Giorno 126

G7 e conferenza Atlantica a Madrid minano sempre più l’economia e la resistenza russa giù molto ridotte.

Orio Giorgio Stirpe

Che il G7, con tutti i suoi difetti e limitazioni, rappresenti quanto di più simile esista ad un “governo mondiale”, oppure che sia solo il “direttorio” dell’Occidente, in ogni caso raccoglie in sé un potere decisionale che non ha uguali sul pianeta. Il fatto che al suo interno si riesca a trovare l’unanimità per assumere decisioni importanti è indice dell’uniformità di vedute dei partecipanti sui problemi principali, e quindi di una comune visione del mondo.

Stiamo parlando della totalità dell’Europa e del Nordamerica, a cui si aggiunge a pieno titolo il Giappone, quindi solo di una parte del pianeta, che però è anche quella più evoluta; la volontà di allargare il campo alle istanza del resto del mondo – e quindi di assumere autorevolezza anche presso le altre Nazioni – è dimostrata dall’invito rivolto ad altri Paesi fortemente significativi e rappresentativi degli altri continenti: Argentina, Sudafrica e India, che si sono uniti ai lavori il secondo giorno.

Tutto questo per dire che i risultati di un tale evento sono significativi; e molto.

Che un tale consesso assuma una posizione univoca e decisa contro un ex-membro – espulso in precedenza proprio per la sua aggressione all’Ucraina nel 2014 – colpevole di aver scatenato una guerra in Europa, è estremamente indicativo.

C’è un grande sforzo da parte della propaganda del Cremlino e dei minions che la rilanciano per cercare di mascherare l’isolamento della Russia in questo frangente. Si è cercato di dipingere l’incontro dei BRICS come un evento alternativo al G7 dove la Russia incontrava la solidarietà delle Potenze emergenti, ma da tale incontro non è uscito alcun atto di sostegno a Putin, tranne la riaffermazione di quanto già espresso all’ONU, dove tre dei quattro altri membri della riunione si sono astenuti e uno ha votato contro la Russia; due dei tre astenuti hanno poi raggiunto il G7 rimarcando la loro vicinanza all’Occidente; rimane la sola Cina, che se da un lato esprime solidarietà politica e acquista (sottocosto) materie prime sanzionate, dall’altra disinveste in modo pragmatico da un’economia che evidentemente non sembra promettere molto bene neppure a lei.

In generale, si cerca di imporre il messaggio secondo cui chi non partecipa alle sanzioni non sarebbe allineato con l’Occidente e quindi sosterrebbe la Russia: la solita visione binaria, secondo cui chi non è “contro” è necessariamente “con”. Peccato che a parte la Cina, tutte le Nazioni che confinano con la Russia partecipano al regime di sanzioni, e che quindi l’unico confine terrestre attraverso cui la Russia può commerciare sia anche quello più distante dal suo cuore economico. Considerato che la flotta aerea commerciale russa è bloccata a terra per la chiusura degli spazi aerei e soprattutto per la mancanza di parti di ricambio, assistiamo ad un vero blocco commerciale.

Rimane il trasporto marittimo; ma la Russia notoriamente non è una potenza marittima e conta per i suoi commerci su compagnie di trasporto occidentali, che partecipano al regime sanzionatorio. Certo, ci sono anche compagnie indipendenti registrate presso Paesi emergenti: alcune di loro sono anche disposte a trasportare le merci russe a caro prezzo… Ma pretendono assicurazioni elevate; e le compagnie di assicurazione – e soprattutto di riassicurazione, che coprono le prime – sono in larga parte occidentali e partecipano al regime sanzionatorio.

Insomma, la Russia può ancora esportare attraverso il confine cinese – ovviamente alle condizioni cinesi – e riesce ancora a spedire un po’ di petrolio utilizzando vetuste petroliere iraniane e indiane lungo rotte lunghissime, ma la sua fonte principale di introito rimane lo stesso Occidente con la sua dipendenza da gas; e il G7 ha stabilito in via definitiva di bloccare le importazioni appena possibile. Ci vorrà ancora qualche mese; magari un anno, ma ci si arriverà.

