Taiwan e Somaliland s’incontrano e la Cina s’infuria

I due Paesi rivendicati dalla Cina hanno istituito uffici di rappresentanza nelle rispettive capitali già dal 2020,

Gianvito Pugliese

Capisco, finalmente, perché Vladimir Putin e Xi Jinping riescono a trovare punti d’intesa, come sembra sia accaduto alla vigilia dell’inaugurazione dei giochi olimpici quando Pechino e Mosca si sono accordati per un reciproco sostegno (di quale genere non è ben chiaro), l’uno nel rivendicare Taiwan, l’altro nella crisi con l’Ucraina. Parlano la stessa lingua e nei negoziati, entrambi, vogliono avere senza dare.

Mettiamo da parte la Russia e Putin, non prima di aver chiarito che nei negoziati con Nato ed Usa per la crisi Ucraina, Mosca continua “per la sua presunta sicurezza” a chiedere e tentare d’imporre le “sue regole”, senza offrire contropartite diverse da “se mi date tutto quello che chiedo, per il momento lascio in pace l’Ucraina”. Come se ti dicessi “se mi regali la casa, smetto di minacciarti”. Non è che ce l’abbia con Putin, ma mi sembra un linguaggio che solo un mafioso utilizza: “Dammi la tua attività o faccio saltare in aria il negozio e casa tua, con tutti voi dentro” non è un linguaggio accettabile. Mutatis mutandis, “se accettate che l’Ucraina non potrà mai entrare nella Nato, io ritiro i centomila militari russi al confine, che non stanno li per invadere l’Ucraina, ma perché avevano bisogno di cambiare area e respirarne quella del confine, molto più salubre”. Patetico e ridicolo.

Pechino, ragiona tale e quale, sembrano sue fotocopie identiche sputate dallo stesso macchinario. Siccome gli è andata parecchio bene ad Hong Kong che ritiene di aver piegato alla sua volontà, imponendo leggi, come quella sulla “sicurezza” (che strano uso dello stesso termine) decisamente illegittime, dato che il passaggio di Hong Kong dall’Inghilterra alla Cina prevedeva tempi di graduale inclusione da parte della Cina, che Pechino ha poi disatteso totalmente. Ed il mondo occidentale ha pensato bene di abbandonare al loro destino gli abitanti dell’ex protettorato britannico, ora ci sta riprovando con Taiwan.

Pechino si è decisamente infuriato. Ritenendo che i suoi numeri, in termini di popolazione ed economia le diano privilegi nel mondo, che in realtà nessuno le riconosce, “consiglia” al ministro degli Esteri del Somaliland, Essa Kayd, di non compiere la visita programmata a Taiwan. Si becca una risposta, che suona come una sprangata nei denti: “Siamo nati liberi e rimarremo liberi. Gestiremo i nostri affari come vogliamo. La Cina non può dettare legge, nessun altro paese può farlo”.

Il Somaliland si è distaccato dalla Somalia nel 1991, ma non ha ottenuto un ampio riconoscimento internazionale della sua indipendenza, nonostante la regione sia stata quasi sempre pacifica, mentre la Somalia è infestata da tre decenni di guerra civile.

La Cina rivendica sia il Somaliland che Taiwan come proprio territorio. I due Paesi, diplomaticamente piuttosto isolati, hanno creato uffici di reciproca rappresentanza nelle rispettive capitali. Cosa che nel 2020 fece infuriare sia Pechino che Mogadiscio.

L’interesse della Cina per Somaliland deriva dalla sua collocazione geografica, strategica nel Corno d’Africa, e perché confina con Gibuti, dove la Cina ha istituito la sua prima base militare all’estero.

E per il ministero degli Esteri cinese, Wang Yi, Taiwan sta “accendendo le fiamme per minare l’indipendenza e l’unificazione di altri paesi, danneggiando gli altri senza avvantaggiarsi” Il riferimento era alla visita della delegazione ministeriale dal Somaliland. La risposta del suo omologo del Somaliland l’ho già riferita testualmente.

Kayd ha, poi, aggiunto che il suo Paese è aperto a trattare con chiunque li rispetti come Paese sovrano e voglia commerciare o fare altri affari, senza porre vincoli o condizioni. Ed ha concluso: “Penso di essere stato il più chiaro possibile sulla Cina”.

Negli ultimi anni, e cioè da quando la Cina ha acquisito forza in Africa, grazie alla sua politica tardo-colonialista, Taiwan è stata quasi cacciata diplomaticamente dal continente africano. Solo il minuscolo eSwatini mantiene relazioni piene con l’isola.

La Cina per intensificare il suo potere in Africa, forte di un’economia in crescita esponenziale, concede prestiti ai paesi africani. Anche Taiwan tenta di contrastarla con identiche offerte, tanto che entrambi i Paesi si scambiano spesso ironie reciproche sull’uso della “diplomazia del dollaro” con prestiti e regali in contanti.

Non meravigli, quindi, la dichiarazione deI ministro delle finanze del Somaliland Saad, Ali Shire, quando afferma che il suo paese non ha richiesto prestiti da Taiwan ma: “C’è stato un flusso di fondi da Taiwan al Somaliland sotto forma di aiuti e sotto forma di investimenti, che accogliamo con favore“.

E Somaliland e Taiwan sono in trattative per aprire una base militare di Taiwan sul territorio dello Stato autonomo somalo.

E se Taiwan geograficamente potrebbe essere stato territorio cinese, anche se dall’isola lo negano categoricamente, cosa c’entri la rivendicazione territoriale sul Somaliland è un vero “mistero d’oriente”.

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