Il Covid-19 dimezza i consumi culturali

Disastro e cancellazione della cultura sono i soli termini adatti a descrivere il rapporto odierno tra Italiani e cultura.

GP

Chi opera nel settore cultura e segue con attenzione quel campo se ne era accorto da tempo ed in tanti hanno parlato, non a torto, di cancellazione della cultura nel nostro Paese. Ora le conferme dei timori nostri e di chi la pensa come noi ricevono la conferma ufficiale.

Il coronavirus ha praticamente dimezzato i consumi di beni e servizi culturali che registrano un saldo annuale del -47% e che sono passati da 113 euro di spesa media mensile per famiglia in dicembre 2019 a 60 euro a dicembre 2020.

Il settore più colpito è lo spettacolo dal vivo bloccato dal lockdown e dalle successive misure di contenimento della pandemia: crollo degli spettatori di circa il 90%.

Tengono i libri e cresce l’utilizzo del digitale e della pay tv in streaming.

Sono i dati di una ricerca dell”Osservatorio di Impresa Cultura Italia-Confcommercio, in collaborazione con Swg, sui consumi culturali degli italiani nel 2020.

Può consolarci la tenuta, e la parziale crescita di questi surrogati dello spettacolo? Non credo. Uccidere la creatività di un Paese è l’anticamera di un suicidio collettivo sociale. Un peggioramento, pressochè irreversibile, del tessuto sociale e del senso dell’umanità. La sconfitta del bello che cede il posto all’orrido.

Mi rendo perfettamente conto delle ragioni che hanno indotto a giungere a questo punto, ma la morte dello spettacolo dal vivo, per complicazioni da Covid-19, non è solo frutto della cautela giustamente adottata per contenere la diffusione dell’infezione. E’ principalmente frutto del “chi se ne frega” degli invisibili. Di quella gente, che non ha ammortizzatori sociali e che già prima dell’epidemia, quando, secondo alcuni, tutto filava liscio ed andava bene nel Paese. stentava a mettere insieme il pranzo con la cena.

Quando pensiamo allo spettacolo, pensiamo a stelle e lustrini e ad attori, musicisti, artisti di successo. Per uno che arriva mille, non necessariamente privi di talento, ma semplicemente meno fortunati, si sono arrabattati dalla mattina alla sera solo per poter fare il loro mestiere. E’ gente a cui la società deve un colossale grazie. Senza quei teatrini e quelle compagnie, bande, piccole orchestre, complessi i talenti non avrebbero avuto modo di essere scoperti e di svilupparsi; gli artisti, anche i grandissimi, non sarebbero mai emersi, semplicemente perchè, senza le fucine, avrebbero fatto inevitabilmente un altro mestiere e tutto quel patrimonio di grandi donne e uomini, che sono stati e sono il vanto del nostro Paese, non si sarebbe mai prodotto. Così non è stato fortunatamente, ma temo che così non sarà più.

Come sempre nella vita pochi eletti riescono a salvarsi, mentre i più soccombono. Ciò che sconcerta maggiormente è che questa strage che si va consumando giornalmente da un anno avviene nell’indifferenza e nel silenzio della politica preposta al settore, manifestamente più interessata ai giochini di potere ed a salvare le sue posizioni che quelle di chi dovrebbe proteggere e tutelare.

Ottimisti ad oltranza sostenevano che la pandemia ci avrebbe portato alla fine ad un mondo ed una umanità migliore. Temo non sia affatto così, l’assenza di quegli “inutili soggetti sacrificabili”, quando avranno tutti inevitabilmente gettato la spugna, ci regalerà un panorama da day after. Se non quello delle città ridotte a macerie e uomini tornati alla legge del più forte (ma è mai cambiata in fondo?), quello di una civiltà arida e rinsecchita. Di questo parlano e questo preconizzano quei dati, non di altro. Capisco sia più comodo liquidare e spazzare via questi discorsi come follie, ma alla fine, non avendo il coraggio di guardare avanti, si finisce per sbattere il muso contro un muro. E non sarà gradevole.

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