Giorno 198

La controffensiva ucraina è partita effettivamente, ma -come previsto- non da Kherson, usata come specchietto per allodole

Orio Giorgio Stirpe

Nell’ultimo post avevo premesso che era di gran lunga troppo presto per dire: “ECCO! Il vero attacco ucraino è qui…” riferendomi all’azione che sembrava svilupparsi nel settore di Izyum. Adesso invece penso sia chiaro che è proprio così.

Il concetto strategico rimane quello essenziale: mentre Putin ha forzato la mano ai suoi generali, obbligandoli a combattere non solo contro la loro stessa dottrina ma anche contro il buon senso, Zelesky ha permesso ai propri di lavorare liberamente, combinando quanto appreso dalla NATO con la loro personale esperienza e in base alle specifiche capacità del loro esercito.

Il Governo ha cooperato con lo Stato Maggiore, contribuendo a diffondere l’aspettativa per “la grande controffensiva a Kherson” proprio contando sul fatto che Putin ci avrebbe creduto (a dispetto del buon senso, secondo cui le controffensive non si annunciano ma si fanno), preoccupandosi del suo potenziale effetto politico più che di quello militare.

Quando le riserve ucraine mobilitate sei mesi fa hanno raggiunto il livello minimo di prontezza, sono state inserite in linea lungo il fronte, liberando un numero sufficiente di Unità veterane per effettuare la prima vera manovra ucraina della guerra, ed è stato organizzato il grande “fissaggio” dell’Oblast di Kherson, tanto temuto da Putin.

L’attacco simulato effettuato dal Comando Sud ucraino è stato abbastanza robusto da convincere definitivamente Putin della sua idea, e così le scarne riserve russe – quei BTG delle VDV (i paracadutisti) raggranellati su tutto il fronte – sono state inviate in tutta fretta nella testa di ponte oltre il Dnipro, cioè esattamente dove le volevano gli ucraini.

Non mi stancherò mai di ripeterlo. Kherson è importante politicamente, perché è l’unico capoluogo di Oblast occupato dai russi e perché è a ovest del fiume: ma proprio per la sua posizione geografica non lo è militarmente, in quanto il fiume stesso limita l’effetto di una controffensiva. E questo era ovvio nel momento stesso in cui gli ucraini hanno cominciato a colpire i ponti.

Insomma, Kherson andava bene per un contrattacco locale avendo poche forze a disposizione, ma non per una controffensiva pensata per invertire il corso della guerra.

Il “fissaggio” a Kherson ha funzionato perfettamente. Le forze ucraine sono avanzate senza sfondare, impegnando le riserve russe delle VDV che ora sono a contatto e quindi non possono essere richiamate, e l’attenzione di tutti si è focalizzata lì.

Intanto le riserve corazzate ucraine, per quanto ridotte, si spostavano rapidamente per linee interne a sud di Kharkiv, scavalcando le linee tenute dalle brigate leggere di recente mobilitazione.

Il settore prescelto per l’attacco è particolarmente delicato: si tratta del fianco scoperto del famoso “Saliente di Izyum”, catturato dalla 1^ Armata Corazzata della Guardia dopo la ritirata da Kyiv all’inizio dell’offensiva del Donbass, e destinato nei piani di Gerasimov a raggiungere Slaviansk da nord con le forze raggruppate, per poi cadere finalmente su Kramatorsk e ottenere la “liberazione” del Donbass pretesa da Putin.

Quell’offensiva si era infognata nelle paludi del Siversky Donets, e adesso si aspettava l’inverno per riprenderla una volta che le paludi fossero ghiacciate e nuovamente praticabili per i carri armati. Nel frattempo però Putin aveva preteso che l’offensiva proseguisse lungo l’arco del Donbass, in modo da prendere almeno Severodonetsk.

Ricordate quando a luglio avevo scritto che ormai i russi, secondo me, avevano culminato, esaurendo la capacità offensiva, eppure gli attacchi continuavano seppure su un fronte estremamente ristretto?

