La “guerra mondiale” d’Africa

Alta tensione tra Repubblica Democratica del Congo (RDC) e Ruanda. Nuova offensiva dei ribelli di M23 nel Kivu
In esclusiva per i lettori della Voce News l’opinione di Matteo Giusti, giornalista, analista e africanista

Giovanna Sellaroli

Esce oggi l’ultimo libro di Matteo Giusti, giornalista e analista di Limes, africanista per il Manifesto e Radio Immagina, “La loro Africa, come l’Europa ha perso il continente africano”, edito da Castevecchi, con la prefazione dell’ambasciatore Sergio Romano, una fotografia dell’attuale situazione che vede l’Europa, soprattutto la Francia, venire sbattuta fuori da quella che è sempre stata una sua zona d’influenza, mentre gli Stati Uniti per scelta abbandonano il continente africano. Perdere la partita africana potrebbe essere un danno irreparabile per il ruolo geopolitico dell’Europa nel futuro mondiale, afferma l’autore nel libro, un volume che arriva proprio in questi giorni in cui è altissima la tensione tra Congo e Ruanda.

Matteo Giusti
giornalista, analista e africanista

Il gruppo M23 è tornato ad avanzare nel Nord Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo. Gli attacchi sono cominciati la scorsa settimana a nord della città di Goma, nei pressi delle frontiere con Uganda e Ruanda.

Come riporta Africanews, il capo dell’Unione africana Macky Sall ha chiesto “calma e dialogo” tra la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Ruanda, dopo che entrambe le parti hanno accusato l’altra di sostenere i gruppi ribelli che hanno lasciato il loro confine condiviso. E si è detto gravemente preoccupato per la crescente tensione tra il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo, in un tweet in risposta all’escalation delle tensioni negli ultimi giorni tra i due paesi vicini.

L’agenzia Reuters sottolinea che si tratta dell’offensiva più cruenta dal 2012-2013, con forti ricadute sulla crisi umanitaria nel Paese. Nella Repubblica democratica del Congo si registrano già 5,6 milioni di sfollati, quasi 2 milioni dei quali nella sola provincia del Nord Kivu. I combattimenti più violenti, scrive l’agenzia Reuters, si sono consumati a circa 20 chilometri da Goma, la città principale nell’area orientale del Paese.

A Congolese civilian pushes a Tshukudu outside Goma in the North Kivu province of the Democratic Republic of Congo May 24, 2022. REUTERS/Djaffar Sabiti

Il momento che stiamo vivendo, la grave aggressione da parte della Russia a un Paese sovrano, l’Ucraina, e la guerra dell’energia e quella del grano, hanno inesorabilmente riportato al centro della politica e geopolitca mondiale il continente africano. Un gigante dormiente lo definisce Matteo Giusti che “ha intrecciato la sua storia con quella di tutto il mondo e le sue ricchezze sono state il desiderio e l’obiettivo delle potenze che nella storia si sono alternate al potere.

Ma negli ultimi 20 anni molte cose sono cambiate in Africa. La vecchia Europa e gli Stati Uniti sono stati lentamente estromessi e al loro posto hanno guadagnato spazio e importanza le cosiddette “potenze emergenti”. Cina, Russia, Turchia e Israele sono diventati i nuovi padroni del continente africano, creando legami fortissimi che hanno permesso la crescita delle loro economie e che prevede un ruolo egemone per questi nuovi attori nell’immediato futuro”.

E ai nostri lettori della Voce News, Matteo Giusti racconta e riassume al meglio la contemporaneità del continente africano, offrendoci un quadro dell’attuale situazione in Congo e in Africa.

La Repubblica Democratica del Congo è finita ancora una volta in una spirale di guerra e violenza che sta distruggendo ogni speranza di un futuro per il suo popolo. Nelle province orientali, ricchissime di materie prime fondamentali, prima i miliziani di un movimento chiamato M23 hanno iniziato a bruciare i villaggi costringendo migliaia di persone a fuggire, poi hanno attaccato anche la forza di interposizione delle Nazioni Unite Monusco in Congo da vent’anni. L’esercito regolare congolese si è dimostrato ancora una volta inabile a difendere il proprio Paese e ha perso ogni giorno terreno.

Nel frattempo quella che sembrava l’ennesimo episodio di violenza in una terra martoriata, è diventata una guerra vera e propria, quando il Ruanda, storico sponsor del M23, ha schierato il suo piccolo e organizzatissimo esercito accanto ai miliziani, colpendo con forza l’esercito della Repubblica Democratica del Congo. Più a nord l’esercito ugandese, già in Congo per combattere gli islamisti, si è alleato con il Ruanda conquistando villaggi e città nel Nord Kivu. Una situazione esplosiva che in passato ha già portato a due guerre “mondiali africane” con il coinvolgimento di una decina di stati.

