Michele Campione: il giornalista di Puglia.

In apertura di questa testata la pubblicazione integrale di un articolo attualissimo scritto dal grande giornalista Michele Campione nel 1996.

Cominciano oggi le pubblicazioni di questa Testata, le cui finalità, obiettivi ed altro ancora proverò ad illustrare sinteticamente con diverso editoriale. Ho promesso, nella presentazione ai Colleghi della Stampa e dei media lunedì scorso, che avrei aperto il quotidiano LaVoceNews con un intramontabile articolo firmato, dal grande Maestro di Giornalismo, Michele Campione, del quale sono stato allievo e col quale ho avuto il privilegio di lavorare e formarmi nella redazione regionale del Corriere del Giorno. Ai non addetti ai lavori, cioè ai lettori, che Michele indicava come unici padroni che il giornalista può e deve avere, ricordo che l’Ordine dei giornalisti di Puglia ha istituito il “Premio Giornalista di Puglia Michele Campione” che quest’anno giunge alla ventesima edizione, e che si svolgerà, presumibilmente, nel prossimo mese di marzo 2020. Il 4 settembre del 1996 Michele Campione scriveva, infatti, questo articolo che per me rimane una pietra miliare nel giornalismo e che il tempo trascorso credo non abbia intaccato minimamente.

 Bari: non una città povera ma una povera città.

 Perche’ non la vendiamo al miglior offerente?    

 Il ricordo di Grimoaldo degli Alfaraniti e la desolazione di oggi.

MICHELE CAMPIONE

La pratica di vendere e comprare feudi con terreni e città è durata a lungo per centinaia di anni, sino a quando il diritto feudale ha permesso e consentito la esistenza dei grandi feudatari imparentati spesso con il sovrano dell’epoca, con il territorio che era considerato bene della corona e quindi del re.

Basti pensare, per restare nelle mura di casa, agli Sforza, duchi di Bari con Bona Sforza. E poi l’acquisto di Giovinazzo da parte dei Grimaldi di Genova e dei Pappacoda per la provincia jonica e ancora le vicende di tanti altri paesi della nostra Puglia a cominciare da Martina Franca chiamata così perché riuscì ad affrancarsi dal potere del sovrano versando una notevolissima somma di monete d’oro.

E se ponessimo in vendita anche la Bari attuale? La proposta è certamente provocatoria ma che cosa potrebbe accadere di peggio di quanto accade ora?

Certo nessun Comune può abdicare al rapporto di sovranità con lo Stato nazionale ma se mettessimo Bari in vendita al miglior offerente sapremmo almeno con chi prendercela. Conosceremmo direttamente il “Padrone”, il “Nemico” delle attese e delle aspettative dei cittadini, l’”0ppositore” ad oltranza delle fortune cittadine, il “Diavolo” in persona, il “Tiranno” che da un giorno all’altro squarcia strade, blocca ponti, scatena mandrie di ruspe per le strade cittadine, il “Dominatore” che non tiene in nessun conto i diritti del cittadino ad avere le pensiline alle fermate dei tram mentre la brutta stagione si avvicina, il “Nemico” della cultura e dell’arte, lo “Sperperatore” delle scarse risorse comunali dilapidate nel finanziamento di pretestuose operazioni artistiche, il “Pensatore” del nulla come avviene ora per Sindaco e gli Assessori, il “Sultano” che non tiene in conto alcuno i problemi più urgenti e le segnalazioni della gente, il “Despota” che crea fortune e premia gli amici, l’“Interlocutore sommo” con il quale è difficile parlare perché non ascolta e non capisce le ragioni altrui.

E si potrebbe continuare. E il novello Gengis Khan non avrebbe per la verità molto ancora da distruggere visto che molto è stato sciupato, altro devastato, altro ancora semplicemente ignorato.

Una volta nella millenaria loro storia i baresi si stancarono di principi e di governatori che venivano sempre da fuori ed elessero Principe di Bari Grimoaldo degli Alfaraniti. Anche se portava il nome di un re longobardo, Grimoaldo era uno dei nostri. Era diventato ricco e rispettabile per la grande fortuna accumulata nei commercio degli oli. Non ci scordiamo che era il tempo dei grandi affari con le Crociate. Grimoaldo ricco, stimato dai concittadini, premuto da più parti cedette al “virus” della politica e decise di impegnarsi nel governo della città. Cosi si fece eleggere Principe di Bari per volontà di popolo e grazia di San Nicola come decise di porre sotto il suo nome. E cosi firmava gli editti ed i decreti.

