Torna alla ribalta Max Manfredi

Mancava dal 2014 il grande cantautore

La redazione

“Il grido della fata” accompagna e sottolinea il ritorno alla notorietà ed agli spettacoli del grande cantautore genovese. “Il più bravo “, lo definì in una intervista, che risale al 1994, Fabrizio De André. 

Era scomparso dal mondo della canzone e dello spettacolo dal 2014, quando uscì il suo ultimo album “Dremong” che indicava uno stile progressive con influenze di world music.

Max Manfredi con questa nuova uscita, cambia, usa l’elettronica, “ce n’è una presenza ampia e variegata”, asserisce lui stesso, ma, comunque, impiega senza limiti di archi, fiati, cordofoni e percussioni.

I brani sono dodici, ed alternano il protagonismo del violino a quello del koto elettrico. C’è sempre il marchio delle sua poetica distintiva: “datare i brani di questo disco è impossibile, da tanto hanno sopravvissuto e per quanto sono stati reinventati. Vengono in mente i fossili di insetti o impronte conservati nell’ambra. Cosa c’è di più nuovo di un fossile riscoperto? Ancora più difficile sarà, per l’ascoltatore, distinguere i brani vecchi da quelli nuovi”. 

L’ascolto dei brani, invero riporta a un’era che non c’è più ma della quale sentiamo un’affannosa nostalgia. Non è un “concept album”, non cede alle esigenze del mercato e della commercializzazione “non ne ho mai fatto uno”, precisa Manfredi, “ma tra queste canzoni si respira un’aria di buon vicinato, come tra i panni stesi dai dirimpettai“.

Roberto Vecchioni parlando di lui: Uno che ha bazzicato col romanzo, con la poesia, col dialettale, con la canzone e senza, è uno spiritoso, uno capace, uno che non posso nemmeno limitare con il termine di cantautore: è un intellettuale“. Ed è quell’intellettualità, mai sbandierata, che fa unico il disco, che non si limita a raccontare una storia, ma ne racconta tante, legate con abilità non comune da un unico filo conduttore: la poesia, bellezza antica e la pignola attenzione alla composizione armonica.

Manfredi descrivendosi: Non avrei nemmeno pensato – dice Max Manfredi – di fare il mestiere del cantautore. Anche se dubito che avrei trovato un lavoro ‘onesto’. La laurea in tedesco l’ho presa, ma non l’ho nemmeno ritirata dalla segreteria. Invece sono andato al Club Tenco e lì ho scommesso sul mio futuro, nel senso che ho deciso di non fare altro se non le cose cui tenevo, e che so di poter fare bene, indipendentemente dai buoni esempi e dai molti cattivi. Se io poi abbia vinto, non lo so, diciamo che finora c’è stato un bel pareggio”.

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