Morton Feldman, il flauto e l’alea

L’appuntamento del giovedì con la grande musica, rivissuta dai nostri lettori attraverso Roberto Fabbriciani, con “pezzi” sempre curati, assume sempre più dimensioni inaspettate e stupefacenti.

Roberto Fabbriciani

A cavallo tra gli anni 50 e 60 l’iperstrutturalismo che aveva caratterizzato tutta una prima fase di sperimentazione – propria delle avanguardie del secondo dopoguerra – si è inevitabilmente capovolto nel suo opposto, cioè nella struttura probabilistica e nell’assenza di necessità dell’opera aperta e dell’alea, verificando così una convergenza dell’esperienza europea con quel filone di estrazione americana, che potremmo sintetizzare nella linea Ives-Cage e poi Morton Feldman insieme con Earle Brown e Christian Wolff. Questa linea perviene alla sospensione di ogni precostituita necessità logica del discorso musicale partendo da premesse irrazionalistiche.

Morton Feldman

Si apre una frattura tra lo schema teorico e la percezione sonora di una composizione e questa frattura, attraverso lo spazio sempre maggiore concesso all’intervento estemporaneo dell’interprete, sfocia nella pratica del fortuito e del provvisorio che ha finito per coinvolgere non solo il momento esecutivo ma anche l’atto compositivo. In questo senso per esempio dobbiamo tener conto di modi compositivi basati su sofisticati procedimenti di sorteggio e di concezione della partitura come opera grafica, ecc.

I termini alea ed aleatorio sono mutuati dal calcolo delle probabilità, e diventano di uso comune nel gergo dell’avanguardia per indicare l’impiego della casualità come elemento integrante della struttura musicale. Ne risulta un tipo di composizione in cui soltanto il decorso generale sia determinato mentre le singole componenti dipendono dal caso. In altri termini l’alea è un fenomeno in cui il compositore ricorre alla collaborazione creativa dell’interprete, cui affida alcune scelte di carattere propriamente compositivo. Morton Feldman (New York, 1926 – New York, 1987) ha studiato pianoforte con Vera Maurina Press e composizione con WallingfordRiegger (1941) e poi con Stefan Wolpe (1944). Particolarmente importante per la sua formazione è l’incontro con John Cage (1950) che segna l’inizio di un sodalizio che coinvolgerà anche Christian Wolff e David Tudor. Feldman insieme a John Cage già dal 1950/51 aveva realizzato applicazioni pratiche di questo concetto di alea con opere quali Projecton 1 per violoncello di Feldman e Music of Changes di Cage basato su un sistema di sorteggio tratto dal libro di divinazione cinese I Ching.

Per Feldman e Cage l’essenza della pratica aleatoria risiede nella sospensione, totale o parziale, dell’intenzionalità “performante” dell’autore, così da affidare a una logica misteriosa e incontrollata di fattori accidentali gli esiti combinatori della materia sonora: si tratta di un’ apertura della forma musicale all’universo dell’imprevedibile esistenziale nel segno di una concessione vitalistica della musica che suona nuova per un certo diciamo pensiero “dominante” o “imperante” o pensiero comune.

Questa concezione dell’alea è tipicamente americana. Ad essa si affianca una concezione europea dell’alea, ben spiegata da Pierre Boulez durante una conferenza ai corsi di Darmstadt del 1957, che appare non già come rifiuto della struttura in sé ma come rifiuto della struttura intesa come entità immanente. Ossia come forma oggettiva di possibilità previste, sostituendo una forma chiusa di struttura con una aperta concepita come “virtualità”, cioè labirinto di circuiti possibili, schema globale delle potenzialità contenute in un materiale di partenza oltre i limiti della previsione razionale.

La concezione americana considera l’alea non come un mezzo ma come il fine della composizione, non come una tecnica ma come una poetica anzi un modello di comportamento che investe l’intero modus operandi del compositore.  L’opera non si identifica più, come per i post-weberniani, con la scelta preliminare dei materiali che la compongono, bensì con il suo progetto, con la pura intenzionalità dell’autore e, in altri termini, con l’insieme delle norme operative predisposte “a vuoto” e destinate a riempirsi di materiali di qualsiasi provenienza, collage di eventi aperto all’imprevisto esistenziale.

Su questa linea si ritroveranno, pur nell’autonomia delle rispettive posizioni, autori come Mauricio Kagel, Franco Donatoni, Dieter Schnebel ed anche Karlheinz Stockhausendi Momentee di Aus den sieben Tagened altri ancora.

Karlheinz Stockhausen Aus den sieben Tagen (Universal Edition – UE14790F)

Per Feldman, come per Cage ma anche per l’ultimo Nono, si potrebbe avanzare la nozione / definizione di “informale” pensando ad una prima complessiva incognita, indecisa indifferente oppure soltanto possibile, infiniti sonori possibili e virtuali.

Questa organizzazione compositiva genera tensione ed interesse.

