Ricciardi: “Italia pronta a valutare il modello Seul”

Dopo le pressioni giunte da più parti, il governo valuta una “fase due” nel contrasto al Covid-19

Avevamo già parlato precedentemente del modello Seul o Taiwan, anche noto come il modello delle tre “T”: Test (“testare”), Treat (“trattare”) and Track (“tracciare”).

Le implicazioni che comporta, soprattutto in relazione al rispetto della privacy, sono tante e anche abbastanza note. Tuttavia l’avanzata poderosa del contagio, soprattutto in Lombardia, sta spingendo il governo e soprattutto Walter Ricciardi, consulente scientifico di quest’ultimo, ad introdurre nuovi strumenti per combattere il Coronavirus.

L’accelerazione decisiva la si è avuta, verosimilmente, a causa del drammatico aumento dei contagi e alla continua ascesa del numero dei decessi: solo ieri oltre 600 morti.

Il governo non può fermarsi alle ulteriori restrizioni già messe in campo, come il divieto di praticare sport lontano dalla propria abitazione, ma deve imprimere un’accelerata decisa. Gli ospedali lombardi sono ormai al collasso e in tutta Italia si sta diffondendo la paura che il virus sfondi presto nelle zone dove, finora, non è, ancora, fortunatamente arrivato. Una simile progressione di contagi al sud, per esempio, meno attrezzato a gestire una simile emergenza sanitaria, provocherebbe dei danni ancora superiori.

A dare manforte a questa strategia sono i numeri della Corea del Sud. Il paese asiatico, dopo i primi tempi nei quali la curva dei contagi segnava una crescita esponenziale, anche superiore a quella italiana, ha introdotto un sistema di monitoraggio dei tracciamenti.

Il modello adottato a Seul consiste nello “spiare” le persone risultate positive al coronavirus, anche, anzi soprattutto, quelle asintomatiche, attraverso vari dati: il GPS dello smartphone, le carte di credito, le telecamere di sorveglianza. Attraverso tutte queste informazioni, le autorità coreane hanno mantenuto sotto controllo tutti i soggetti potenzialmente entrati in contatto con Covid-19 e li hanno isolati, in casa o in ospedale, in base alle loro condizioni di salute. Tramite un’app, infine, vengono segnalati i luoghi frequentati dai soggetti a rischio e, chi li aveva frequentati, poteva sottoporsi volontariamente al test.

È un modello replicabile in Italia?

Difficile rispondere adesso… La battaglia più semplice è quella dal punto di vista tecnologico. Compagnie telefoniche, banche e altri “soggetti” simili hanno già offerto la loro disponibilità al governo.
Le resistenze più grosse sono sulla limitazione alla privacy. Tuttavia, se si risolvesse anche questo problema, magari con una legge ad hoc, la sperimentazione potrebbe partire anche subito.

A quel punto, però, permarrebbe un margine di incertezza tra due posizioni: chi sostiene di applicare il modello Corea del Sud alle regioni del Sud, dove il contagio è meno esteso e chi pensa, come Ricciardi, che, invece, possa essere implementato anche in Lombardia.

E voi, gentili lettrici e cari lettori, cosa ne pensate? Sareste pronti a privarvi di una considerevole fetta della vostra privacy in cambio di un supporto significativo nel contrasto al Covid-19?