Nei 5 Stelle di tutto di più.

Di Maio ottimista. Di Battista egocentrico e sfascista. Sullo sfondo un Crimi frastornato, un Casaleggio infastidito. Fico efficace e puntuale, ma con un seguito esiguo. Forse Grillo deve rassegnarsi a tornare sulla scena.

GP

Se la piattaforma Rousseau, ovvero Davide Casaleggio o se preferite la Casaleggio ed associati, riduce, per ora fino a dicembre i propri servizi nei confronti di movimento, portavoce ed iscritti, dal momento che non tutti i portavoce pagano i trecento euro al mese concordati per assicurare la copertura dei costi dei servizi prestati, ed è una bella grana per il movimento in un momento di difficoltà sul piano del consenso, forse non si può dire con certezza che il malessere di Casaleggio sia solo un fatto economico. Casaleggio è un imprenditore a servizio della politica e come tale ragiona. I conti in azienda devono tornare, ma Casaleggio nel contempo risponde così agli attacchi di buona parte degli eletti (i portavoce) e di quelli che comunque contano tra i pemntastellati. Non è un caso che nella nuova bozza di statuto che circola la funzione della piattaforma e della Casaleggio e co. venga fortemente ridimensionata. Dovrebbe farsene carico e parlarne il reggente Vito Crimi, ma anche in questo caso lascia a Di Maio il compito di sbrogliare la matassa.

E Di Maio ci avrebbe messo la firma a doversi limitare ai mal di pancia della Casaleggio per le quote non versate e di parte dei militanti per il deludente esito delle regionali. Il carico da 11, come dicono i giocatori di briscola, lo ha calato il Diba, quell’Alessandro Di Battista eterno amico-nemico di Luigi Di Maio, che piaccia o no d a dispetto delle facili ironie continua ad essere, dopo Grillo, il più autorevole ed ascoltato nel Movimento. Di Battista che alla creatura di Grillo nella vita deve più o meno tutto, non mi risulta (ma forse sono io ignorante) che prima dello sbarco tra i pentastellati fosse qualcuno, durante la registrazione di ‘Accordi e Disaccordi’,la trasmissione condotta da Andrea Scanzi e Luca Sommi sul Nove tutti i venerdì alle 22.45, si lascia andare e rivela che Di Maio gli aveva chiesto di fare il Ministro nel Conte bis ma sarebbe stato fermato dal veto del PD mentre gli veniva fatto sapere che nel governo sarebbe entrata la Boschi. E fin qui nulla di stano o di male, ma poi sopravvalutandosi, attribuisce il movimento nei pentastellati che spinge per una leadership collegiale al solo fine di impedire a lui di divenire il capo politico del movimento. Si spinge oltre. Dichiarandosi sì favorevole all’attuale governo, ma contrario ad un’alleanza strutturale od organica col Pd “che sarebbe la morte nera per il movimento e riporterebbe indietro al bipolarismo le fancette dell’orologio della storia. Quindi, conclude, se le cose andranno come sembra, per lui c’è solo l’abbandonare il movimento.

La sua identità di vedute con Paragone è nota. Che ne segua l’esempio non desta troppa meraviglia. E qualche scontento potrebbe seguirlo. Molti colleghi identificano la capofila in Barbara Lezzi, ma in queste cose sono come San Tommaso: “vedere per credere”. L’asse inossidabile Renzi-Nardella, finito il giorno in cui Renzi ha lasciato il Pd per dar vita ad Italia Viva, docet sulla tenuta temporale delle alleanze in politica. Fossi in Dibattista non conterei troppo. Molti lanciano segnali di disagio in vista del riassetto imminente del movimento, l’eterno modo di farsi notare e considerare, valeva nella DC e vale tutt’oggi mutatis mutandis.

Di Maio in apparenza pare non prendere tanto sul serio quelle che evidentemente considera bizze alle quali l’esperienza pentastellata l’ha abituato. E’ il primo che apre timidamente al Mes, ma lo fa sulla scia di Conte, facendola apparire come una decisione presa mal volentieri sol perchè tra un frugale ed un sovranista i tempi del Recovery Fund in Europa si dilatano e tutto sommato non si può rinunciare ad iniezioni di moneta a condizione vantaggiose. E sembra l’unico ad essersi accorto e ricordato dei turni di ballottaggio, dei candidati sindaci del movimento impegnati nella campagna elettorale a cui cerca di dare il maggior incoraggiamento posssibile ed a cui da Casaleggio a Di Battista, nessun’altro pare prestare attenzione sia pur minima.

Sullo sfondo la posizione della terza carica dello Stato e dei suoi fedelissimi. Fico, che ha lanciato per primo la proposta di una leadership collegiale ora dovrà lavorare per contenere la proposta Crimi che prova a neutralizzare la proposta Fico (cinque membri) annacquandola con una ventina di membri, alias contentino per qualcuno in più e svuotamento di efficacia attesa la pletoricità della composizione.

Sta di fatto che la data degli Stati generali del Movimento non si partorisce e non è un bel segnale per una formazione politica che necessita di una messa a punto programmatica, di pensare al futuro e non vivere di ricordi nostalgici. Devono in molti militanti decidersi a superare il rimpianto del governo giallo verde. Farebbero bene a ricordare chi crebbe di consenso alle loro spalle e chi staccò la spina al governo con l’insopportabile movimento del no, in realtà per monetizzare l’onda del momento, c0me candidamente confessò a Conte.

Intanto oggi l’attenzione è focalizzata sul processo a Salvini. Piaccia o no è l’argomento del giorno.

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