Morton Feldman Why Patterns? (Universal Edition – UE 16263)

Cito Why Patterns? per flauto, pianoforte e percussioni di Feldman (1978) come esempio eclatante: la composizione è basata sullo sviluppo di un medesimo materiale lungo 3 linee indipendenti, il cui coordinamento non è dato a priori in una partitura ma è funzione della performance, in particolare dell’aggiustamento reciproco tra durate differenti, che sono conseguenza necessaria della differenziazione idiomatica del materiale in rapporto agli strumenti (pianoforte, flauto e glockenspiel). Del resto in tutta la musica di Feldman il tempo si articola sulla base della durata naturale del singolo evento sonoro. A causa delle sottili differenziazioni metriche, che interessano ugualmente suoni e silenzi, la misura di battuta, senza essere affatto ridotta a mera convenzione, non è più indicativa di una scansione temporale regolare e anche le corrispondenze verticali tendono a sfuggire.

Morton Feldman

Questo modo di variare il materiale ha per Feldman lo scopo di istituire nel tempo un modo di relazione tra i suoni alternativo a ciò che egli ha definito come apparenza dei rapporti di causa effetto.

Punto di partenza è dunque la “vita interiore” del suono, che per Feldman si realizza in un dato oggettivo della pronuncia strumentale, da cui nasce il tentativo di trarre un’insieme organico ed evidente di relazioni.

Un paragone pittorico è la geometria di Piet Mondrian che non si può ridurre in formule e così questa musica mira alla condizione di un ordine tanto reale quanto in sé inspiegabile. E’ l’antiaccademia, è la totale autonomia dal pensiero comune e dominante. Forma di avanguardia che libera la mente da condizionamenti culturali e sociali e la proietta nell’universo futuribile e possibile.

Mark Rothko Untitled (1969, Collection of Kate Rothko Prizel)

…“Non sorprende che Morton Feldman amasse dipingere. Le suggestioni visive, molto vicine alle opere di Rothko, appaiono da subito evidenti. Come nei quadri del pittore russo la scomparsa di ogni traccia figurativa sviluppa una lenta trasfigurazione nei passaggi di tono, così nelle poetica musicale di Feldman gli spostamenti, gli slittamenti impercettibili, le sospensioni di suoni brevi, limpidi, appena sussurrati, disegnano una seducente tensione. (…..) Sottrazione, ripetizioni cicliche, lentezza, criteri fin troppo apparenti, quindi devianti. Feldman, è vero, prosciuga, ripete, sviluppa lentezza come filosofia contemplativa, ma se proviamo ad andare oltre, ci abbandoniamo al piacere dell’ascolto, si apre davanti a noi uno scenario incantato in continuo movimento”. (Paolo Carradori)

Morton Feldman Flute and Orchestra (Universal Edition – UE 16527)

Flute and Orchestra (1977/78) fu eseguito in prima italiana il 10 settembre 1999 nella Chiesa di Santo Stefano a Venezia: Roberto Fabbriciani flauto, Orchestra del Teatro la Fenice di Venezia diretta da Arturo Tamayo.

Flute and Orchestra (1977/78) linee indipendenti che convivono e sono necessarie fra di loro creando un organismo che ha motivo di esistere.

Altri brani di Morton Feldman “Crippled Symmetry,” per flauto, piano, celesta, glockenspiel e vibrafono della durata di 90 minuti.

Morton FeldmanCrippled Symmetry (Universal Edition – UE 17667)
Crippled Symmetry IXION Ensemble 

For Christian Wolff (1986) per flauto e pianoforte (Universal Edition – UE 18475) Eberhard Blum (flute) Nils Vigeland (piano e celesta)

Morton Feldman – For Christian Wolff

John Cage Two (Edition Peters)

John Cage Two (John Cage A Firenze, CD Materiali Sonori) Roberto Fabbriciani (flauto) Giancarlo Cardini (pianoforte) 

…”Fabbriciani da par suo con Cheap Imitation n. II (1972) e A Room (1943) guida lo strumento sui territori di un linguaggio estremo, suono ora stoppato ora limpido che confonde e travolge. Un gioco di equilibri tra soffi di brezza e grovigli inquietanti. Il musicista respira lo strumento, ne diviene parte, ne sviluppa le potenzialità e oltre. In Two (1987), composizione dedicatagli dallo stesso Cage, lo affianca Cardini. I due mettono in scena un dialogo complesso, incomunicabilità. Il pianoforte scolpisce brevi nuclei sonori, il flauto lancia suoni lunghi. Si incontreranno solo nel finale, sorpresi, come due viaggiatori radicali mai stanchi di esplorare”. (Paolo Carradori)

Luigi Nono Das atmende Klarsein (particolare)
Massimo Cacciari

Luigi Nono Das atmende Klarsein (1980/81) per flauto basso, piccolo coro di otto voci e live electronics. Testi da Rainer Maria Rilke (Elegie duinesi) e da antiche lamellaeorfiche, a cura di Massimo Cacciari. La prima esecuzione assoluta avvenne il 30 maggio 1981 a Firenze, Teatro alla Pergola, XLIV Maggio Musicale Fiorentino.

Luigi Nono Das atmende Klarsein (Ed. Ricordi, 133476)

Luigi Nono Das atmende Klarsein (1980/81) Roberto Fabbriciani (flauto basso) EXPERIMENTALSTUDIO des SWR

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