Libia nel caos
Cresce l’instabilità in Libia e il rischio di una nuova guerra civile.
Rabbia e proteste in varie città, a Tobruk assalto al Parlamento
Giovanna Sellaroli
Venerdì nero in Libia nel fine settimana dove, da est a ovest del Paese, un’ondata di violente proteste, ha visto mettere a ferro e fuoco diverse città. Cresce pericolasamente l’insatabilità, mentre Turchia e Russia mantengono ben salda la loro influenza nel Paese.
E mentre nel giorno 132 di guerra, la Russia si sta prendendo il Donbas con Mosca che, al momento, mantiene un vantaggio tattico innegabile, mentre Kiev non ha gli strumenti, né i numeri per riconquistare i territori perduti, in Libia esplode una nuova guerra civile.
Da Tobruk a Tripoli, a Misurata, i libici sono scesi in piazza contro il carovita, contro il deterioramento delle condizioni di vita, in particolare contro il taglio della corrente elettrica che in piena estate, viene a mancare anche per più di dodici ore al giorno.
Nel Paese manca di tutto, i prezzi dei generi di prima necessità sono in continuo aumento, inizia a scarseggiare persino la farina, dopo il blocco delle esportazioni del grano, posto in essere dalla guerra di Putin all’Ucraina.
Folle di manifestanti, perlopiù giovani, subito dopo la preghiera del venerdì, hanno preso d’assalto le piazze delle città, hanno bruciato pneumatici e bloccato molte strade, soprattutto nella cintura periferica di Tripoli.
Al grido di “Vogliamo la luce”, a Tobruk un gruppo di persone ha assaltato e successivamente dato alle fiamme, gli uffici del Parlamento.
A peggiorare il quadro è anche il blocco delle esportazioni di petrolio. Diversi stabilimenti sono chiusi da settimane e la National Oil Corporation è stata costretta a dichiarare lo stato di forza maggiore; si stima che le casse statali abbiano perso nelle ultime settimane circa tre miliardi di euro, con un calo di esportazione di 865 mila barili al giorno, provocando l’impennata delle quotazioni del greggio.
In particolare, la situazione è precipitata lo scorso aprile quando, a causa delle diverse fazioni che avvelenano la Libia da tempo e che si contendono il Paese e le istallazioni petrolifere, sono stati bloccati diversi terminal di giacimenti petroliferi per le esportazioni, creando ingenti danni economici alla compagnia energetica libica.
Sullo sfondo delle proteste, campeggia l’annosa crisi politica, nonché il problema dello stallo politico, dovuto all’incapacità, o al disinteresse, del cosiddetto Governo di unità nazionale di indire nuove elezioni, previste inizialmente nel dicembre 2021 e richieste ora a gran voce dalla popolazione.
Certamente la scintilla della protesta è da attribuirsi alle peggiorate condizioni di vita della popolazione, aggravate dalla guerra in Ucraina, eppure a peggiorare la situazione è il fatto che la Libia si ritrova attualmente con due premier.
Entrambi, paradossalmente, espressione della Libia, uno è Abdel Hamid Dbeibah, capo dell’esecutivo di transizione che doveva traghettare il Paese alle elezioni parlamentari e presidenziali, l’altro è Fathi Bashagha, l’ex ministro dell’Interno e poliedrico politico di riferimento di Misurata con entrature anche in Francia, da sempre sponsor della Cirenaica del rivale Khalifa Haftar.
Un Paese spaccato a metà.
Due giorni fa i rappresentanti dei due esecutivi, in colloqui mediati dall’Onu, hanno fallito nel trovare un’intesa per convocare nuove elezioni, dopo l’annullamento di quelle previste lo scorso dicembre.
Insomma, una situazione di alta tensione, quella esplosa nelle ultime ore, che allarma anche l’Onu. “È assolutamente fondamentale mantenere la calma, che la leadership libica si dimostri responsabile, e che tutti esercitino moderazione”, ha detto consigliere speciale dell’Onu per la Libia, Stephanie Williams esortando i partiti politici “a concretizzare il desiderio di tre milioni di elettori”, e a realizzarlo senza ulteriori rinvii.
