Giorno 473

L’analisi odierna si attesta sulle efficaci manovre preliminari ucraine e sulle difficoltà ormai palesi dell’esercito russo, mal addestrato, male armato ed ancor peggio comandato.

Orio Giorgio Stirpe

La battaglia si sviluppa davanti ai nostri occhi.

Ieri ho concluso il mio post con una rapida carrellata lungo il fronte, senza esprimere una speciale preferenza per il punto di massimo sforzo dove gli ucraini cercheranno lo sfondamento… Personalmente ho una mia idea primaria e una secondaria, entrambe ben precise, fra cui non so scegliere perché la scelta dipenderebbe da una conoscenza esatta delle capacità logistiche ucraine che non ho; e forse è meglio così, perché probabilmente non ce l’hanno nemmeno i russi.

Intanto però che aspettiamo di vedere con esattezza come si svilupperà l’operazione (che finora non ha un nome ma immagino lo riceverà presto), possiamo cominciare a fare le nostre considerazioni sul suo andamento.

Innanzitutto l’arma vincente dei russi: l’artiglieria. Finora, rispetto al resto della guerra, è stata meno efficace del solito. Per la prima volta la controparte ucraina ha vinto la maggior parte dei duelli, e ha sviluppato non solo un efficace Targeting delle riservette avanzate, ma anche un eccellente fuoco di controbatteria che ha obbligato i russi non solo a ridurre il rateo di fuoco ma anche a frequenti spostamenti che hanno ulteriormente ridotto il volume del fuoco e la sua precisione. Quella russa è ancora molto efficace quando opera congiuntamente ai campi minati che rallentano di molto l’avanzata e consentono una geolocalizzazione sufficientemente precisa, ma si tratta di casi sporadici. Questo oltre a suggerire che tutte le voci sulla scarsità di munizionamento da parte ucraina potessero anche essere state esagerate ad arte, conferma anche come l’artiglieria russa sia efficace contro bersagli fissi o comunque lenti, ma abbia enormi problemi contro quelli in rapido movimento: questo è assolutamente normale, in quanto dottrinalmente l’artiglieria predilige il tiro contro un nemico trincerato o che attacca appiedato, mentre le colonne meccanizzate in movimento sono il bersaglio specifico per l’aviazione.

Già, l’aviazione russa: dov’è? Se mai c’è stato un momento in cui avrebbe dovuto comparire e fornire un appoggio tattico alle forze di terra nei punti più delicati, è questo: il cielo comincia a schiarirsi, gli ucraini manovrano all’aperto con formazioni meccanizzate ben visibili e si allontanano dalla contraerea amica meno mobile, affidandosi prevalentemente ai MANPADS (man-portable Air Defence Systems, soprattutto gli Stinger). Questo quindi è il momento di colpire dall’alto un avversario che attacca senza godere di superiorità aerea… Invece gli aerei con la stella rossa non si vedono quasi per niente, come se i russi fossero privi di forze aeree esattamente come gli ucraini.

No, non è che gli aerei russi vengano tenuti “di riserva”, perché non gli capiterà un’occasione migliore: i sostenitori della “grande potenza russa” possono sperarlo quanto vogliono, ma siamo di fronte alla dimostrazione finale che le esigenze di mantenimento dei propri aerei sono risultate superiori alle capacità logistiche della Federazione Russa. Quindi delle due, una: o l’intera aviazione russa è sempre stata un patetico bluff come quella – qualitativamente discreta ma quantitativamente patetica – di Mussolini, oppure le sanzioni occidentali mordono eccome, lasciando gli aerei russi senza parti di ricambio essenziali.

Non abbandoniamoci a trionfalismi infantili per le avanzate ucraine registrate fin qui: gli ucraini – a parte un paio di punti – hanno sostanzialmente occupato finora la “zona di frenaggio” russa nell’arco di fronte attaccato. Si tratta di quell’area compresa fra la linea di contatto e il margine anteriore della vera posizione di resistenza: in realtà quella che viene definita “prima linea difensiva” russa e che sarebbe stata superata quai ovunque è poco più di una linea discontinua di avamposti facilmente aggirabili; la vera difficoltà è costituita dalla presenza dei campi minati regolamentari, il cui forzamento è complicato come abbiamo visto dal fuoco programmato dell’artiglieria.

Il fatto rilevante però è che questa area si chiama in Occidente “di frenaggio” proprio perché al suo interno le forze mobili del difensore dovrebbero ingaggiare gli attaccanti imponendo loro un attrito tale da indebolirli prima ancora del raggiungimento della linea difensiva principale (quella che spesso viene definita “la seconda”). Questo ingaggio dovrebbe avvenire da parte di reparti corazzati che agiscono in stretto coordinamento con l’artiglieria e i capisaldi, sfruttando al meglio la presenza dei campi minati amici. Ora, questo ingaggio semplicemente non è avvenuto quasi mai.

