L’odore della morte

Le stragi in Ucraina documentate
da giornalisti indipendenti,
nell’anniversario del genocidio in Ruanda

Giovanna Sellaroli

Giorno 42, la guerra e gli orrori di Bucha,  di Borodyanka, di Mariupol, sono documentati da decine di giornalisti indipendenti che sono sul campo, che hanno raccolto interviste, racconti e testimonianze filmate sul terreno.

E non attori, e attori bambini stuprati come i russi vogliono far credere. Ma insomma, abbiamo bisogno di altre conferme?

Dove sono le garanzie che deve dare l’Onu? Dov’è la pace che il Consiglio di sicurezza deve costruire?“. Ha detto ieri in tono sferzante, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky parlando al Consiglio di sicurezza dell’Onu. “Il proposito di questa organizzazione è garantire la pace“, ha sottolineato il leader ucraino, aggiungendo: “La Russia porta avanti azioni terroristiche e sta commettendo i peggiori crimini di guerra“. E chiedendo una nuova Norimberga, ha gridato: “l’Onu agisca o si sciolga

Comprendiamo la disperazione di Zelensky, ma certo, come si può pensare di sciogliere l’Onu?

Proprio oggi ricorre l’anniversario del genocidio in Ruanda: era il 6 aprile 1994 quando iniziarono i massacri che in breve tempo fecero 1 milione di morti.

Uno sterminio di massa di portata enorme, secondo solo alla Shoah e, allora, l’Onu per tutta risposta, pensò bene di ritirare il suo contingente di caschi blu, lasciando il Paese al suo atroce destino. Ne parla oggi Alessandro Milan, grande giornalista di Radio 24, de Il Sole 24ore, e conduttore di “Uno, nessuno, centoMilan”, in un accorato post su Facebook. Ricordando il genocidio in Ruanda, in passato, proprio Alessandro Milan aveva raccontato la storia di un nostro valoroso connazionale, il console onorario Pierantonio Costa, il quale usò tutti i suoi averi personali per salvare il maggior numero di ruandesi. Ne portò in salvo oltre mille e in Ruanda, oggi, il nostro Costa è ricordato come un ‘giusto’.

Genocidio Ruanda 1994

La memoria storica fa sempre bene, peccato che si tenda sempre a lasciare nel dimenticatoio quel che accade lontano da noi.

Ma torniamo alla cruda attualità. Mentre la guerra in Ucraina non dà tregua, anzi prosegue col suo carico di atrocità, ieri l’espulsione di 30 diplomatici russi dal nostro Paese, in linea con gli altri Paesi dell’Unione europea, ha portato la Lega a giocare a carte scoperte.

Già, perché mentre continua il silenzio imbarazzante di Matteo Salvini su Putin (non ne ha mai nemmeno pronunciato il nome) e il massacro di Bucha, la Lega ha preso ufficialmente le distanze dalla decisione della Farnesina: “la storia insegna che la pace si raggiunge con il dialogo e la diplomazia e non espellendo i diplomatici“, hanno commentato fonti del partito. 

Certo questo buonismo dal tono conciliante dell’ultima ora, puzza, è assolutamente ipocrita e non ci crede nessuno. Intanto Gianluca Savoini, leghista e Presidente dell’associazione culturale Lombardia-Russia, è stato silurato dal centro destra italiano e costretto alle dimissioni. Il Consiglio regionale della Lombardia, con voto segreto si è espresso a favore delle sue dimissioni dal Corecom (Comitato Regionale per le Comunicazioni Lombardia).

In una nota il Pirellone “esprime il proprio dissenso rispetto alla permanenza di Gianluca Savoini – per sua stessa ammissione, incondizionato ammiratore di un regime nemico della libertà di stampa e della verità – tra i componenti dell’autorità regionale che ha il compito di garantire e controllare la libera informazione in Lombardia e lo invita pertanto a rassegnare le dimissioni”.

