Trovato il cadavere di Giulia Tramontano, il fidanzato ha confessato

Il barman: «Sì, l’ho uccisa io». Il corpo di Giulia, al settimo mese di gravidanza, trovato in una intercapedine dietro un edificio non lontano dall’abitazione di Impagnatiello

Giovanna Sellaroli

Scrivere del delitto di Giulia Tramontano, la giovane futura mamma, uccisa dal fidanzato è come intingere la penna nel fango.

Scrivere di cronaca nera è sempre terribilmente difficile e insidioso; inevitabilmente si finisce per venire travolti dalla morbosità di lettori sempre più assetati di notizie di sangue dai risvolti agghiaccianti, lettori e ascoltatori educati, anzi più propriamente diseducati dai talk televisivi in cui la narrazione abbonda di particolari truculenti e giudizi deliranti in cui si invoca, come in questo caso, la pena di morte, la lapidazione, la castrazione chimica e tanto altro.

Dimenticando invece che esiste una società, esistono i pregiudizi culturali, esiste l’educazione al rispetto, esiste una legge che dovrebbe garantire un giusto processo e la certezza di pena, esiste l’educazione, personale e civica, esistono le competenze sociali e civiche.

Certo per dovere di cronaca dobbiamo raccontare i fatti che in questo caso sono drammatici e, ahimè ripercorrono i cliché dei tanti femminicidi di cui le statistiche danno tristemente conto.

Giulia Tramontano

Giulia, 29 anni, al settimo mese di gravidanza è stata uccisa a coltellate dal compagno Alessandro Impagnatiello che ha tentano anche di infierire sul corpo. Il giovane reo confesso ha dato indicazioni ai Carabinieri su dove aveva nascosto il corpo senza vita di Giulia Tramontano, in un’intercapedine di un box di una palazzina in via Monte Rosa, a circa mezzo chilometro dalla sua abitazione a Senago, nel Milanese.

Impagnatiello è in carcere a San Vittore, accusato di omicidio aggravato, occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza senza consenso. La Procura ha contestato nel provvedimento di fermo anche l’aggravante della premeditazione.

Aveva in animo di ucciderla” hanno affermato gli inquirenti; secondo la Pm Alessia Menegazzo l’uomo “ha cercato online come uccidere e come disfarsi del corpo della sua compagna. Si tratta dunque di un omicidio premeditato. Quando ha incontrato in casa Tramontano aveva già deciso come ucciderla“. E aggiunge che dalle indagini è inoltre risultato che l’assassino “ha inviato messaggi all’amica della compagna dal telefono della Tramontano quando l’aveva già uccisa“.

Secondo quanto emerso, Giulia aveva scoperto la relazione del fidanzato con un’altra donna e, secondo gli inquirenti, questo sarebbe stato il movente dell’omicidio. Giulia avrebbe incontrato l’amante di Alessandro in un bar, per un chiarimento. Poi il rientro a casa dove Alessandro l’aspettava già intenzionato a ucciderla.

Non solo, aveva anche già studiato come disfarsi del corpo, la conferma è arrivata agli inquirenti dalle ricerche che il giovane trentenne aveva effettuato in internet.

Il procuratore aggiunto di Milano Letizia Mannella in conferenza stampa, ha parlato di “un’altra tragica vicenda di femminicidio“, e ha ribadito: “a noi donne insegna che non dobbiamo mai andare a un ultimo incontro di spiegazione“.

Dal 1 gennaio al 28 maggio del 2023, secondo il report a cura del Dipartimento della Pubblica sicurezza – Direzione centrale della Polizia criminale – Servizio analisi criminale, pubblicato sul sito del Ministero dell’Interno, in Italia sono stati registrati complessivamente 129 omicidi. Le vittime donne sono 45, di cui 37 sono state uccise in ambito familiare o affettivo. Quelle ammazzate per mano del partner o dell’ex partner sono invece 22.

Analizzando gli omicidi del periodo sopra indicato rispetto a quello analogo dello scorso anno, si nota un aumento del numero degli eventi che da 123 passano a 129 (+5%), mentre il numero delle vittime di genere femminile mostra un decremento degli episodi, che da 50 passano a 45 (-10%).

Un decremento nei numeri che, diciamolo, conforta, ma che non sposta il focus sui femminicidi, delitti che finiscono nella cronaca, spesso più becera, e relegati in quella locale quando si tratta di donne non più giovani. Solo per fare un esempio, qualche settimana fa sono state uccise tre donne, una di 70 anni, brutalmente ammazzata, di cui ben poco si è denunciato.

Ma torniamo alla cronaca odierna. Quello che sgomenta non è soltanto l’episodio in sé, ma il contesto nel quale è maturato. Siamo nella provincia della capitale economica del Paese, non in una località depressa, in un contesto sociale non di degrado, e i protagonisti sono due giovani con un buon lavoro, una casa, insomma, una vita più che dignitosa.

E soprattutto siamo nel civile Occidente, seppur vituperato, patria di diritti e conquiste delle donne, in cui da tempo si è superato il concetto del maschio “cacciatore”, del maschio al quale sono concesse, per genere, tout court, scappatelle, vite sentimentali parallele.

Eppure siamo di fronte a un altro femminicidio e tutto quanto ruota intorno a questa brutale uccisione, va indagato e raccontato concentrando l’attenzione sull’assassino, e non certo sulla vittima, giovane, bella e incinta; ma non basta, esso va indagato anche su quell’abisso di horror vacui, di egoismo e di deserto di sentimenti che questa tragedia porta con sé.

Il figlio non è mio, lei se n’è andata, ora sono un uomo libero” è il messaggio inviato da Impagnatiello all’altra donna, poco dopo aver ucciso la fidanzata Giulia. Un ménage à trois liquidato con poche parole, in apparenza banali, ma estremamente significative che tradotte significano vigliaccheria, menzogna, immoralità e amoralità.

Alessandro Impagnatiello

Nessun raptus, ma lucida strategia manipolatoria di chi non sa proprio tenere a bada le pulsioni, un bambino viziato con le sembianze di un uomo adulto, con un Ego spropositato, avvezzo a prendersi tutto ciò che desidera. E quando il triangolo è imploso, quando il giocattolo si è rotto, allora il bambino ha dato in escandescenza.

Sentirsi “libero” dopo aver ammazzato madre e figlio, il proprio figlio, è un concetto di libertà sul quale tutti dovremmo interrogarci.

Nessun femminicidio viene dal nulla. La mia esperienza di magistrata mi porta a dire che ci sono sempre dei segnali che regolarmente vengono ignorati.

Se una figlia, un’amica, una sorella ti racconta che il compagno ha alzato la voce o ti tratta in un certo modo, ti scredita o è troppo geloso o possessivo, sono indizi di un comportamento che può facilmente sfociare in gesti di violenza. Non parliamo quindi di sfuriate o di raptus, non esistono. Esistono invece uomini che pianificano lucidamente” lo afferma la giudice Paola Di Nicola Travaglini, consigliera in Corte di Cassazione penale e nel tavolo tecnico del Ministero per le Pari Opportunità.

Ecco, nessun femminicidio viene dal nulla.

La violenza è in primis un problema di matrice culturale, cultura del rispetto ed educazione sono fondamentali; i pregiudizi culturali poi, gli schemi manipolatori hanno prodotto una mentalità piena di stereotipi.

Continuare a trattare il tema della violenza sulle donne come un dibattito sul singolo caso giudiziario è miope e soprattutto non basta. Considerata dai più come un aspetto inevitabile della realtà, la violenza sulle donne è invece un problema sociale, di fatto una sorta di dinamica del potere.

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