Usa: Trump non smette di far danni

Tre stati inaspriscono o introducono sanzioni penali a chi minaccia i funzionari di uffici elettorali

Gianvito Pugliese

La false dichiarazioni di Donald Trump, di aver perso le elezioni del 2020 per una frode elettorale, hanno innescato una serie di reazioni da parte di suoi sostenitori, che hanno gravemente minacciato i funzionari degli uffici elettorali, arrivando in alcuni casi a impaurire le loro famiglie, compresi i bambini.

Il fenomeno è talmente diffuso e dilagato a macchia d’olio che, dopo una indagine giornalistica, negli Stati Uniti il giornalismo d’inchiesta è diffuso e svolto con la massima serietà, da noi se togli Report e le inchieste della sua ex leader, Milena Gabanelli, il resto è solo avanspettacolo e comiche, ben tre stati Vermont, Maine e Washington hanno deciso o d’introdurre il reato specifico o di inasprire le pene nel caso di minacce rivolte a funzionari degli uffici pubblici elettorali.

In dettaglio, nel Vermont, si stanno valutando progetti di legge per semplificare il perseguimento di coloro che minacciano funzionari elettorali, nel Maine, si propone d’inasprire le sanzioni per tali intimidazioni. Nello Stato di Washington, è stata già introdotto nella legislazione statale il reato di minaccia ai lavoratori elettorali.

L’inchiesta giornalistica ha documentato più di 850 minacce e messaggi ostili a funzionari elettorali statunitensi. Quasi tutte le minacce hanno fatto eco alle affermazioni infondate di Trump di aver perso le elezioni del 2020 a causa di una frode. Più di 100 minacce sarebbero talmente gravi e circostanziate da essere reati di competenza federale.

I procedimenti giudiziari in questi casi sono stati rari. Venerdì, una task force del Dipartimento di giustizia ha annunciato il suo primo atto d’accusa, accusando un uomo del Texas di aver postato minacce online contro tre funzionari in Georgia. Un assistente del procuratore generale ha affermato che il caso è tra le “dozzine” oggetto di indagine da parte della task force, che si è formata poco dopo la pubblicazione da parte della testata del primo di una serie di rapporti sulle minacce legate alle elezioni.

Tra i messaggi intercettati uno rivolto al Segretario di Stato Jim Condos e al suo staff  è così concepito: “La giustizia sta arrivando. Tutti voi sporchi succhiac…i state per scoppiare. Te lo garantisco.»

L’inchiesta ha accertato anche che molte minacce erano state portate all’attenzione di polizia ed uffici dei vari procuratori, ma senza che venissero presi provvedimenti o svolte indagini per accertarne gli autori, eccependo trattarsi di messaggi protetti dal principio di libertà del pensiero. Una interpretazione francamente sconcertante, e che – piaccia o meno – fa venire a galla una delle tante immunità illecite assicurate a Trump ed ai suoi fans da parte dei sostenitori di Trump tra forze dell’ordine e procure. Si tratta di quegli individui che disonorano la divisa o l’incarico giudiziario, come gli assassini dell’afroamericano Floyd, gentaglia che non ha mai fatto nulla per fermare a suo tempo gli assassini del Ku Klux Klan.

Alcune indagini abbandonate dalle polizie e procure di vari Stati, minacce ritenute particolarmente gravi, dopo l’inchiesta giornalistica, sono state avocate a sé dal Fbi.

Nel Vermont, ad esempio le autorità statali hanno rifiutato di portare avanti un ​​caso, affermando che le chiamate anonime equivalevano a un discorso protetto ed erano “essenzialmente non rintracciabili”. Ma, caso strano, i giornalisti della testata hanno potuto contattare e intervistare l’uomo, che ha ammesso di aver minacciato, si è rifiutato di identificarsi ed ha detto che riteneva di non aver fatto nulla di male.

I sostenitori dell’introduzione di pene efficaci a funzionare da deterrenti, partendo dalle minacce ai funzionari elettorali ed estendendole poi ai comuni cittadini, troppo spesso minacciati impunemente in forza di una falsa interpretazione del “diritto alla libertà di parola, di scrivere e di pubblicare i propri sentimenti“, sono certi che nel momento delle prime condanne si solleverà l’opposizione di quegli stessi americani che, nonostante le stragi ricorrenti, continuano a sostenere a spada tratta il libero commercio di armi da guerra.

Una considerazione vorremmo aggiungere. E’ vero che negli Stati Uniti ed in Inghilterra il giornalismo d’inchiesta è una cosa fatta bene, ma è anche tenuta dal Paese in seria considerazione. Alcuni articoli su quelle minacce, supportati da prove schiaccianti, hanno indotto tre stati a modificare la propria legislazione. Non è certo poca cosa. Da noi una decreto legge sulla tutela della presunzione d’innocenza, in esecuzione di una disposizione dell’Ue, ha permesso al Guardasigilli di cucire la bocca a magistrati e forze dell’ordine ed escludere la stampa (televisioni e tutti i media compresi) da informazioni essenziali, a cominciare dai nomi degli autori dei delitti. Senza dire che la mancata pubblicazione in assenza di notizie finisce per colpire in ultima analisi i cittadini. Un piccolo esempio: se il nome e l’identità del pedofilo, il magistrato non può dirmela, io non posso pubblicarla, se non dopo almeno una dozzina danni, quando la Cassazione emetterà la condanna definitiva ed inappellabile. Chi è il responsabile di non aver fatto messo in guardia i genitori, segnalando loro che era opportuno che quell’uomo o donna non si avvicinasse ai bimbi. A prescindere dal diritto, costituzionalmente protetto, della libertà d’informazione.

Non mi sarei mai aspettato che nella patria del Corpus iuris iustinianeum (529-534 d.c.) avremmo dovuto prendere lezioni da The States sulle modifiche legislative più recenti. Capita, se ne facciamo una ragione.

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