Il caffè con il lettore
Il premio Nobel per la Pace a Narges Mohammadi, ma la sedia a Oslo è vuota
Gianvito Pugliese
E finalmente è arrivato un momento che attendevo con la gioia di bimbo che scarta il più bel dono Natalizio, quello tanto atteso e tanto desiderato. Care/i commensali del caffè … di questa mattina, siamo finalmente liberi di discutere ed argomentare sul Premio Nobel per la Pace 2023, conferito a Narges Mohammadi. “L’attivista Iraniana che si batte per i diritti delle donne è detenuta a Teheran. I suoi figli hanno ritirato il prestigioso riconoscimento a Oslo” è l’occhiello perfetto che ha usato l’Agi desk per scrivere, in sintesi, i contenuti della notizia diffusa in forma d’articolo.
Nello stesso giorno in cui è stata insignita del Nobel per la pace Narges Mohammadi da il via ad una nuova protesta nello stile gahandiano: lo sciopero della fame.
Narges Mohammadi non potrà ritirare il premio di persona, come il protocollo del Premio prevede, essendo prigioniera nel carcere di Evin a Teheran, rea di battersi da anni per i diritti umani.
Ma quello che per Teheran e gli ayatollah è un reato ad Oslo vale il più prestigioso riconoscimento, assegnato ogni anno il 10 dicembre, nella ricorrenza dell’anniversario dell’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948. Ricordo a me stesso, prima che a Voi, che il Nobel per la pace è l’unico che viene ritirato con una cerimonia in Norvegia, tutti gli altri in Svezia a Stoccolma.
Il comitato organizzatore ha deciso, con un gesto simbolicamente forte, che il posto di Narges Mohammadi, accanto ai suoi figli, fosse lasciato vuoto. Un segno di rispetto per Narges, ma anche un rarissimo gesto di disprezzo e di condanna per il regime degli ayatollah e le inique torture morali e materiali imposte a Narges. Il Premio normalmente si astiene da condanne o anche atteggiamenti che possano compromettere la sua equidistanza e totale distacco dalle politiche dei vari Paesi. Per Narges la giusta eccezione.
E’ stata la stessa Mohammadi a chiedere che fossero i suoi due figli, due gemelli di 17 anni, Ali e Kiana, esiliati in Francia dal 2015, a ritirare il premio. Un modo di ripagarli, come può della sua forzata ed incolpevole lontananza da loro. I due ragazzi erano accompagnati dal padre, marito di Mohammadi, dal giornalista e attivista, Taghi Rahmani, che Reporter senza frontiere ha definito “il giornalista più spesso incarcerato” e figure di spicco del mondo della cultura al top nella critica al regime iraniano. Svettavano tra i tanti illustri la fumettista Marjan Satrapi e l’attrice Golshifteh Farahani.
Tra le battaglie di Narges Mohammadi è compresa “quella contro l’obbligo per le donne di indossare l’hijab“. Lo sciopero della fame iniziato nel giorno del conferimento del Nobel è “in solidarietà con la minoranza religiosa bahai“. Lo hanno reso noto suo fratello e suo marito durante una conferenza stampa organizzata ad Oslo.
Durante la cerimonia al municipio di Oslo, i figli di Narges, vestiti tutti di nero, hanno letto il discorso che la madre è riuscita perigliosamente a trasmettere dalla sua cella.
“Sono una donna del Medio Oriente, di una regione che, sebbene erede di una ricca civiltà, è attualmente incastrata nella trappola della guerra e preda delle fiamme del terrorismo e dell’estremismo”, scrive da “dietro le alte e fredde mura di una prigione“. “Sono una donna iraniana orgogliosa e onorata di contribuire a questa civiltà, che oggi è vittima dell’oppressione di un regime religioso tirannico e misogino”. Ha quindi invitato la comunità internazionale a fare di più per i diritti umani.
Sulla sua poltrona vuota, è stato posto un suo ritratto. Narges col cuore e con l’anima era li in quella sala di Oslo, con i suoi figli e le persone a lei care.
L’attivista 51enne, arrestata e condannata più volte negli ultimi decenni, torture che non l’hanno piegata, è tra i principali esponenti del movimento contrario alla Repubblica islamica “Donne, Vita, Libertà”, letteralmente esploso l’anno scorso in Iran e che fa paura all’Ayatollah Ali Khamenei, più di un battaglione di marines in assetto di guerra.
Fu la morte della ventiduenne curda iraniana Mahsa Amini, uccisa a botte dalla cosiddetta guardia morale, per non aver indossato correttamente il velo la scintilla che diede vita al movimento, “che ha visto le donne togliersi il velo, tagliarsi i capelli e manifestare per le strade“, un incendio che il regime iraniano non riesce a domare, né impaurire.
E nel documento letto dai suoi figli ad Oslo, Narges scrive: “L’hijab obbligatorio imposto dal governo non è né un obbligo religioso né un modello culturale, ma piuttosto un mezzo di controllo e sottomissione dell’intera società … una vergogna governativa“. Ha poi affermato che la “Repubblica islamica è sostanzialmente estranea al suo popolo“, e denunziato senza mezzi termini la repressione, il sistema giudiziario, la propaganda e la censura, il nepotismo e la corruzione.
Per la storia e gli amanti delle statistiche ricordo che Mohammadi è la quinta vincitrice del Premio per la Pace a essere in detenzione. Prima di lei il tedesco Carl von Ossietzky, la birmana Aung San Suu Kyi, il cinese Liu Xiaobo e il bielorusso Ales Beliatski.
Poche le parole pronunciate dalla presidente del comitato Nobel, Berit Reiss-Andersen, ma non ne poteva scegliere altre più significative e coinvolgenti: “La lotta di Narges Mohammadi può essere paragonata a quella di Albert Lutuli, Desmond Tutu e Nelson Mandela”. Superfluo aggiungere che costoro sono tutti premi Nobel.
Chiedo scusa se mi sono dilungato sui fatti e sulle premesse alla nostra discussione, ma rileggendo non trovo nulla di superfluo.
Accorcio sulla discussione e conclusioni. Credo e mi piacerebbe proporre, dopo la stesura del documento per Leone (compresa proposta di modifica legislativa e raccolta di firme), che ad iniziativa delle nostre lettrici partisse nella e dalla nostra Città e dal nostro giornale un comitato, un’associazione, qualcosa di palpabile e concreto che si assuma l’onere gravoso di tener viva la battaglia per la libertà ed il rispetto delle donne iraniane. Mi, permetto, in conclusione di suggerire che l’associazione, il comitato, quale che sia la forma che sceglieremo insieme, porti il nome di Narges Mohammadi. Io non ne vedo di più significativi ed autorevoli, ma la discussione è aperta e spero veda molti vostri contributi di idee e che non si spenga appena ci alziamo da questo tavolo e la vita ci porta a pensare ed affrontare tanto altro.
A domani.
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