Infatti il Burundi, il Kenya e la Tanzania stanno cercando di mediare per evitare di essere trascinati nel conflitto, ma gli equilibri nella regione dei Grandi laghi restano fragilissimi. La capitale regionale Goma rischia di essere la prossima vittima dell’avanzata ruandese e il comandante della polizia locale ha invitato o cittadini ad armarsi di bastoni e machete per difendere le proprie case. In questa difficilissima situazione i caschi blu cercano di affiancare le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo, ma sono spesso affrontate da forze preponderanti. Gli sfollati sono decine di migliaia, le condizioni della popolazione disperate e il bottino da spartirsi immenso.

I conflitti nella regione dei Grandi laghi

In Congo sono diverse le grandi potenze internazionali che hanno interessi economici, prima fra tutte la Cina, che ha investito molto in questa zona di mondo. Coltan, cobalto, diamanti, terre rare sono il premio per chi riuscirà a vincere la guerra, ma intanto sia i miliziani che i militari ruandesi si stanno già dando da fare per esportare clandestinamente le grandi ricchezze congolesi. In Ruanda hanno aperto decine di uffici che rappresentano grandi aziende internazionali pronte a comprare le materie prime, e il piccolo Paese africano ha anche deciso di cambiare lingua passando dal francese al più commerciale inglese.

Una situazione complicata che vede soprattutto la Cina, e in misura minore gli Stati Uniti ed il Belgio, che potrebbero giovarsi della situazione sempre più precaria che il Kivu sta vivendo.

La politica cinese in Africa  è iniziata più di venti anni fa con ingenti prestiti ed enormi investimenti infrastrutturali. Aeroporti, strade, ponti e porti sono costruiti da ingegneri cinesi con soldi cinesi , soldi che i pericolanti stati africani non saranno mai realmente in grado di restituire a Pechino. La famosa trappola del debito è una metodica che in Africa funziona alla perfezione e ormai la presa cinese è talmente forte e radicata che i bambini iniziano a studiare il mandarino alle elementari. Questa corsa al continente africano della Cina è affiancata dalla Russia che vende armi e tecnologia militare, e dalla Turchia, che usa l’islam per entrare nei cuori e nelle menti del popolo africano.

La Francia ha provato a resistere ma il suo ex impero coloniale sta crollando a pezzi, mentre gli Stati Uniti dopo la politica di disimpegno dell’amministrazione Trump sta provando a riproporsi

La sfida Cina-Russia in Africa

Non è solo l’attualità legata al continente nero a destare l’interesse degli analisti. Spostiamoci in pieno Oceano Pacifico, dove, in questi ultimi giorni sta assumendo grande importanza a livello di strategia geopolitica, quanto sta accadendo nelle isole del Pacifico, dove una decina di Paesi tra cui spiccano Micronesia e Fiji, e anche le altre nazioni, Samoa, Tonga, Kiribati, Papua Nuova Guinea, Vanuatu, Salomone, Niue e Isole Cook, hanno deciso non firmare il patto di sicurezza proposto e concordato con la Cina, un mega accordo multilaterale tra Pechino e le dieci nazioni del Pacifico. Secondo il capo della diplomazia cinese Wang Yi, si trattava di una “visione di sviluppo comune” per la creazione di una zona di libero scambio, accordi su pesca, tecnologia, addestramento delle forze di polizia e soprattutto in materia di sicurezza “tradizionale e non tradizionale” che aveva messo in allarme Stati Uniti e alleati, Australia in primis.

Patto Cina – Isole Salomone

Le isole del Pacifico, conosciute come paradisi terrestri, ma molto strategiche, hanno però espresso perplessità e fatto una vera e propria marcia indietro, decidendo di mettere l’accordo “in pausa” e prendersi più tempo per riflettere. 

Matteo Giusti, lo scontro Usa Cina, non si consuma solo in Africa. Cosa sta accadendo in pieno Oceano Pacifico?

Certamente, lo scontro Cina- Usa non si consuma soltanto in Africa, ma anche in pieno Oceano Pacifico.  Il ministro degli Esteri cinese ha infatti incontrato i leader di dieci stati insulari del Pacifico, nell’ambito di un’azione diplomatica che punta ad aumentare la sfera di influenza cinese per quanto riguarda la sicurezza e l’economia del Pacifico Meridionale. Il piano di Pechino punta alle risorse naturali dei piccoli stati insulari e al controllo delle loro forze di sicurezza, tutto in cambio di cospicui prestiti e l’accesso al mercato cinese. Questo estremo dinamismo cinese ha innervosito gli Usa e da Tokyo il Presidente Biden ha rilanciato l’Indo-Pacific Economic Framework per coinvolgere le isole del Pacifico.

La diplomazia economica di Biden nell’Indo Pacifico

La controffensiva diplomatica americana, supportata da una preoccupatissima Australia, ha stoppato il piano di Pechino che ha visto sfumare la possibilità di allungare la mani sul Pacifico meridionale