LibyanExpress riferisce che Williams ha detto alla BBC che tutte le attuali istituzioni in Libia mancano di legittimità dopo anni di divisione, e ha affermato che la legittimità delle istituzioni dovrebbe arrivare attraverso le elezioni.
I movimenti di protesta hanno annunciato nuove mobilitazioni, mostrandosi intenzionati a continuare fino a quando l’attuale classe politica resterà al potere, invocando l’organizzazione di elezioni presidenziali e legislative entro l’anno.
L’Africa dunque, sempre più centrale nell’attualità geopolitica del momento e la Libia, così vicina a noi e non solo geograficamente, torna e rivelarsi una polviera pronta a esplodere.
Una situazione che preoccupa soprattutto l’Italia, in pochi mesi la produzione di greggio è scesa da un milione e 200.000 barili al giorno a poco meno di 600.000; il Ministro Guerini ha detto: “Oggi nel Mediterraneo si riverberano gli echi dell’aggressione russa all’Ucraina, ma anche la fragilità dell’area medio-orientale, le difficoltà di alcune regioni del Nord Africa e, soprattutto, del Sahel. Da tutte queste situazioni si possono originare minacce dirette alla nostra sicurezza”.
Gruppi armati. infatti. avevano già minacciato i dipendenti dell’impianto della National Oil Corporation, costretto a fermarsi. Ma il problema si pone anche per le compagnie petrolifere straniere che operano in Libia, tra cui l’italiana Eni, presente nel Paese da più di 40 anni, per le quali è di importanza primaria garantire la sicurezza degli impianti e del personale.
I pozzi del petrolio dunque, ostaggio della guerra civile, in un Paese in cui la presenza di mercenari stranieri al soldo di entrambi le parti in cui è diviso il nord della Libia, pesa su ogni possibile sforzo di riconciliazione. La Libia, come altri Paesi africani, non solo è in balìa dell’instabilità politica interna, ma è nelle mani delle potenze straniere (Cina e Russia) che cavalcano l’onda del disordine e dell’instabilità.
Mai come ora, sulla Libia aleggia lo spettro di Mosca che presenzia il territorio con i famigerati mercenari del gruppo Wagner (ne ho parlato più volte sulla Voce News).
Putin ha tutto l’interesse e l’intenzione di interrompere i flussi di petrolio verso l’Europa, e contribuire a far schizzare i prezzi del greggio.
È chiaro, Putin usa la Libia contro l’Europa. E Washington l’ha ben capito. Si è da poco conclusa l’African Lion 2022, l’esercitazione militare annuale gestita da Africom, il Comando africano degli Stati Uniti, sui territori di Tunisia, Marocco, Ghana e Senegal. Oltre agli statunitensi hanno partecipato militari ciadiani, brasiliani, francesi, olandesi, britannici e anche 40 italiani parte dei Nato rapid deployable corps. Quest’anno, riferisce Il Foglio, l’esercitazione è stata più ampia e partecipata ed è emerso piuttosto chiaramente che gli Stati Uniti sono concentrati ad arginare il più possibile l’avanzata russa in Africa.
I russi infatti, già da tempo, supportano più o meno platealmente, i colpi di stato nei paesi africani. Ma, a seconda delle situazioni, il Cremlino pone in atto una tattica “diplomatica” proponendosi come forza neutra utile a combattere lo Stato islamico e le milizie che minano la stabilità di ampie porzioni d’Africa.
Un quadro fortemente destabilizzante che preoccupa non poco, proprio nel giorno della visita del nostro premier Mario Draghi in Turchia. Il presidente del Consiglio in queste ore è ad Ankara per rilanciare i rapporti bilaterali. Centrale il tema della diplomazia del grano, con l’obiettivo di sbloccare i porti sul Mar Nero per scongiurare una crisi alimentare drammatica.
Ma tratterà anche il tema dell’energia, con la Turchia che ha aumentato del 62,5% i volumi di gas trasportati con il gasdotto Tanap (Trans-Anatolian Pipeline), che si collega con la Tap, diventando la terza rotta di approvvigionamento dopo Algeria e Russia. Sul tavolo anche la crisi libica.
Per seguirci su Facebook mettete il “mi piace” sulla pagina La Voce News o iscrivetevi al gruppo lavocenews.it. Grazie.