Sessantadue morti in Birmania nelle proteste.

Non si placa l’ondata di protesta contro il golpe dei militari, e non si placa la violenza della polizia.

GP

Non muta il copione in Birmania. Il colpo di stato che il 1° febbraio ha deposto in Myanmar la premier, premio Nobel, Aung San Suu Kyi, continua a mobilitare la stragrande maggioranza dei birmani che protestano contro il regime dittatoriale instaurato dai militari col pretesto di inesistenti brogli elettorali. Non muta neanche la tragica mattanza che la Polizia birmana sta mettendo in atto nei confronti dei pacifici manifestanti, contro i quali spara ad altezza d’uomo. Cambia solo il triste bilancio delle vittime: così domenica se ne sono registrati 59 e lunedì altri 3. In due giorni altri 62 morti.

Nel frattempo è stato rinviato al 24 marzo  l’udienza in tribunale per Aung San Suu Kyi che dovrà rispondere di quattro capi d’accusa: importazione illegale di walkie-talkie, mancato rispetto delle restrizioni legate al coronavirus, violazione di una legge sulle telecomunicazioni e incitazioni ai disordini.

La tensione cresce e la guerra civile ormai si avvicina a gran passi anche per la carenza di tempestive iniziative internazionali. La Cina ha esercitato il veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu per impedire la condanna del colpo di stato militare in in Birmania, iniziativa che i manifestanti leggono come un sostanzioso sostegno del colosso asiatico ai militari golpisti. Nel frattempo sono state date alle fiamme 32 fabbriche tessili di proprietà di uomini d’affari cinesi, con danni quantificati intorno ai 37 milioni di dollari (31 milioni di euro).  

Tra militari e manifestanti accuse reciproche in merito agli incendi da ciascuno attribuiti all’altro. Per quanto i birmani per cultura e religione siano pacifici non si può certo prevedere fino a quando potranno vedere i propri familiari assassinati dalla polizia-killer e dai militari-mandanti senza che scoppi la rivolta armata. Ormai il numero dei morti autorizza a parlare di strage e gli autori, prima o poi, dovranno risponderne al popolo birmano.

Per la Cina l’ennesima brutta pagina di una politica estera impostata sulla sopraffazione (Hong Kong e Taiwan) e la complicità con governi illegittimi e violenti. Purtroppo le dittature, anche le più illuminate, restano sempre tali e non amano che circondarsi di governi canaglia. Diventerà pure a breve la maggior potenza economica mondiale, ma rimane improponibile sotto i profili dei diritti umani e civili.

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