Gli avamposti sono stati aggirati e costretti alla resa o alla fuga, l’artiglieria ha subito il fuoco di controbatteria, e i campi minati hanno imposto un pedaggio doloroso ma contenuto… Quanto alle forze corazzate che dovevano condurre il frenaggio, non si sono viste più dell’aviazione.

Questo in sostanza indica come le forze principali della linea difensiva russa sono costituite – esattamente come andiamo ripetendo ormai da mesi – da masse di mobilitati male armati, male addestrati e male comandati, in massima parte appiedati e “avvitati” all’interno delle loro trincee per condurre una difesa rigida e assolutamente statica, del tutto incapaci di contromanovrare a causa delle loro limitazioni (di mezzi, di armi, di addestramento e soprattutto di comando).

Una situazione di questo tipo, che vede un esercito numericamente forte ma statico e rigido, ancorato a una difesa fissa, contrapposto ad un avversario capace di condurre una manovra offensiva meccanizzata veloce e ben coordinata, non lascia scampo ai difensori.

Abbiamo spesso insistito sulla necessità dell’attaccante di disporre di un potenziale offensivo almeno tre volte superiore a quello difensivo dell’avversario (in termini complessivi, qualitativi oltre che quantitativi); questo è dovuto al fatto che durante la prima fase dell’attacco, chi è all’offensiva si deve esporre al tiro delle armi a fuoco diretto dei difensori che invece stanno al coperto. Questa situazione però dura solamente finché gli attaccanti non raggiungono o superano le posizioni difensive, perché a quel punto anche chi si difende perde la protezione del suo riparo e la capacità di colpire l’avversario si equilibra.

Se gli attaccanti conquistano la breccia nelle difese, allora le perdite non sono più maggiori per l’attaccante, e se questi ha mantenuto la superiorità diventa difficile per i difensori respingerli… A quel punto i difensori devono arretrare, ricevere rinforzi, oppure chiudersi a riccio e lasciarsi accerchiare sperando che qualcuno venga a salvarli.

Un attacco diventa sanguinoso quando i difensori riescono a mantenere gli attaccanti a distanza, imponendo quindi ad essi perdite superiori. È quanto è successo per otto mesi a Bakhmut, dove i russi non hanno MAI sfondato e gli ucraini quando costretti hanno semplicemente arretrato di un altro isolato per mantenere il vantaggio della copertura.

Ma quando l’attaccante supera le posizioni del difensore mettendolo allo scoperto, allora a parità di condizioni di copertura la sua superiorità consente di infliggere perdite superiori a un nemico in difficoltà… E la difesa cede.

Quando questo avviene, l’esercito che si difende si trova veramente nei guai: anche se vasti tratti di fronte resistono e il cedimento avviene solo in un paio di punti, le unità meccanizzate attaccanti penetrano attraverso i varchi e dilagano alle spalle di chi è ancora in trincea altrove, isolandolo dalle sue retrovie (da cui gli arrivano carburante, munizioni e cibo) e perfino attaccandolo alle spalle. In questo modo anche un piccolo esercito veloce e dotato di veicoli corazzati può non solo sconfiggere ma anche distruggerne uno più grande ma sostanzialmente appiedato.

Capisco benissimo che a molti può sembrare assurdo definire “sostanzialmente appiedato” un esercito come quello russo, da sempre famoso per il numero dei suoi carri armati. Ma la tragica realtà dell’esercito di Putin è che i suoi ottimi professionisti hanno subito perdite spaventose nei primi sei mesi di guerra, e i mobilitati che li hanno sostituiti non sono capaci di impiegare gli stessi mezzi (o peggio ancora quelli più obsoleti entrati in linea per ripianare le perdite subite) per mancanza di addestramento e soprattutto di comandanti capaci di guidarli.

Ci sono vaste componenti dell’esercito russo ancora gestite da professionisti, come l’artiglieria e l’aviazione… Ma abbiamo visto che versano anch’esse nei loro problemi. Quella che però è nelle condizioni drammatiche che abbiamo descritto è l’arma base, cioè la fanteria e la componete corazzata: che è quella che occupa le posizioni difensive attualmente sotto attacco.

Alle spalle della posizione difensiva – lungo quella che è chiamata la “terza linea” su molti media – ci sono le riserve: quelle residue unità ancora capaci di combattere una guerra manovrata, con carri armati e veicoli corazzati per fanteria, con personale capace di impiegarli. Sono quelle forze che devono affrontare gli attaccanti che superano le difese, ingaggiandoli e se possibile ricacciandoli indietro. Considerate le dimensioni dell’esercito russo, queste forze residue sono tragicamente scarse, demoralizzate e perennemente a corto di carburante a causa del Targeting ucraino.

Le continue finte ucraine hanno lo scopo di far correre queste riserve corazzate lungo il fronte nel tentativo di indovinare dove avverrà il vero sforzo principale ucraino per cercare di intercettarlo e respingerlo. Lo scopo delle manovre ucraine di questi giorni, più che di conquistare posizioni peraltro utilissime, è proprio logorare e spiazzare queste riserve, in modo da poter poi effettuare lo sfondamento proprio dove non ce ne saranno abbastanza da reagire.

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