Giorno 261

Ritirarsi da Kerson è per Putin politicamente disastroso . Rcco venirgli in soccorso la propaganda del regime che “inventa” trattative segrete tra Mosca e New York che scavalcano Xelenskiy e l’Ucraina.

Orio Giorgio Stirpe

Le prime informazioni credibili cominciano ad arrivare da Kherson.

Pur caotiche nel loro insieme, risultano credibili perché sembrano confermare al momento la incongruità sistemica delle decisioni militari russe e la loro totale sudditanza ad aspetti politici che – pur rilevanti – dovrebbero passare in secondo piano di fronte alle esigenze del campo di battaglia.

Chi segue i miei commenti sa che da un lato sostengo l’ineluttabilità di un ritiro russo dalla Testa di Ponte a ovest del Dnipro già da settembre, e dall’altro sono sempre rimasto scettico sull’effettiva implementazione di questa misura militarmente indispensabile ma per Putin politicamente nociva.

Per questa ragione avevo prima commendato l’iniziale apparente decisionismo del nuovo Comandante operativo russo in Teatro, che in pratica aveva affermato la necessità di prendere questa decisione “dolorosa”, e poi mi ero rassegnato (professionalmente parlando) al suo piegarsi alle decisioni del suo padrone di Mosca, che evidentemente poneva il veto a qualsiasi “passo indietro”.

Sempre per la stessa ragione sono rimasto scettico di fronte all’annuncio di Shoygu di tre giorni fa: annunciare pubblicamente una decisione militare che avrebbe dovuto essere implementata nel massimo riserbo già due mesi fa mi sembrava – e mi sembra tuttora – priva di senso… Almeno dal punto di vista militare, che è quello in base al quale ragiono io, e in base al quale credo ragionino anche tanto Zaluzhny che Gerasimov.

Ha però perfettamente senso dal punto di vista politico, almeno secondo Putin.

Andiamo per ordine. Innanzitutto: sì, il ripiegamento russo è in atto. Si sta svolgendo in base ad una serie di provvedimenti predisposti da Surovikin nelle ultime settimane in attesa della da lui sospirata autorizzazione ad eseguirlo.

Ma si sviluppa attraverso il contrasto messo in atto dagli ucraini del Comando Sud, che a loro volta stanno chiaramente mettendo in atto un piano di contingenza predisposto da tempo (probabilmente da quando l’ineluttabilità del ripiegamento russo è risultata evidente anche a loro).

La difficoltà di trasportare circa quarantamila uomini pesantemente armati attraverso un fiume largo poco meno di un chilometro, privo di ponti utilizzabili e sotto la pressione e il fuoco di un avversario agguerrito ritengo sia evidente e non necessiti spiegazioni.

Ma questa difficoltà è esacerbata dal fatto che questa manovra di per sé complessa e pericolosa, sia stata annunciata pubblicamente PRIMA di essere avviata, risparmiando così alla controparte l’isteresi della sorpresa tattica e la necessità di riconoscere la vera natura dei movimenti nemici: è bastato per gli ucraini attivare alcune misure di ricognizione tattica per avere conferma di quanto avveniva, e far scattare il piano di contingenza.

Il volto funereo di Gerasimov e di Surovikin nel corso della sceneggiata fatta a beneficio delle televisioni rifletteva la consapevolezza delle perdite addizionali che verranno inflitte ai loro soldati a causa della mancata possibilità di mascherare almeno le fasi iniziali dello sganciamento, che sta invece avvenendo fin dall’inizio sotto il fuoco ucraino.

Militarmente, l’operazione è un incubo per i russi: tanto la Testa di Ponte da evacuare che le zone di concentrazione sulla sponda orientale dove dovranno necessariamente sbarcare una volta passato il fiume sono nel raggio d’azione dell’artiglieria ucraina, che ha avuto tutto il tempo di predisporre un piano di fuoco accurato con coordinate di tiro precise.

I punti di raccolta da dove abbandonare la sponda occidentale sono relativamente pochi e ben noti agli artiglieri ucraini, e le strade che vi adducono sono scarse a loro volta, mentre il fronte da tenere durante lo sganciamento rimane piuttosto ampio e richiede una retroguardia capace e determinata, che non può essere formata dai soli rinforzi appena richiamati e privi di esperienza; a causa della mancata sorpresa richiede il sacrificio di quegli stessi paracadutisti veterani che Surovikin intendeva salvare, e che adesso risultano ancora più demotivati e delusi per l’inettitudine dei loro superiori.

