Il lavoro al tempo del Covid-19

Dai numeri Istat sull’occupazione, alla società dei numeri che non sa o non vuole contare.

GP

Tra dicembre 2020 e lo stesso mese del 2019 si registrano 444.000 occupati in meno pari all’1,9%. Nel solo mese di dicembre si sono perse 101.000 unità, pari allo 0,4%. Piccole aziende che hanno tirato giù la saracinesca, dipendenti andati in pensione e non sostituiti, assenza di nuove assunzioni, soprattutto di donne e giovani, che assecondano il mantenimento ciclico dell’occupazione, quando non un miglioramento dei dati.

Cresce per converso il numero dei disoccupati e degli inattivi. 

 Dai dati Istat si rileva che la diminuzione dell’occupazione rispetto a novembre coinvolge in particolare le donne, i lavoratori sia dipendenti sia autonomi e di qualsiasi età. Unica eccezione gli ultracinquantenni.

Il tasso di disoccupazione raggiunge a dicembre il suo apice registrando il 9,0% (+0,2 punti). Particolarmente alto il tasso tra i giovani, che segna un 29,7% (+0,3 punti). I disoccupati complessivi sono 2.257.000 con un aumento in un mese di 34.000 unità (da novembre a dicembre) e un calo annuo di 222.000 su dicembre 2019. Un dato drammatico, ma fortemente attenuato dal largo utilizzo della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti. Lo riduce anche l”uscita dal mercato delle persone sfiduciate nella ricerca del lavoro e che vi hanno rinunciato. Gli inattivi sono divenuti, infatti, 13.759.000 e crescono di +42.000 unità su novembre e di 482.000 unità su dicembre 2019 (+3,6%).

Un settore colpito a dismisura è quello dell’occupazione indipendente. Gli occupati indipendenti sono diminuiti di 79.000 unità rispetto a novembre (su 101.000 occupati in meno complessivi) mentre hanno perso 209.000 unità su dicembre 2019 a fronte di 444.000 occupati in meno totali. Ma non è l’unico settore a pagare uno scotto altissimo. E’ affiancato dalla occupazione a termine, dove si registrano 393.000 occupati in meno. Crescono i dipendenti permanenti con 158.000 persone al lavoro in più rispetto a dicembre 2019. Dato conseguenziale al blocco dei licenziamenti e all’utilizzo della cassa integrazione straordinaria.

Dati indispensabili per comprendere come la pandemia abbia ucciso in Italia non solo 88.516 persone, ma altresì l’economia e l’occupazione nel Paese.

Intendiamoci. ognuno di quelle 88.516 vittime è una tragedia, e non solo per i familiari, la cui sofferenza è inimmaginabile, perché è impossibile trovare rassegnazione ad una morte violenta ed improvvisa i cui numeri sono stati accresciuti dalla disinformazione e dall’inefficienza di un sistema sanitario affidato alle regioni e non centralizzato, dove ognuno è andato per conto suo e la concorrenza tra scienziati, anziché trovare soluzioni di cure in tempi rapidi, si è scatenata sui media, ed in particolare nelle trasmissioni televisive dove alcune volte abbiamo assistito a insulti reciproci, da fare invidia alle lavandaie.

Resto convinto che il bene primario da difendere sia la salute dei cittadini e le loro vite. Solo alla morte non c’è rimedio e pare che più d’uno se lo sia scordato. Quando la diffusione del virus lo impone, non esistono ragioni sufficienti a giustificare il mantenimento in totale efficienza di determinati settori produttivi non indispensabili per il Paese.

Ma, detto questo, i dati che abbiamo appena sviscerato ed enumerato ci restituiscono l’immagine fotografica di un Paese che ha già largamente superato la soglia della miseria e della povertà.

Non tutti hanno subito le conseguenze economiche negative della pandemia; come sempre nelle emergenze sanitarie, naturali come i terremoti, innaturali come le guerre, ci sono i più che si immiseriscono ed i pochi che si arricchiscono a dismisura. E’ una legge eterna dell’economia. Disumana finché vogliamo, ma ineludibile fino ad certo punto.

