Figaro il barbiere

In copertina Elio (Stefano Belisari) e Roberto Fabbriciani. Foto di Luisella Botteon.

Roberto Fabbriciani

Ho sempre amato ed apprezzato il teatro musicale e ho sempre pensato che questo genere importante del nostro repertorio potesse essere un ottimo strumento didattico per avvicinare all’arte musicale giovani e giovanissimi.

Negli anni settanta avevo realizzato, per gli studenti di alcune scuole venete e toscane, l’adattamento del Ratto del Serraglio e de Il Flauto Magico di Wolfgang Amadeus Mozart, utilizzando riduzioni strumentali dell’epoca. Una formula snella ma efficace per avvicinare i più giovani all’ascolto dell’opera lirica.

Qualche anno fa, ricordando il simpatico anziano barbiere della mia infanzia, nella cui bottega si chiacchierava, si giocava a carte e qualche volta si faceva anche musica, pensai di “raccontare” il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini attraverso la voce di un barbiere dei nostri giorni.

Scrissi così Figaro il barbiere, libero racconto tratto dal Barbiere di Siviglia, dedicato ad Elio che, entusiasta, ne è stato squisito interprete. Nel lavoro c’è un narratore, Elio (Figaro il barbiere) che racconta la trama a suo modo mentre si occupa dei suoi clienti che sono Roberto (flautista – che Elio chiama spesso “dottore”), Fabio (clarinettista) e Massimiliano (pianista).   

Roberto e Elio durante una prova di Figaro il barbiere (foto Luisella Botteon)

Figaro il barbiere si articola in 10 scene introdotte da un prologo in cui un barbiere, ovviamente di nome Figaro, prepara il suo negozio disponendo i ferri del mestiere. Entrano i “clienti” suonando il primo brano musicale. Terminato questo intervento musicale (sul quale il barbiere fa accomodare i clienti) inizia il primo momento recitato: Figaro racconta ai suoi clienti del ruolo particolare che la figura del barbiere assume nella storia ….

Figaro il barbiere
Elio e Roberto (foto di Fabrizio Caperchi, La Nouvelle Vague Magazine)

Scena 1 – “Quella del barbiere è un’arte in estinzione, caro dottore…. tra, mettiamo, una decina d’anni ci sarà un computer speciale: si sceglie il taglio sul video, si pigia un bottone ed in due minuti ci si trova sbarbati e pettinati….. e rasoio e forbici saranno sostituiti magari dal laser! …. Ah che tristezza! …. E pensare che per secoli i barbieri sono stati gli arbitri della storia mondiale! …. No, non esagero, caro dottore… s’immagini Lei il barbiere di Napoleone, se l’immagini…. Che responsabilità! Nel momento in cui faceva il contropelo all’imperatore aveva in mano il destino di tutta l’Europa… Gli sarebbe bastato un attimo: …. un colpetto deciso di rasoio e zac!…. Addio Napoleone. Per questo un personaggio famoso, mi pare fosse Cavour, o forse mi sbaglio, magari era Bismark, dichiarò che “il grand’uomo la barba se la fa da se!”  Una frase che sembra dettata dall’orgoglio, ma, secondo me, pare più ispirata dalla prudenza, caro dottore! ….

Elio e Roberto (foto di Luisella Botteon)

Ma a parte quest’aspetto un po’ truce, il barbiere è sempre stato il consigliere, il confidente ed il complice di matrimoni, complotti, compravendite, mallevadorie, collusioni ed intrallazzi, anche politici.

Il barbiere era come un confessore, un’eminenza grigia: il cliente sedeva sulla poltrona come oggi ci si sdraia sul divanetto dello psicanalista e sotto l’ipnotico tocco del pennello da barba, si lasciava andare alle confidenze più intime, raccontando i suoi guai ed i sui problemi, grandi o piccoli che fossero. E spesso arrivava a chiedergli anche alcuni favori. Il barbiere quindi sapeva tutto sulla vita dei suoi clienti e questa familiarità con i problemi altrui ne faceva un profondo conoscitore dell’animo umano. Era insomma un filosofo, ma anche un politico di razza e un diplomatico esperto.

