millennio; generazioni di persone sempre più avulse e disorientate, negli Stati Uniti come in Europa.

E, per dare corpo a queste sensazioni, come sempre, sto sulle notizie del giorno, dell’ultima ora, un dovere per ogni giornalista che deve informare, rappresentare i fatti, prima di tutto. 

Oggi i giornali americani dedicano ampio spazio all’assalto a Capitol Hill avvenuto il 6 gennaio 2021, con le dichiarazioni esplosive della super testimone  Cassidy Hutchinson,  stretta collaboratrice dell’ex capo del personale di Trump, Mark Meadows. Diventata la testimone chiave dell’udienza pubblica convocata nel giro di 24 ore dalla commissione parlamentare d’inchiesta sull’assalto al Congresso per rivelare “prove acquisite di recente” che “tutti gli americani devono sentire”. Secondo la Hutchinson Donald Trump voleva tornare a Capitol Hill quel 6 gennaio 2021 durante l’assalto dei suoi sostenitori al Campidoglio Usa, consapevole del fatto che molti dei suoi sostenitori erano armati.

Cassidy Hutchinson

«Sono il presidente, cazzo, portatemi là», avrebbe urlato Trump al capo della sua sicurezza, afferrando lui stesso il volante nella ’Beast’, l’auto blindata presidenziale. A un certo punto il presidente avrebbe anche preso per le spalle l’uomo lasciandolo poi andare.

Donal Trump

Cassidy Hutchinson ha confermato anche alcune delle affermazioni più inquietanti fatte da Trump, fornendo anche nuovi e clamorosi elementi. L’ex presidente, le fu riferito da Meadows, pensava veramente che il suo vice Mike Pence «meritasse» di essere impiccato, come urlava la folla a Capitol Hill, per essersi rifiutato di invalidare l’elezione di Joe Biden.

Trump, che accese la fiamma della rivolta, come Putin, nega. È una falsa totale e una delatrice, dice.

Ecco, Trump, come Putin, come Orban, come Erdogan, come Grillo è frutto di scelte. Di scelte sbagliate, di occasioni perdute, di facili messia osannati da piccoli gruppi di potere occulto.

Nei giorni appena passati, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha abolito la storica sentenza ‘Roe vs. Wade’, con cui nel 1973 la stessa Corte aveva legalizzato l’aborto negli Usa. I singoli Stati americani saranno quindi ora liberi di applicare le loro leggi in materia. La decisione del massimo organo giuridico americano ha ovviamente sollevato un coro di proteste e tensioni in molte città degli Stati Uniti, con una risonanza in tutto il mondo.

Supreme Court of the United States

A riscrivere, in un certo senso, la storia dell’America mandando in pensione il diritto all’aborto, e regalando ai conservatori una vittoria che agognavano da anni, è stata quella Corte Suprema targata Donald Trump.

Vittorioso alle elezioni del 2016 Trump nominò inizialmente Neil Gorsuch alla Corte Suprema mantenendo così l’equilibrio fra i saggi, nel 2018 il tycoon fece una seconda nomina, quella di Brett Kavanaugh. Una scelta però, che aprì una delle pagine più difficili della storia della Corte Suprema. Nel mezzo del processo di conferma infatti Kavanaugh fu accusato di aggressione sessuale da Christine Blasey Ford. Accuse pesanti che negò con forza e che, grazie all’appoggio incondizionato di Trump e dei repubblicani, riuscì a superare incassando la conferma in Senato.

    La morte della compianta Ruth Bader Ginsburg, la voce progressista della Corte, nel 2020 concesse a Trump una terza nomina, quella in grado di alterare gli equilibri fra i saggi facendo virare definitivamente la Corte a destra per gli anni successivi, le nomine infatti sono a vita.

Ruth Bader Ginsburg

Diede il contentino ai democratici scegliendo una donna, Amy Comey Barrett, super mamma di sette figli e una vita da attivista anti abortista.

President Donald J. Trump (L) and Justice Amy Coney Barrett

E pensare che Trump, fin dal 2016 fu un presidente di minoranza: su scala nazionale ricevette circa 3 milioni di voti in meno di Hillary Clinton. Ben due degli ultimi tre presidenti (George W. Bush e appunto Donald Trump) sono stati eletti da una minoranza dei votanti. Un fenomeno che dalla fondazione della repubblica in poi si era verificato solo nel 1876 e nel 1888.

Certo, il motivo della distorsione è insito nel complesso sistema di voto americano e il meccanismo dei grandi elettori porta anche a questo, però le scelte dell’elettorato contano.

Il voto conta. Il non voto conta anche di più, basti pensare all’astensionismo record delle nostre amministrative, o, ancora peggio, al referendum sulla Giustizia, con gli italiani che hanno disertato le urne, condannando tutti all’ingiustizia.

Ma torniamo al presente con una similitudine dal sapore provocatorio che pongo in termini spiccioli e mi chiedo: qiale potrebbe essere la differenza tra il premier Draghi e un leader sovranista? Il sovranista va in Europa, chiede il price cup, non lo ottiene, torna a casa e comincia una campagna delatoria contro i soloni, gli sfruttatori di Bruxelles.

Draghi, dal canto suo, va a Bruxelles, chiede il price cup, non lo ottiene. Non fa una piega, va al G7 e porta a casa il risultato.

Invece di fare tante chiacchiere, anche su presupposti sbagliati, sarebbe più utile per tutti chiedersi perché stiamo vivendo questo ritorno al passato, quali scelte possano aver influito su questo rigurgito di medioevo in chiave moderna.

La notizia, definita storica è giunta ieri sera, alla vigilia del vertice Nato di Madrid, è stato siglato l’accordo tra Turchia, Svezia e Finlandia, dovrebbe segnare un punto a favore della Nato.

La Turchia ha ritirato il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Decisivo l’incontro con Erdogan dei leader dei due Paesi scandinavi che hanno sottoscritto un memorandum che secondo fonti di agenzia, accoglie le richieste di Ankara sulla lotta al Pkk e la fine dell’embargo alle forniture militari.

La Turchia ottiene quello che vuole“, affermano le fonti, “grazie alla posizione determinata del presidente Recep Tayyip Erdoan, la Turchia ha ottenuto notevoli progressi nella lotta contro le organizzazioni terroristiche“.

Resta un dubbio, Erdogan abbozza e dice sì? Cosa ha convinto  il dittatore? Cosa gli è stato promesso in cambio? Questo lo scopriremo presto, certo non oso pensare alla situazione drammatica del povero popolo curdo, non ai terroristi veri.

Oggi Stoltenberg prima dell’inizio del summit di Madrid, i leader dell’Alleanza atlantica ha dichiarato “adotteranno una decisione storica, invitando la Finlandia e la Svezia a diventare membri della Nato”. “La politica delle porte aperte della Nato – ha spiegato il segretario generale – è un successo, abbiamo mostrato di saper risolvere i problemi attraverso le negoziazioni, con l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’alleanza saremo tutti più sicuri”.

Staremo tutti più sicuri anche se saremo partecipi di scelte consapevoli che non spalanchino le porte a populismi, se non daremo credito a governanti che capestano diritti civili, infrangono regole, impongono gerarchie anche laddove diventano dittature.

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