Ma pare che anche la razza dei Grimoaldo sia scomparsa, annegata nelle nebbie della storia. E cosi non ci resta che guardarci attorno per trovare una offerta vantaggiosa. E che per carità non valga la legge perversa che presiede a gran parte degli appalti comunali per cui prevale l’offerta più bassa.

Ma se siamo alla ricerca di un Principe, per dirla con Macchiavelli, vuol dire allora che abbiamo toccato proprio il fondo. Parrebbe di sì perché il costume cittadino si è sfilacciato, è liso come una trama usurata dal tempo, lascia trasparire nudità e vergogne. Il Comune non è più luogo di dispute, di discussioni, di dibattiti ad alto livello nel nome della città, ma la sede di rissosità da condominio, di ripicche e di vendette personali. La politica è stata soppiantata da pressappochismo, il gusto delle polemiche dalle miopi, pretestuose affermazioni in nome delle corporazioni o delle lobbies.

Il Comune non produce politica. L’Università, che con il Politecnico annovera 100 mila studenti e migliaia di docenti, è desolatamente ferma nella ricerca e nella elaborazione di modelli culturali. E’ diventata un esamificio a ritmo costante, un meccanismo che stritola e tritura esami ed esaminandi, docenti ed allievi, strutture e buone volontà, propositi e speranze.

Ed i giovani? Che fanno i giovani? Vivacchiano e si arrangiano. Alcuni con i lavori “part time” offerti loro proprio dall’Ateneo. Altri trascinano le loro serate da una pizzeria ad una paninoteca con l’eccezione del sabato dedicato alla discoteca. Tanto – dicono – non serve laurearsi in tempo. Non ci sono posti di lavoro.

L’edilizia, croce e delizia degli imprenditori baresi, è diventata l’ultima spiaggia sulla quale si sono arenate anche le balene bianche dei grandi imprenditori e delle famiglie di imprenditori che tutti credevano al sicuro dal tarlo della recessione e della stasi. Certo si costruisce ancora ma i prezzi sono alti, i terreni costano e clienti in giro non ce ne sono perché i soldi sono pochi per tutti.

E Tecnopolis? Che fa Tecnopolis? Anche questa struttura è stata attaccata dalla ruggine dei bilanci che non quadrano, dei soldi che non ci sono, dei finanziamenti che non arrivano. Ed i saldi nelle vetrine durano mesi. Moltissimi guardano. Pochi comprano. I “Si loca” ed i “Si vende” si moltiplicano. Ma nessuno acquista. I prezzi degli immobili scendono anche della metà. Ma ci vogliono sempre troppi soldi per una casa.

E allora? Allora meglio orientarsi per le vacanze. Quest’anno i baresi, quelli che hanno potuto, hanno fatto brillanti vacanze. Gli altri sono rimasti a casa in una città non certo deserta ma opacizzata dalla calura e sclerotizzata dal timore dei ladri. Pochi i furti d’appartamento ma feroce la malavita a Bari vecchia alla ricerca di un assetto non ancora trovato. E si spara e si distribuisce droga. Gli albanesi continuano a venire con le giornate di mare calmo. Ne fermiamo dieci ed altri trenta, almeno, riescono a farla franca. Ora c’è il caro scuola. I genitori mugugnano. I ragazzi vogliono lo zainetto firmato. Il mercatino di libri usati è in pieno vigore.

Al porto, la stazione passeggeri fa schifo con un cesso solo per centinaia di migliaia di passeggeri. I treni delle Ferrovie non brillano certo per splendore. L’aeroporto è del tipo “terzo mondo”.

Intanto è emersa l’epatite e ricompaiono i fantasmi medioevali del colera. Ma i baresi, per questo, sono immortali. Sopravvivono agli amministratori attuali, ai guasti della vita cittadina, alle contraddizioni di una città che non riesce a ritrovare se stessa, alla mancanza di cultura, all’annaspare di velleitarie iniziative, al predominio spesso arrogante di chi comanda da sempre.

E se la mettessimo… in vendita questa nostra città non certo mancante di risorse ma povera, perché le hanno scippato l’anima?

Chissà se avremmo qualche offerta. Chissà. E questo è ancora più triste.