Il barbiere si erge nella storia con la grandezza e l’influenza di un Metternich rionale, caro dottore!!

Roberto ed Elio (foto di Luisella Botteon)

Tant’è vero che Paisiello, Mozart e Rossini gli hanno intitolato tre grandi opere liriche, dalle quali il nome di Figaro ne esce illuminato da eterna grandezza.

Consideri per esempio la verità e la simpatia che il signor Gioacchino Rossini ha infuso nel suo Figaro, e poi la confronti con la prosopopea dei protagonisti di tanti melodrammi! Personaggi di cartapesta, da ballo mascherato, ridicoli! E quando aprono la bocca bisogna far finta di non aver sentito niente da quando i librettisti li hanno imbottiti di vuote melensaggini…. E i cori? C’è forse nulla di più grottesco se non i cori dell’opera lirica? L’ammetto è un parere personalissimo del resto condiviso anche dal sommo scrittore Gadda nel suo racconto che s’intitola “Teatro”. Senta come egli descrive il coro della Semiramide….. ma potrebbe trattarsi del coro dell’Aida o del Trovatore: “Gli accorsi erano divenuti folla: si distinguevano agevolmente, ai vari e tipici costumi di tela stampata, pescatori, arcieri, prefetti del popolo, mugnai assiro-babilonesi, indovini, legionari romani, navarchi, fabbricanti di vasi di samo, chiromanti di Cirene, piloti mauri, il pretore d’Oriente con tre persone del seguito, pubblicani, farisei, dentisti di Cappadocia, tornitori di gambe di seggiola, ex ministri di Sardanapalo ed altre persone di moralità indiscussa, dotate comunque di buona volontà mesopotamica e di solida cultura classica, come testimoniavano le varie fogge del loro abbigliamento.

Fabio (foto di Fabrizio Caperchi, La Nouvelle Vague Magazine)

Eppure presero a delirare tutti in una volta, inseguendo con laceranti unissoni i fonismi dei due protagonisti: urlavano a perdifiato le più roboanti stravaganze, le più imprevedibili assurdità, senza muoversi, senza guardarsi, rossi, gonfi, turgide le vene del collo, il mastoide indaffarato come un ascensore le mani in mano come rivolti al nulla e a nessuno; e come assolti da ogni riferimento alla realtà delle cose. Ogni faccia, maschera della follia, defecava la sua voce tonale nella cisterna dell’insensatezza”.

Tutto troppo finto, tutto cartapesta, Dei, Dee, ippogrifi, walchirie, guerrieri…. Un apparato Hollywoodiano d’effetti speciali, al servizio di musica troppo artificiosa.

Non è così nel “Barbiere di Siviglia” del Signor Rossini!

Magari l’intreccio è un po’ macchinoso ma che brillante ritmico scenico! …. Che simpatiche caratterizzazioni dei personaggi! E soprattutto che scanzonata ironia da parte del Maestro rivolta contro le consuetudini da mestieranti di alcuni suoi colleghi tanto più seriosi ed imparruccati di quanto egli fosse!!

Che Rossini si sia divertito da matti a comporre il suo “barbiere” lo si nota immediatamente sin dalla prima arietta del Conte d’Almaviva.

Guardi, gliela potrei cantare anch’io! Fresca riposante serenata scritta da un grande compositore in vena di rilassatezze.”

Fabio e Elio (foto di Fabrizio Caperchi, La Nouvelle Vague Magazine)

