L’inchiesta di Bergamo scopre un vaso di Pandora

La deposizione di Bonometti, all’epoca Presidente Confindustria Lombarda smentisce le affermazioni di Attilio Fontana (in copertina con l’assessore Gallera),

Gianvito Pugliese

Sembrano non finire mai i documenti importanti questi la relativi all’inchiesta della Procura di Bergamo sulla mancata zona rossa in Valseriana e sulla non attuazione del piano pandemico nelle prime settimane dell’epidemia da Covid-19.

Tra questi la diversa versione dei fatti raccontata agli inquirenti da Attilio Fontana  presidente della Regione Lombardia e, rilasciata a brevissima distanza temporale, Marco Bonometti all’epoca presidente di Confindustria Lombardia .

Fontana aveva dichiarato: “Mi sono stupito che dopo l’arrivo dei soldati e Carabinieri non si è più fatta la zona rossa il blocco di Codogno aveva funzionato, noi credevamo nella realizzazione della zona rossa“. A supporto dell’affermazione aveva ricordato che dal 21-22 febbraio del 2020 era dell’idea che si dovesse chiudere “l’intera regione” Quindi aveva affermato di “non avere ricevuto pressioni” sulla zona rossa, e di non avere “mai parlato con nessun rappresentante di Confindustria”.

Bonometti ai magistrati afferma il contrario: “Sì glielo ho chiesto… di farsi parte attiva a non far istituire zone rosse ma solo di limitare le chiusure alle attività non essenziali. Regione Lombardia era d’accordo con noi. Se ne è parlato dopo il caso di Codogno“. Ha, poi, aggiunto precisando: “La mia posizione è stata quella che la zona rossa nella bergamasca non risolveva il problema, perché a mio parere andava chiusa l’intera Lombardia. Ero contrario all’istituzione della zona rossa nella bergamasca. Ho detto di salvaguardare le filiere per le aziende essenziali ho sempre cercato di salvaguardare le aziende lombarde“.

Una conferma della parole di Bonometti, i magistrati sembra le abbiano riscontrate in quelle di Pierino Persico, patron di un importante gruppo industriale che dopo aver affermato di “non avere esercitato alcuna pressione per non fare istituire la zona rossa -aggiunge di- “avere semplicemente espresso le mie preoccupazioni: se non consegnavo i materiali sarei stato soggetto a danni milionari” con conseguenze “negative sui livelli occupazionali”. Persico, infatti, scrive al deputato Pd Maurizio Martina: ” “Se fermiamo tutto siamo rovinati, almeno le aziende che sono fuori dal centro teniamole vive”.

Dal canto suo la Lamorgese riferì ai magistrati che: “Quando si parlò della situazione di Alzano e Nembro… con il ministro Speranza e mi pare anche con il presidente Conte si cominciò a pensare all’ipotesi di istituire una zona rossa”. “Il contingente” della polizia arrivò il 6 marzo in Val Seriana, per attuare la zona rossa ma Conte “ha emanato il noto Dpcm”, che non prevedeva la zona rossa a Alzano e Nembro, ma “disposizioni contenitive dell’intera regione” e “a quel punto abbiamo ritirato gli uomini: quelli che provenivano dalla Lombardia sono rimasti in Lombardia, mentre gli altri sono rientrati“. 

Ma la Lamorgese ha anche aggiunto: “Un presidente di Regione, ove avesse voluto ‘cinturare’ un Comune, avrebbe potuto individuare l’obiettivo del territorio da contenere in base ai dati epidemoilogici, ma le questioni tecniche concernenti il controllo di quelle aree” sarebbero state “di competenza delle Forze di Polizia“.

Altri particolari sono emersi dalle deposizioni di Giovanni Rezza, direttore della prevenzione del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero della Salute Giulio Gallera, ex assessore al Welfare lombardo, Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute, e  Camillo Bertocchi, Sindaco di Alzano.

Oggi riflettori giudiziari accesi sulla gestione del Covid-19. Nella medesima giornata, infatti, “udienza con incidente probatorio per decidere o meno su una perizia propedeutica a un eventuale processo sulle morti avvenute durante la prima ondata Covid alla rsa milanese del Pio Albergo Trivulzio” riferisce Rai news 24.

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