Sono cresciuti a dismisura i profitti delle grandi aziende on line, della vendita via internet, ma in misura meno esponenziale, ma comunque congrua anche quella dei tanti, troppi furbi che si sono improvvisamente convertiti al ramo sanitario, spesso praticandolo senza troppi scrupoli. L’emergenza giustifica la fretta della pubblica amministrazione di approvvigionamenti sanitari, anche in deroga alle regole standard, e le truffe scoperte sono già tante e mille altre si scopriranno. Ma non è quello l’unico settore che ha visto l’umana avidità ed aridità escogitare sistemi di arricchimento illecito: pensate all’usura o comunque al settore prestiti al di furi del sistema bancario, che a dispetto dei provvedimenti governativi per allargare i cordoni della borsa ai bisognosi, ha continuato imperterrito a praticare il suo atavico sistema parassitario, che vede istituti di credito spesso fallire e chiamare Pantalone a pagare per i loro sbagli e superficialità, quando non si tratta di vere e proprie truffe a danno dei risparmiatori e del sistema Paese.

Potremmo continuare all’infinito ad enumerare questi squilibri, e certamente più d’uno ci sfuggirebbe, la fantasia nel raggirare leggi è assai feconda, e comunque non tutti sono arricchimenti illeciti, ma spessoo frutto di avere la fortuna di essersi organizzato a svolgere attività in un settore che la pandemia, incredibilmente, ha aiutato a crescere esponenzialmente: vedi l’attività dei rider, ma gli esempi sono tanti.

Resta un fatto centrale. I dati globali indicano un calo occupazionale senza precedenti, un’economia allo sbando in cui si arricchiscono pochi e s’immiseriscono tanti, quelli soprattutto che operano in settori che già prima della pandemia non navigavano nell’oro.

Ed a gestire aiuti e misure di ristoro, come pure a disegnarle, sono tutti indistintamente soggetti i cui portafogli non sono stati minimamente toccati dalla pandemia. I burocrati statali, regionali, pubblici in genere ricevono lo stipendio tale e quale a prima, col vantaggio per molti dello smart working, il lavoro a casa, che ti fa pure risparmiare sui costi di trasporto che prima dovevi affrontare. Non parliamo del legislatore. Se avesse la sensibilità necessaria, che solo chi prova sulla propria pelle il disagio acquisisce, non esisterebbero “gli invisibili”.

La tristissima verità, posso sbagliare, ma non credo, è che abbiamo creato un società ed un mondo fatto di numeri e non di persone. Sei un numero alla Asl e finanche al Pronto Soccorso, lo sei in banca ed ad ogni sportello pubblico, ed il Covid ci ha mostrato che siamo solo numeri anche nel momento della morte. Dovremmo ricordarci più spesso di quell’orrenda fila di camion militari carichi di salme che i cimiteri non erano in grado di ospitare. Capisco che sia scioccante, ma siamo numeri anche nel momento più serio ed al contempo grave della nostra vita. Ed ad una società del genere interessa tutelare e salvare ad ogni costo, le grandi aziende che hanno grandi numeri, anche se sono farlocche sanguisughe, che sopravvivono grazie a cicliche immissioni di denaro pubblico, sistematicamente “prestato”, ma mai restituito e neanche richiesto.

Della bottega artigiana o commerciale, del piccolo studio professionale che chiudono, non interessa ad altri che a chi perde il lavoro e presto sarà ridotto in miseria. Il problema più grande è che sembra nessuno si sia accorto che in realtà i numeri di quest’ultimi è di gran lunga superiore a quello dei dipendenti Alitalia o dei tanti altri tutelati ad oltranza. E ciò dimostra che in cabina di regia c’è gente che in realtà non sa neanche contare. Mi rifiuto di credere che siano consapevoli e premeditatamente ignorino per comodità la realtà che li e ci circonda.

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