Se l’aeronautica russa fosse ancora capace, potrebbe fornire l’indispensabile copertura alla manovra, ma come ormai da diversi mesi gli aerei russi si vedono solo sporadicamente a causa dei loro enormi problemi logistici e della minaccia crescente della contraerea ucraina.

Eppure, politicamente per Putin tutto questo ha un senso.

L’annuncio pubblico, drammatico ma insolitamente aperto, ha offerto almeno all’opinione pubblica russa l’idea di una leadership fermamente in controllo degli eventi – ancorché sfavorevoli – e di un ripiegamento deciso per salvare soldati russi e non imposto dalla pressione di quelli ucraini, e questo per Putin era fondamentale.

Inoltre la flessibilità inerente a questa decisione è funzionale alla propaganda russa secondo cui il Cremlino sarebbe aperto ad una soluzione diplomatica mentre sembrerebbe il Governo di Kyiv ad apparire chiuso ad ogni trattativa; di qui il filone di narrativa relativo al presunto accordo fra russi ed americani che sarebbe alle spalle del ritiro stesso, il quale alla fine apparirebbe come la concessione di Mosca a Washington in cambio di una pressione americana sugli ucraini per favorire un negoziato di pace. Ove gli ucraini rifiutassero tale negoziato la propaganda russa avrebbe facile gioco nel presentare al mondo l’immagine di un’Ucraina aggressiva e bellicosa che ostacola le proposte di pace delle Superpotenze…

Pazienza se il prezzo da pagare per queste prospettive politiche sia il sacrificio di qualche altro migliaio di paracadutisti intrappolati a Kherson e che Gerasimov e Surovikin speravano di salvare: in fondo sono proprio quelli che, una volta al sicuro, in caso di guai avrebbero potuto tentare un colpo di Stato contro il Regime.

Naturalmente quella di un presunto accordo con gli americani dietro il ritiro russo da Kherson è un’altra invenzione della propaganda del Cremlino, tipicamente concentrata nel proiettare un’immagine di rapporto paritetico e confidenziale fra Mosca e Washington: se ci fosse stato davvero un accordo del genere, l’annuncio russo non avrebbe avuto luogo immediatamente DOPO la chiusura dei seggi delle elezioni americane di “Midterm”, che ne sarebbero risultate influenzate positivamente per l’attuale Amministrazione democratica solo ove tale annuncio fosse avvenuto poche ore prima. In queste condizioni, agli americani non viene alcun vantaggio pratico per il ritiro delle truppe di Mosca.

I contatti fra Mosca e Washington ci sono, ma hanno una dimensione strategica e sono rivolti alla ripresa dei negoziati START sul controllo delle armi nucleari, e in definitiva sui rapporti bilaterali fra le due massime potenze nucleari: il Presidente Biden avrebbe avuto tutto l’interesse a mostrare all’elettorato americano un successo politico in Ucraina come la liberazione di Kherson PRIMA delle elezioni, ma non ha alcuna convenienza a facilitare la manovra di Putin per ottenere una trattativa volta solo a ridare fiato al suo esercito stremato.

Il rapporto di forze sul campo ormai è tale da consentire il ripristino completo della integrità territoriale ucraina e della legalità internazionale, che sono nel massimo interesse politico e soprattutto economico degli Stati Uniti e dell’Occidente (in quanto entrambi supportano il commercio globale in un’economia aperta), ed è questo l’obiettivo condiviso dall’Ucraina e dalla NATO.

In quest’ottica, se sotto il punto di vista politico per Kyiv la liberazione dell’unico capoluogo di Oblast occupato dai russi nel corso dell’”Operazione Militare Speciale” è un grande successo che solleva il morale della popolazione prima dell’inverno, sotto quello militare era assai meglio se il Gruppo di Forze russo intrappolato nella Testa di Ponte rimaneva lì a languire fino alla sua completa dissoluzione.

Stanti così le cose, con i russi che cercano di esfiltrare le loro forze di élite da Kherson, per gli ucraini occorre spingere a fondo non tanto con le Unità di manovra – che potrebbero subire perdite pesanti e non necessarie fra le rovine minate dell’area – quanto con l’artiglieria a disposizione e magari anche con l’aeronautica, allo scopo di infliggere quante più perdite possibile alle forze russe impegnate nella difficilissima manovra di sganciamento ed impedire così un loro reimpiego in altri settori del fronte dove potrebbero provare a restituire l’iniziativa – almeno localmente – ad un orso Vladimiro disperatamente in cerca di un successo per alimentare la sua propaganda prima dell’inverno.

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