Molti commenti critici mi facevano notare proprio che i russi continuavano ad attaccare lo stesso, anche se secondo me avrebbero dovuto smettere. Beh, forse avrebbero dovuto smettere davvero: perché per insistere nello sforzo offensivo pur avendo esaurito il potenziale per farlo, hanno dovuto “raschiare” il resto del fronte, sottraendo i battaglioni migliori alle Brigate che lo difendevano e mandandoli a logorarsi nel Donbass per ottenere quei micro successi che ci venivano annunciati ogni giorno e che servivano a poterci ricordare che “lentamente ma inesorabilmente, i russi continuano ad avanzare”…

Così i reparti migliori si logoravano inutilmente mentre gli ucraini addestravano le nuove Brigate leggere che ora tengono il fronte davanti a quelle russe, esperte ma ormai sottilissime.

Gli appassionati di Storia ricorderanno il trucco della limatura delle monete d’oro nel tardo impero romano: venivano erose ai margini per ricavare da ciascuna un po’ d’oro con cui produrne di nuove, così che diventavano sempre più piccole, e alla fine perdevano valore… Provocando l’inflazione e la crisi economica dell’impero.

Lo stesso è accaduto alle Brigate russe schierate lungo il fronte, e in particolare proprio alla 1^ Armata Corazzata della Guardia. Già: perché quell’Armata – il gioiello di Putin, quella delle grandi parate nella Piazza Rossa – siccome era “a riposo” in attesa dell’inverno, era quella che veniva “cannibalizzata” più allegramente per alimentare il tritacarne di Severodonetsk. Soprattutto la famosa “Tamanskaya”, la 2^ Divisione Fucilieri Motorizzati di guardia a Mosca, ha dovuto cedere i suoi battaglioni migliori per l’inutile mantenimento della pressione nel Donbass.

È sul fianco di quest’Armata anemizzata che si è abbattuto l’attacco improvviso della riserva corazzata ucraina. Un’Armata dal fronte sottilissimo, protetto da pochi BTG di paracadutisti in seconda linea, che però erano stati appena richiamati per andare a difendere Kherson.

Che si tratti della vera controffensiva ucraina, è confermato dal fatto che questa è condotta dalle migliori Unità ucraine: 3^ e 4^ Brigata Corazzata, 93^ Brigata Meccanizzata, 80^ Brigata paracadutisti. Il terreno prescelto è aperto, mentre i russi sono schiacciati contro un altro fiume che hanno alle spalle, l’Oskyl, un affluente – inguadabile anch’esso – del Siversky Donets. La sacca di Izyum dentro cui si sta ritrovando intrappolata la 1^ Armata è chiusa a sud dalle paludi, a est dall’Oskyl, e a ovest dagli ucraini… A nord c’è lo snodo ferroviario di Kupyansk, attraverso cui passano tutti i rifornimenti russi per la metà settentrionale del fronte (l’altra metà passa da Rostov sul Don), che probabilmente rappresenta l’obiettivo principale degli ucraini.

Mentre scrivo, le punte corazzate ucraine sono a dieci chilometri da Kupyansk, che è già sotto il tiro dell’artiglieria semovente. Su tutto il fiume Oskyl ci sono solo due ponti stradali, piuttosto malandati, a Shenkove e a Horokhovatka (andate a guardarli su Google maps). La 1^ Armata è nei guai.

I russi non hanno riserve in zona: devono crearsele, sottraendo altre forze al fronte del Donbass. A fermare gli ucraini non saranno tanto i nemici, quanto i limiti delle loro risorse logistiche: dovranno fermarsi per riprendere il fiato, manutenzionare i mezzi, fare il pieno di carburante e munizioni, ricreare le linee per i rifornimenti.

La guerra non è finita, e questa non è la liberazione di tutti i territori occupati; però è il chiaro segnale del cambio della marea. L’iniziativa è passata di mano, e per i russi così logorati sarà dura contestarla a un nemico galvanizzato dal sapore della vittoria.

In questa situazione però professionalmente mi manca un elemento fondamentale, di cui non trovo traccia.

Che fine ha fatto l’aviazione russa?

Questo è il classico caso in cui un esercito nei guai che però gode ancora della superiorità aerea, si affida ai colleghi in blu per arginare il nemico, specialmente se questi manovra in campo aperto con forze corazzate… A differenza delle riserve terrestri che sono lontane nel sud, gli aerei possono arrivare rapidamente sul settore di Izyum per dare man forte alla 1^ Armata.

Eppure non ve n’è praticamente traccia (a parte un paio di vecchi Su-25 abbattuti ieri).

Che fine ha fatto l’aviazione dell’orso Vladimiro?

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