Caffè con il lettore

L’otite di Tajani, che dall’orecchio sinistro sente assai male o non sente proprio.

Gianvito Pugliese

Tajaini è politico di lungo corso, abilissimo, glielo dobbiamo riconoscere, a scansare i pericoli, tanto da essere l’unico dei tanti delfini del re di Arcore, novella Medea, ad essere sopravvissuto, almeno fino ad oggi. Ha, indubbia esperienza diplomatica, affinatasi ancor più negli anni in cui in Europa ha rivestito incarichi di peso come la Presidenza del Parlamento europeo dal 2017 al 2019. Ma dall’orecchio sinistro, pare soffra d’otite o essere totalmente sordo, Poco attento alle considerazioni dell’opposizione, anche se a dirla tutta, è il meno disattento della combriccola.

Il mediatore per eccellenza, attualmente, quello che nella corte dei miracoli del Cavaliere ha preso anche il posto del saggio consigliere di un tempo, quel Gianni Letta, zio di Enrico Letta, artefice, quanto pochi altri, delle fortune politiche del Berlusconi.

Non sarà solo colpa del Ministro degli Esteri italiano, ma i media ripetono in continuazione le sue parole che si riferiscono “ad una reazione sproporzionata della Francia verso l’Italia”. Parlare di “reazione” è già molto diverso dalla versione dei Fratelli d’Italia, monolitici e dal pensiero unico, che ripetono a pappagallo “Macron ha problemi interni (ndr. non ha più la maggioranza in parlamento) e scarica la “frustrazione” -qui le sole varianti: ira, rabbia, paura…- sull’Italia. Peccato, che giorni prima aveva incontrato la Meloni e qualche accordo per procedere a braccetto in Europa, come già con Draghi che per Macron e Scholz era diventato “la stessa polare”, la guida delle azioni congiunte. Una giravolta così repentina, se ingiustificata, avrebbe danneggiato l’immagine del Presidente francese, che in materia è un vero esperto, non come certi pupazzetti di Vostra, care lettrici e lettori, e nostra conoscenza. In realtà non mi sembra peregrina la tesi che esprimevano alcuni autorevoli Colleghi in diversi tolk show, stamani tra La7, TGRai24 e …, secondo cui la provocazione inaccettabile -o quantomeno, ritenuta tale all’Eliseo- sarebbe venuta dal nostro indipendente (ndr. ma non troppo) ministro dell’interno Matteo Piantedosi, che molti danno per più vicino a Salvini che alla Meloni. A prescindere dalla sua ricorrente frase “Sui diritti umani, non prendo lezioni da nessuno”, salvo smentirsi da solo sul fabbisogno di lezioni, avendo chiamato un attimo prima ed anche dopo i naufraghi sofferenti “carico residuale”. Squallida la difesa d’ufficio “si tratta di un linguaggio tecnico” il linguaggio tecnico o comune esprime i nostri pensieri e sentimenti, non altro. Che poi il linguaggio dei politicanti di mestiere sia un mezzo per nascondere pensieri e verità è altrettanto incontestabile. E Piantedosi anziché ringraziare la Francia per esseresi dichiarata pronta ad accogliere nei propri porti due delle quattro navi approdate a Catania, ha voluto ricordare che fino a quel momento la Francia non ci aveva maia aiutati. Forse non da che i migranti ricollocati sono principalmente in Germania e Francia, ed in l’Italia paese di transito delle rotte migratorie ne resta una minoranza. Si legga cortesemente la relazione annuale sui flussi migratori della “FONDAZIONE MIGRANTES” Organismo Pastorale della Cei -Conferenza episcopale italiana.

Se così fosse, e per amor di Patria mi auguro di prendere una cantonata -“il Patriota”, presidente del Consiglio Meloni, è stato il suo predecessore, non certi individui da Lei indicati, come tali, recentemente- dietro la provocazione, solo la prima di una serie progressiva, che ha creato un incidente diplomatico al più alto livello, (ndr. negarlo, come fanno i meloniani, è un’insulto all’intelligenza degli italiani) potrebbe esserci la manina del segretario leghista, che non fa mistero di essere filoputiniano, ancor oggi c’è una convenzione, rinnovata da poco, che impone la collaborazione tra il partito di Putin e la Lega di Salvini, e questi sono fatti, le chiacchiere stanno a zero, ed ancor meno fa mistero di voler uscire dall’euro e dall’Europa matrigna, rea si essere un’attento controllore dei conti e dei debiti pubblici dei Paesi membri. Certo, è un’ostacolo a far crescere ulteriormente il debito pubblico del nostro Paese, già ora pari al 150% del Pil (ndr. il prodotto interno lordo, in parole povere “il totale del denaro prodotto dal Paese in un intero anno”, attenzione non il profitto, ma l’intero ricavato al lordo dei costi di produzione e di qualsivoglia altro genere). Perché? Per il fatto che è più semplice governare accontentando tutti, distribuendo soldi e benefici a destra e a manca e così riconquistare consenso, che amministrare con la diligenza e correttezza del buon padre di famiglia. Tanto, poi, i debiti fatti dovranno rimborsarli gli italiani, non i privilegiati con conti e residenze all’estero, ma quelli che lavorano e vivono, faticando magari a mettere insieme il pranzo con la cena.

Temo che la Meloni, a cui voglio dare il beneficio della buona fede, se così non fosse sarebbe un’immane tragedia, non sia “non ricattabile” come ha precisato in un paio di scontri coi suoi soci di minoranza, ma solo sulla carta. Al momento sembrano loro a dettar legge. D’altro canto, sono i due che, con l’aiutino da casa di Conte, hanno mandato fuori da Palazzo Chigi Mario Draghi, che non è stato sfiduciato, ma si è dimesso per una dignità sconosciuta ai suoi killer. Da temere, dunque, se non accontentati. L’amore per la poltrona fa brutti scherzi. Devo confessarVi di saperne qualcosa. Magari capiterà di parlarne.

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