La zeppola napoletana di San Giuseppe

Storia della zeppola napoletana, il tradizionale dolce per la festa di San Giuseppe e dei Papà.

La cucina di Zi’ Rocc

Alla tradizionale cucina di Zi’ Rocc non potevano mancare le zeppole di San Giuseppe. Questi dolci prendono il loro nome dalla festa del 19 marzo, dedicata appunto a San Giuseppe, periodo in cui, per tradizione, si friggono queste golosità, in onore alla Festa del Papà. Si tratta di delizie di pasta choux, fritte e guarnite con crema pasticcera e amarene.

Perché si chiama zeppola? Secondo alcune teorie il nome zeppola deriva dal latino serpula, che significa serpe, e rimanda alla forma del dolce, fatto con “serpentelli” di pasta arrotolati su loro stessi. Il serpente che si morde la coda. Altri sostengono che il nome rimandi alla “zeppa”, che a Napoli è un pezzo di legno utilizzato dai falegnami per livellare il mobile artigianale.

Pare che la storia delle zeppole di San Giuseppe risalga all’antica Roma. Il 17 marzo si celebravano le Liberalia, ovvero feste e libagioni in onore delle divinità del vino e del grano. Per omaggiare le divinità Bacco e Sileno, si friggevano nello strutto bollente semplici frittelle di frumento.

Poi, però, con l’avvento dell’Imperatore Teodosio II, tutto cambiò: lui proibì qualsiasi culto pagano, Liberalia comprese. Ormai, però, la tradizione era talmente radicata che le zeppole continuarono ad esistere: semplicemente, vennero assimilate dal cattolicesimo, che fissò due giorni più tardi la festa di San Giuseppe.

Tra monache e gastronomi napoletani il dolce comincia a prendere la forma che conosciamo oggi intorno al 1700: pare che fossero le monache dello Splendore e della Croce di Lucca o quelle di San Basilio del Monastero di San Gregorio Armeno a prepararle come dolce conventuale.

Il discorso è lungo. La zeppola nasce a Napoli con una reminiscenza latina e, ormai, ha conquistato l’Italia. La prima zeppola fu molto probabilmente la “pasta crisciuta”, quell’impasto di farina, acqua e lievito che, messo a friggere nell’olio bollente, si gonfia.

La fantasia partenopea in cucina mescola sempre sacro e profano, dando una giustificazione religiosa ai peccati di gola: nelle cucine partenopee si è cominciato a dare alle frittelle la forma di una serpe a S (dal latino saerpula), dedicandole a quel san Paolo, protettore delle serpi, che diventa zi’ Paolo, un mitico friggitore napoletano, presunto inventore della zeppola.

In seguito, la forma diventa ben presto rotonda: la saeptula, dal latino saepio, cingere. Così arriviamo alle ciambelline casalinghe, rotonde e coperte di zucchero, delizia di grandi e bambini.

La prima zeppola di San Giuseppe che sia stata messa su carta risale comunque al 1837, codificate nel “Trattato di Cucina Teorico-Pratico”, ad opera del celebre gastronomo napoletano Ippolito Cavalcanti, figlio di Guido Cavalcanti.

Il Trattato di Cavalcanti con la prima ricetta della zeppola scritta

Ippolito Cavalcanti era il IV Duca di Buonvicino e IV Duca di Montemurro dal 1799, Patrizio di Cosenza, Governatore di Tropea nel 1783, Governatore di cappa e spada di Napoli nel 1785. La sua seconda moglie fu Anna Capparelli. Nel 1810 sposa Angela Como dei duchi di Casalnuovo e Baroni di Santo Stefano Molise e fece parte degli Eletti di Napoli, una ristretta cerchia di cittadini che collaboravano al governo della città.

L’uomo, in uno stile semplice e immediato, scrisse la ricetta – che contava pochi ingredienti, ovvero farina, acqua, un po’ di liquore d’anice, marsala, sale, zucchero e olio per friggere – in lingua napoletana.

Si dice che venne corretta da un oste: “Paolo Pintauro” agli inizi dell’Ottocento, Pintauro fu anche il manipolatore della sfogliatella ( quella delle monache del convento di Santa Rosa ), decise di rivisitarne la ricetta, trasformando la sua osteria in via Toledo in un laboratorio dolciario e divenendo, egli stesso, pasticciere. Ma questa è un’altra storia…

Fu allora che l’impasto di uova, strutto ed aromi vari fu sottoposto ad una doppia frittura prima in olio profondo e poi nello strutto fuso e bollente, con successiva aggiunta di crema pasticciera e amarene di guarnizione.

Un tempo a S. Giuseppe, patrono dei falegnami, si festeggiava la loro festa e venivano messi in vendita tutti i tipi di giocattoli di legno. Tutti i bambini ne ricevevano in dono dai genitori qualcuno. Oggi invece, dal 1968, da quando cioè il giorno di S. Giuseppe è stato decretato festa del Papà, il 19 marzo sono i figli a fare regali ai padri. Sarebbe bello ripristinare la tradizione in modo che avvenga un vero e proprio scambio di regali…

Venditori di zeppole a Napoli

Le zeppole di San Giuseppe fanno certamente parte della tradizione napoletana e di San Giuseppe, ma vengono preparate anche in diverse altre zone d’Italia. Come nel Salento, dove, per una versione più light, vengono fritte o cotte al forno e farcite con crema pasticcera o al cioccolato.

Zeppola salentina

In Sicilia hanno sapori più agrumati: nell’impasto presentano la farina di riso e una copertura al miele d’arancio. In Calabria, invece, si prepara una zeppola la cui farcitura non è crema pasticcera ma un mix di ricotta, zucchero, cannella e scorza di limone.

Zeppola siciliana

A conclusione della storia credo che anche a voi lettori sia venuto un grosso desiderio di zeppola, che sia la festa del papà o meno, cosa c’è di meglio di sedersi al tavolino della pasticceria, in una bella giornata e gustarsi una bella zeppola con gli amici, per i più bravi in cucina ecco la ricetta della vera zeppola napoletana da gustare assieme a chi volete più bene, ricordiamoci dei nostri papà soprattutto.

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