La prequatùre de Rocche

Uno stendardo comunica ai cittadini “Il Veglionissimo della Stampa” sulla facciata del Teatro Piccinni.

Maria Catalano Fiore

Come finiva un Carnevale a Bari? Con la “Prequatùre de Rocche” (il funerale di Rocco/Carnevale).

Il periodo del Carnevale è finito, a dire il vero quest’anno non è mai iniziato, che tristezza, almeno bimbi vestiti da mascherine, coriandoli, festicciole a scuola, qualche festa fra grandi, quest’anno non ha risparmiato neanche il più famoso carnevale di Rio.

Ci restano solo ricordi di tradizioni ormai sopite. A Bari parecchi tempo fa c’era un Carnevale per i Vip, e uno per la gente comune. La Bari “bene” si divertiva con il “Veglionissimo della Stampa” che si svolgeva all’interno del Teatro Piccinni.

Ballo del “Veglionissimo della Stampa”

L’Associazione Stampa noleggiava il Teatro e grazie alla generosità dei commercianti si raccoglievano regali da offrire ad una bella ragazza, che veniva scelta da una giuria, e che veniva proclamata Miss Stampa” per quell’anno.

Proclamazione di Miss Stampa

L’orchestra del teatro suonava e tutti ballavano.

Il Popolo invece….soprattutto quello della città vecchia, celebrava un funerale simbolico a Rocco/Carnevale. Questo rito si svolgeva l’ultimo giorno di Carnevale, quando si metteva in scena il corteo e la morte di un pupazzo di paglia che veniva infine bruciato su un falò a largo Albicocca.

La Prequatùre de Rocche venne celebrata sino agli anni 40 circa, poi, la guerra ed altro l’hanno bloccata man mano, sino a che la comunità ha perso interesse, sino a scomparire del tutto. Felice Giovine, Presidente dell'”Accademia della Lingua Barese” afferma: “C’è chi continua a ricordare anche una maschera barese ” MARCOFFIE” un contadino semplice e sciocco, con una lunga giacca bianca e rossa con maniche troppo lunghe e pantaloni alla “Zuava” o zumpafuss’, ma si tratta di una invenzione fatta in una poesia di Francesco Saverio Abbrescia, poeta e prete barese (Bari 1813-1852).

Una delle ultime creatrici di quello che veniva definito Zii Rocche, è ormai piuttosto anziana, si chiama Anna Massari e vive in un piano terra in piazza San Pietro: “Ho ereditato questo ruolo da mia madre che preparava Rocche, il fantoccio, con una vecchia tuta da meccanico riempita on paglia, poi con una calza, sempre piena di paglia, creava la testa e vi metteva sopra la maschera del politico del momento completando tutto con cappello e sigaretta. Sulla tuta si mettevano camicia pantaloni, ovviamente vecchi. Il tutto veniva issato su travi di legno, per trasportarlo, in un corteo funebre che attraversava il centro storico sino a Largo Albicocca dove era allestito il falò. In tanti seguivano il corteo vestiti con gli indumenti più disparati.”

Si fingeva di piangere il morto con grida e lazzi lascivi ripetendo ritmicamente: Ah Rocche, Rocche e mmò, ce l’av’a chiantà la bastenàche? (Ahi Rocco chi pianterà la carota?) a cui seguiva la risposta: “O le chiànda tu o la chiàndo io, O in gasa tua o in gasa mia. (La pianti tu o la pianto io o in casa tua o in casa mia). Era un divertimento con tante risate.

Una locandina storica

Ricorda ancora la signora Anna: “Mia madre si travestiva da prete e guidava il corteo fingendo di benedire la gente con un vaso da notte e uno scopino da bagno”. Arrivato il tardo pomeriggio, il povero Rocco, dal suo seguito sgangherato, veniva appeso come un impiccato e veniva bruciato su un falò che già lo attendeva in Largo Albicocca. Quindi suonavano le campane a morto che davano inizio al periodo di Quaresima.

Del povero Rocco non esistono foto, quelle usate sono state gentilmente fornite dal signor Giuseppe Petruzzelli che gestisce un archivio popolar cittadino “Bari in foto e cartolina”, una vera miniera del secolo passato.

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