Berlusconi grazie al Colle ha riconquistato la scena
Il Cavaliere chiede lealtà agli alleati, ma per Pd e M5S perde solo tempo
Gianvito Pugliese
C’era un tempo che Arcore, dove la padrona di casa era Veronica Lario, l’ultima moglie di Berlusconi, era il fulcro pulsante della vita politica italiana. Erano i tempi del Berlusca presidente del Consiglio o capo dell’opposizione, delle sue Forza Italia o PDL (Partito delle Libertà), locomotiva ed anche tender del treno del centrodestra, in una parola della indiscussa, ed apparentemente incrollabile, leadership di Silvio Berlusconi.
Incrollabile, anche perché Berlusconi, emulo di Erode il grande, più noto per la strage degli innocenti, ma in realtà uomo di carattere estremamente diffidente e sospettoso, che mandò alla forca una delle mogli ed alcuni dei suoi figli, temendo che complottassero per spodestarlo, ha sempre sistematicamente fatto fuori, ovviamente in senso politico, i suoi delfini. Accadde ad Alfano, Carfagna, Fini, Fitto, Toti ed a tanti altri, praticamente tutti.
Berlusconi, da essere quello che sdoganava i post-fascisti di Alleanza Nazionale, Pinuccio Tatarella. erede e successore di Giorgio Almirante, gli fu a fianco senza se e senza ma, e che tendeva la mano ad Umberto Bossi, capo di una Lega nord circoscritta localmente, folkloristica e senza prospettive, che si caricava sul groppone e portava al governo quei due partiti ad una sola cifra, con la sola forza del suo partito, che poi era la sua forza personale, nel triunvirato del centrodestra si è trovato ultimo, proprio lui a capo di un partito ad una cifra con le sue creature entrambe a due cifre, intente a superarsi a vicenda.
Lo ha rilanciato e non solo nell’attenzione mediatica la sua presunta candidatura al Quirinale. Forza Italia ha guadagnato circa due punti nei sondaggi da quando si è saputo della sua aspirazione al Colle, e la sua residenza privata Villa Grande, che vorrebbe rinnovare i fasti di Arcore, ospita nuovamente i summit del centrodestra.
Ed a proposito di ieri, correggo l’illazione scherzosa, che non ci fosse stato il consueto pranzetto. Quello servito ieri agli ospiti è stato a base di pesce. E sull’incontro a Villa Grande sono trapelate notizie più dettagliate e di qualche interesse, a parte qualche spina di traverso.
Il summit intanto ha prodotto che dal prossimo lunedì, il primo giorno lavorativo utile, il centrodestra si doterà di una ‘war room’ (stanza della guerra) in Parlamento. Praticamente, un comitato permanente nel quale ci sarà un rappresentante per ogni partito, oltre ai capigruppo. Il suo compito? “Alla luce del sole dovrà vigilare, avvicinare dubbiosi, convincere gli scettici, attrarre i malpancisti dell’ex fronte rosso-giallo, pescare nel gruppo Misto. Si fiuterà l’aria, insomma”. Così lo descrive e delimita un’attenta analisi politica.
Gianni Letta, da sempre braccio destra ed unico consigliere ascoltato da Silvio Berlusconi, che quanto più non compare, tanto più lavora, evitando il clamore, come fosse peste: “E’ giusto verificare i numeri prima di andare avanti”. E’ lui che spinge Berlusconi a non accettare ufficialmente la candidatura fino a verifica della fattibilità del risultato. Gli ospiti concludono il pranzo con un a mezza investitura; Berlusconi è “la figura adatta a ricoprire in questo frangente difficile l’Alta Carica con l’autorevolezza e l’esperienza che il Paese merita e che gli italiani si attendono”. Una vera investitura dice qualcuno, ma senza l’accettazione dell’interessato non si fanno passi avanti.
L’operazione Cav, come è stata battezzata da qualche appassionato di film di 007, andrà monitorata giorno dopo giorno e Giovedì prossimo ‘step’, con un altro summit. Se i numeri non dovessero bastare, si passerà al ‘piano B’. Lo dice in conclusione dell’incontro Matteo Salvini.
Per ora nessun altro nome, quasi fosse una bestemmia nel tempio di Villa Grande, neanche quello di Draghi, ma Salvini, in totale rotta con la linea Meloni, afferma che Draghi debba andare avanti a palazzo Chigi.
Ed è sempre il plenipotenziario Gianni Letta a tenere i rapporti con Draghi, incontrando giorni addietro il suo capo di gabinetto, Funiciello.
Dietro le quinte si sussurra l’ipotesi che possa essere proprio Letta il piano B, ma l’ex sottosegretario al momento tesse la tela e tiene buoni rapporti con tutti.
Enrico Letta, che esprime apprezzamento per il lavoro di suo zio Gianni, ritiene che, “procedendo in questo modo, il centrodestra perde tempo. Non avrà il coraggio di andare alla conta“.
“Berlusconi – sostiene un ‘big’ dem – si ritirerà a 24 ore dal voto. Subire una disfatta sarebbe un pessimo segnale anche per le sue aziende. Ha già vinto attirando tutta l’attenzione su di sé”. Lo abbiamo sottolineato in apertura dell’articolo.
Per Conte Berlusconi è “un candidato irricevibile”. Ieri il presidente M5s ha stentato ad ottenere la delega a trattare per il Movimento. Ma “delega non vuol dire carta bianca, dobbiamo essere informati in ogni passaggio”. Solo Conte può avere la pazienza certosina di chiedere a raffica autorizzazioni per quello che rientra già nelle sue prerogative. Ma coi pentastellati o così o guerra aperta. Bravo Conte, uomo dalla pazienza senza fine.
L’ex fronte rosso-giallo è alla ricerca di un candidato condiviso, ma nel Pd cresce il partito ‘pro Draghi’, mentre i pentastellati pensano al Mattarella bis, nonostante l’interessato abbia chiarito di non essere disponibile per nessuna ragione al mondo.
“Se non c’è l’unità non mi candido. Ho letto che dovrei assicurarvi i voti. ma dobbiamo lavorare tutti insieme e trovarli”. Un’impresa tutt’altro che facile.
A parte uno scontro con Brugnaro di Coraggio Italia che non intende rinunciare ai sogni di una legge proporzionale, apparente unità granitica e Salvini; “la nostra grande occasione di eleggere un presidente di centrodestra”, mentre la Meloni, chiede lealtà fino alle prossime elezioni.
Conferma della chiamata degli alleati per Berlusconi al Colle, ma Silvio ancora una volta non risponde.
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