Scena 2 – “Questa usanza delle serenate sul finir della notte mi pare un po’ seccante. Le poverette se la dormono tranquillamente in quelle ore che precedono l’alba e che sono le più piacevoli da dormirsi…. ed ecco che un disgraziato si mette a cantare sotto la loro finestra ….magari stonando. Figuriamoci che bella sorpresa per le fanciulle oggetto di tali attenzioni non desiderate. Ho anche il sospetto che la romanza del Conte d’Almaviva abbia creato un precedente pericoloso nel campo delle serenate all’alba perché l’usanza fu dura a morire, basta pensare alla “Mattinata” di Leoncavallo e quella di Tosti…. Tutte due le aria si prefiggono una sola meta: destar la bella che se la dorme tranquillamente…. sta di fatto che il Conte d’Almaviva ha appena finito di cantare la sua serenata ma Rosina non sembra volersi affacciare al balcone. I casi sono due: o la fanciulla ha il sonno particolarmente duro, oppure della serenata non gliene frega un beato nulla. Figuriamoci i nervi del conte! Non gli resta che pagare i suonatori e congedarli in tutta fretta. “Più di suoni, più di canti io bisogno ormai non ho”. I disgraziati suonatori, nel loro servilissimo zelo, si mettono a fare un baccano del diavolo, dimostrando tutta la loro deplorevole, mancanza di senso dell’opportunità.

“Mille grazie, mio signore

del favore, dell’onore.

Ah di tanta cortesia

obbligati in verità.”

Il tutto gridato come in pieno giorno sulla piazza del mercato….

La cosa ovviamente manda in bestia il povero Conte:

“basta basta, non parlate.

Ma non serve, non gridate…

Maledetti andate via…

Ah, canaglia, via di qua.

Tutto quanto il vicinato

questo chiasso sveglierà.”

E’ a questo punto dell’opera rossiniana che entra in scena Figaro.

Il suo ingresso è tutt’altro che discreto…

Il suo tono è quello di un uomo ben conscio della sua importanza nel tessuto sociale di Siviglia.”

Massimiliano e Roberto (foto di Fabrizio Caperchi, La Nouvelle Vague Magazine)

Scena 3 – “La filosofia del nostro Figaro sivigliano è quella del politico di razza. Per lui il lavoro di barbiere è solo una copertura che gli permette di entrare in intimità con i suoi clienti e quindi di intervenire nei loro affari, più che altro sentimentali.

Figaro non fa certo mistero di questa sua predilezione per i guadagni extra:

“Ah, ah! Che bella vita!

Faticar poco, divertirsi assai,

e in tasca sempre aver qualche doblone,

gran frutto della mia riputazione.

Ecco qua: senza Figaro

non si accasa in Siviglia una ragazza:

a me la vedovella ricorre pel marito

io, colla scusa del pettine di giorno,

della chitarra col favor della notte,   

a tutti onestamente,

non fo per dir, m’adatto a far piacere….”

Elio e Roberto (foto di Luisella Botteon)

Il buon Figaro è mosso da una sincera volontà di far del bene al prossimo suo, ma soprattutto lo muove uno smodato amore per il denaro, possibilmente nelle vesti di un metallo pregiato. Così quando il Conte d’Almaviva gli chiede di aiutarlo a contattare Rosina, Figaro fa le viste di esitare…per alzare il prezzo e alla fine mette da parte ogni scrupolo davanti alle generose offerte che il munifico Conte gli fa intravvedere.

Si tratta d’oro zecchino, e a quel suono, anzi alla sola idea di quel metallo il furbo Figaro non sa e non vuol resistere.”

Il testo, alternandosi alla musica, prosegue per le 7 scene successive così concludendo:

“…Ma un’altra inesorabile legge del melodramma buffo è quella che vuole alla fine tutti felici e contenti ed il sorriso sulle labbra di Don Bartolo riappare luminoso quando il Conte lo dispensa dal versare la prescritta dote alla sua pupilla.

Così tutti i conti chiudono in pareggio e Figaro abbraccia il rasserenato Don Bartolo concludendo la storia:

“Di un si felice innesto

serbiam memoria eterna

io smorzo la lanterna;

qui non ho più che far”.

(Si conclude lo spettacolo con il barbiere che termina di fare la barba al suo cliente dottore)

Il barbiere dice: “Il signore è servito”.

E il cliente dottore: “Grazie Figaro. Ora, senti avrei da chiederti un piacere: la conosci quella ragazza che abita in fondo a via Garibaldi ….?”

Massimiliano, Elio, Roberto, Fabio (foto di Luisella Botteon)

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