Un aspetto geopolitico di queste decisioni di ritorsione economica da parte del G7 contro la Russia, che non è ancora stato sufficientemente analizzato, è la lettura che ne deve avere la Cina stessa.

Personalmente ho quasi l’impressione che il vero bersaglio delle decisioni operative del G7 non fosse tanto Mosca, quanto proprio Beijing (ndr.Pechino in cinese). È un fatto che già il giorno dopo la chiusura del G7, Washington ha annunciato sanzioni contro cinque imprese cinesi, e questo sembra proprio inteso a mandare un messaggio piuttosto chiaro: se la Cina tentasse un colpo simile a quello della Russia in Ucraina, magari contro Taiwan, la risposta sarebbe analoga.

La Russia dispone di una limitata capacità autarchica: accettando un regresso delle condizioni di vita le è possibile sopravvivere chiusa entro i propri confini facendo affidamento sulle proprie sole risorse e affrontando stoicamente il collasso della propria economia… Almeno per un certo periodo, finché la popolazione non si ribella.

La Cina non ha questa opportunità. La Cina importa quasi tutte le sue risorse primarie e le paga con gli introiti del suo export verso l’Occidente: se l’Occidente dovesse bloccare le importazioni dalla Cina, Beijing non avrebbe di che acquistare le sue materie prime all’estero… Neppure il gas sottocosto di Putin. Il regresso ai tempi di Mao prenderebbe pochi mesi, e il patriottismo non salverebbe il partito comunista dall’ira delle popolazioni rurali affamate, con le quali esiste un patto sociale ben preciso: lavoro e obbedienza in cambio di progresso economico costante.

La dirigenza cinese è perfettamente consapevole di tutto questo. Per questa ragione più che solidarietà verbale, non offrirà alla Russia.

Quindi l’orso è solo. Magari confortato dalle parole di incoraggiamento di qualche nostalgico amico lontano, ma privo di qualsiasi sostegno materiale. È vero che la Russia è grande e ha molte risorse… Ma è isolata di fatto. Il blocco economico dell’Occidente non è un’arma che funziona in pochi mesi; contro la Germania guglielmina occorsero quattro anni, ma l’effetto fu devastante, e nessuno vuole vederlo di nuovo.

Intanto poi, c’è la guerra da sostenere: una guerra offensiva ad alta intensità, che succhia risorse che non ci sono.

Il G7 ha stabilito regole per sostenere il conflitto a lungo termine. Ha stabilito – su richiesta italiana – di imporre un tetto al prezzo del gas e del petrolio; ha stabilito di sostenere lo sforzo bellico ucraino indefinitamente, intervenendo sulle spese militari delle Nazioni, e nel frattempo di impegnarsi direttamente per affrontare l’emergenza alimentare indotta dal conflitto e che sta colpendo quei Paesi terzi che sulla condanna della Russia all’ONU si erano astenuti: Paesi che sanno a chi è dovuto il loro problema, e che sapranno chi sarà a fornire loro aiuto.

Si continua a ripetere che il tempo giocherebbe a favore dei russi nella loro invasione; non è così. La fatica del conflitto grava su tutti anche se in maniera differente, ma è l’economia russa quella che non ha prospettive davanti a sé, e che può solo continuare a declinare irreversibilmente nelle condizioni di isolamento in cui si trova e senza amici disposti a fornire un aiuto concreto.

L’Ucraina ha alle spalle il G7. L’aiuto dell’Occidente potrà essere lento e inefficiente, ma è costante e destinato ad ampliarsi man mano che le economie europee si mobilitano per sostenere il conflitto: le industrie militari russe sono ferme, quelle europee stanno appena partendo ora.

Il G7 ha preso una serie di misure politiche ed economiche di portata globale per sostenere il conflitto in Ucraina contro la Russia.

Oggi si è aperta a Madrid la conferenza dell’Alleanza Atlantica, dove saranno decise ulteriori misure politiche nella stessa direzione, e in più ne saranno prese anche di militari.

Non ci sono buone notizie in vista per l’orso Vladimiro; ma lui si consolerà con la distruzione di qualche altro villaggio nel Donbass…

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