In linea con il Premier Draghi, che ieri in audizione al Copasir ha lanciato un messaggio forte e chiaro a Salvini, a Conte e alle aziende pubbliche italiane circa i rapporti con Russia e Cina, invitando tutti alla trasperenza: chi ha rapporti con certi paesi esca allo scoperto, chi ha preso soldi anche in modo obliquo, lo dica.

FRANCO GABRIELLI DG PUBBLICA SICUREZZA MARIO DRAGHI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ADOLFO URSO PRESIDENTE COPASIR

Dalla Russia “con amore”, uno slogan oramai obsoleto, oltre a dichiarazioni obiettivamente fraudolente, giungono solo minacce; tra le ultime, quella riferita da Ria Novosti, l’agenzia di stampa russa fedelmente allineata al Cremlino, in cui si dice che la denafizicazione dell’Ucraina durerà 25 anni, una generazione.

Rieducare e deucrainizzare il popolo anche attraverso i lavori forzati, reprimere gli atteggiamenti nazisti, censurare severamente, liquidare le élite e cambiare nome al Paese“: eccole le parole deliranti che suonano minacciose in un contesto di guerra che si fa sempre più cruento. Perché non dimentichiamoci che la guerra è guerra sempre.

Il quadro è chiaro: in previsione di una guerra bestiale e destinata a durare a lungo, il resto del mondo cosa fa? Che cosa deve fare?

È un dilemma enorme perché una risposta valida e univoca non c’è.

Certo la via diplomatica che formalmente è spianata, deve proseguire il suo corso; certo tutte le sanzioni approvate da Nato, G7 e UE, devono necessariamente diventare sempre più pesanti e pressanti, così come le restrizioni ai media. È di poco fa la notizia che Twitter ha annunciato una stretta per gli account a propaganda russa. E tutti i mezzi di comunicazione devono “combattere” contro fake news e scagliarsi contro la censura, sempre a favore della libertà di stampa e d’espressione.

Ma non basta, è necessario che ognuno di noi si senta coinvolto e disposto ad accollarsi qualche sacrificio.

“D’ora in poi la Lituania non consumerà un solo centimetro cubo del gas tossico russo. La Lituania è il primo Paese Ue a rifiutare l’importazione di gas dalla Russia”. Questo ha annunciato con un post su Twitter Ingrida Simonyte, la premier del Paese baltico. Ecco un esempio virtuoso che dovremmo prendere in considerazione, cercare di imitare, anche se già sento elevarsi il coro di proteste, di coloro che dicono che da noi non si può fare, che non è così facile e via discorrendo.

Ebbene, è assolutamente necessario darsi da fare, bisogna “inventarsi” qualcosa, abbiamo il dovere morale di impegnarci anche con qualche sacrificio.

La guerra va fermata a tutti i costi e soprattutto, non possiamo rischiare di allargare un conflitto che si combatterebbe a suon di armi nucleari.

Mi ha molto colpito la lettera dei soldati di Odessa. I militari che difendono la città, hanno scritto una lettera vergata con il loro sangue, in cui chiedono di chiudere i cieli. Una dozzina di provette piene di sangue per scrivere un lungo appello indirizzato alla Corte europea dei diritti umani : “Stiamo morendo per difendervi, fate una No Fly Zone al più presto, chiudete i cieli. Vladimir Putin ha attaccato l’Ucraina come i nazisti attaccarono l’Unione Sovietica, a tradimento”.

Parole scritte col sangue che gridano vendetta, ma un atto anche pieno di violenza. Certo necessariamente brutale, ma la guerra chiama guerra e questa guerra, l’ho già scritto per La Voce News, non è scoppiata all’improvviso, in Ucraina la guerra c’era da 8 anni e la pericolosa situazione venutasi a creare nel Donbass non ha voluto vederla nessuno. E Zelensky lo sapeva.

Come diceva il grande Gino StradaLe guerre appaiono inevitabili, lo appaiono sempre quando per anni non si è fatto nulla per evitarle

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