La politica estera di Joe Biden

Biden a Putin e Xi ‘Non sono Trump, reagiremo ad azioni ostili di Mosca e Pechino’.

GP

Joe Biden tra i primi ordini esecutivi incluse la riadesione all’Oms, agli accordi di Parigi sul clima e l’abolizione del bando contro i Paesi a maggioranza musulmana. Fu solo il primo assaggio ma che già dava la misura di quella che sarebbe stata la politica estera di Joe Biden.

E accompagnato da Kamala Harris la prima visita ad un ministero l’ha riservata al dipartimento di Stato ed ai diplomatici americani, che Trump aveva sbeffeggiato ed umiliato, con la sua innata signorilità, definendo il ministero con l’appellativo di “The Deep State Department”.

E da quella sede, la casa della diplomazia, lancia il suo monito a Putin e Xi: “Non sono Trump, reagiremo ad azioni ostili di Mosca e Pechino“. Ma non si ferma lì, scarica Riad sulla guerra in Yemen e tende la mano ai vecchi alleati, partendo dalla Germania, dove blocca il parziale ritiro delle truppe deciso dal suo predecessore. E’ la misura della fine dell’America first di Trump e l’adesione dell’America di Biden al multilateralismo.

La diplomazia e l’America sono tornate. E’ arrivato il momento di fronteggiare gli autoritarismi di Cina e Russia“, e nel mirino finisce Vladimir Putin: “sono finiti i tempi in cui subivamo le azioni ostili di Mosca, a differenza del mio predecessore ora non esiteremo ad alzare il prezzo”. Ha usato i soli toni che Putin comprende, chiedendo la liberazione immediata e senza condizioni di Alexey Navalny. Rinnova per altri cinque anni il New Start,trattato con la Russia per il controllo degli arsenali nucleari, ma tira aria di sanzioni: non solo per l’oppositore russo oggetto di oscene persecuzioni, ma per le interferenze nelle elezioni, i cyber attacchi e le taglie sull’uccisione di soldati americani in Afghanistan. Il discorso è chiaro: ogni attacco avrà una risposta in termini di sanzioni.

E la svolta più decisa e clamoroso è lo stop al sostegno di Riad e della guerra saudita in Yemen. Questa guerra deve finire”, ha detto Biden, e annuncia la nomina di un nuovo inviato Usa per lo Yemen, Timothy Lenderking. E mentre conferma lo stop al trasferimento di parte dei militari Usa in Germania, disposto da Trump per colpire la Merkel, annuncia che col Pentagono sarà affrontata la questione della nuova dislocazione di truppe americane nel mondo. Annunzia sanzioni per la Birmania a seguito del colpo di stato, e l’aumento del numero di rifugiati ammessi in Usa sino a 125 mila. Erano 15 mila quelli autorizzati da Trump. 

Biden fa chiaramente capire che la sua politica estera deve tornare nelle mani preparate del corpo diplomatico e non come negli ultimi quattro anni della Cia o del Pentagono. Ed il lavoro che li aspetta è corposo. Biden affida ai suoi diplomatici il compito di ridare dignità al ruolo internazionale dell’America, che deve ricucire alleanze e ricostruire la sua reputazione “per guidare il mondo col la forza del suo esempio“.

Il principale avversario strategico resta però la Cina. Biden ha condannato il “genocidio” degli uiguri. Ora Biden punta alla forza dell’Usa unita a quella degli alleati europei per contenere le mire espansionistiche e gli abusi del Dragone.

Joe ha modificato anche la politica americana sull’Afghanistan e sulla Corea del nord. Nel primo caso rinnega l’accordo di Trump con i talebani per il ritiro delle truppe e con la Corea del nord intende usare ‘bastone e carota’ per ottenere la denuclearizzazione, sia sanzioni che incentivi.

Quanto al rapporto con Teheran punta a rientrare nel trattato esistente e ripudiato da Trump ma solo dopo che l’Iran tornerà a rispettarlo.

L’unica cosa che salva di quanto fatto da Trump in politica estera sono gli ‘accordi di Abramo’, con cercavano di normalizzare i rapporti tra Israele e i Paesi Arabi. Ma anche quì un cambio di rotta significativo: la soluzione del conflitto con i Palestinesi passa dai due stati sovrani.

 Joe Biden “il pigro”, “l’addormentato”, secondo gli appellativi affibbiatigli da Trump in campagna elettorale, di dimostra fin troppo lavoratore e sveglio a giudicare da quello che in pochissimo sta realizzando in politica estera. Più che un cambio di rotta parlare d’inversione sarebbe più corretto.

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