Joe O’Donnell: Masanori Muraoka ed il ragazzo di Nagasaki con il bambino morto sulle spalle

L’impiego della bomba atomica ha segnato un punto di non ritorno, facendo di Hiroshima il simbolo del rischio di autodistruzione della specie umana. Questo ragazzo ne è la testimonianza

Rocco Michele Renna

…In Giappone, durante la guerra, questo ragazzo portava il fratello sulla schiena per seppellirlo. Un soldato lo notò e gli chiese di gettare questo bambino morto perché si sarebbe stancato troppo e non avrebbe potuto procedere. Lui rispose: “Non è pesante, è mio fratello!”. Il soldato capì e scoppiò in lacrime. Da allora questa immagine, di cui non conosciamo l’identità del soggetto, è diventata un simbolo di unità in Giappone…

Il 9 agosto 1945, Masanori Muraoka era a casa, a circa 1,6 chilometri dall’epicentro della bomba, aveva 11 anni quando la bomba fu lanciata su Nagasaki. Subì pesanti ustioni a entrambe le gambe e al braccio sinistro.

Per sfuggire agli incendi provocati dall’esplosione, lui e sua madre trascorsero alcuni giorni in una boscaglia di bambù sulle montagne. Sopravvissuto al bombardamento atomico di Nagasaki, per mano degli americani, ha scritto un quaderno che riporta in dettaglio tutti gli sforzi compiuti per riuscire a trovare l’identità del bambino e il luogo in cui venne fotografato poco dopo l’esplosione.

Ricorda di aver incontrato di nuovo il ragazzo dopo quegli eventi, sulla montagna dietro casa sua, il ragazzo portava un bambino di circa 1 anno sulla schiena e disse che sua madre non era lì con lui. Quando Muraoka gli disse che forse lo stava cercando il ragazzo distolse gli occhi e continuò a scendere dalla montagna.

Sebbene l’autore del quaderno non sia stato in grado di confermare le informazioni sul ragazzo, ad oggi si crede che la foto, nota come “Il ragazzo in piedi accanto al crematorio”, sia stata scattata a Nagasaki dal fotografo americano Marine Joe O’Donnell, morto nel 2007 all’età di 85 anni. L’immagine ci mostra il ragazzo in piedi sull’attenti con il corpo di un bambino (alcuni pensano sia suo fratello n.d.r.) legato alla schiena, apparentemente in attesa della cremazione.

La conclusione del quaderno recita: “Chiunque fosse il ragazzo in piedi davanti al crematorio, ci continua a dire quanto sia preziosa la pace e i disastri provocati dalla guerra”.

“Ho visto un ragazzo di circa dieci anni a piedi. Portava un bambino sulla schiena. In quei giorni in Giappone, spesso abbiamo visto i bambini che giocavano con i loro piccoli fratelli o sorelle sulle loro spalle, ma questo ragazzo era chiaramente diverso. Si vedeva chiaramente che era venuto in questo posto per una ragione seria.

Non indossava scarpe. Il viso era contratto. La piccola testa del bambino (sulle spalle) era piegata come se fosse addormentato. Il ragazzo stette lì per cinque o dieci minuti. Poi gli uomini in maschera bianca gli si avvicinarono e cominciarono tranquillamente a togliere la corda che legava il bambino. Allora ho visto che il bambino era già morto.

Gli uomini presero il corpo per le mani e i piedi e lo adagiarono sul fuoco. Il ragazzo era fermo, immobile, fissava le fiamme. Stava mordendo il labbro inferiore così forte che brillava di sangue. La fiamma bruciava bassa come il sole che scendeva. Il ragazzo si voltò e se ne andò in silenzio”.

Con queste parole Joe O’Donnell, fotoreporter americano inviato dall’esercito statunitense a documentare le conseguenze che le due bombe atomiche avevano avuto sulla popolazione e sulle strutture nipponiche, raccontò una delle immagini simbolo della tragedia che colpì il Giappone il 6 ed il 9 agosto 1945.

Per sette mesi, a partire da poco dopo la fine delle ostilità, Joe viaggiò documentando macerie, morti, cremazioni, orfani, feriti, menomati. Alla fine della sua esperienza, nella quale raccolse centinaia di immagini durissime, si convinse che usare l’atomica era stata una scelta sbagliata.

Solo una ventina di anni fa O’Donnell decise di rendere pubblici molti degli scatti che aveva conservato per tutta la vita. Più volte prima di morire si espresse contro le bruttezze della guerra.

Difficile tuttora quantificare i morti, i feriti e le conseguenze sul lungo termine dello scoppio dei due ordigni. Le cifre dei decessi variano da un minimo di 150.000 persone ad un massimo di 250.000. Per i feriti si parla di almeno 100.000 persone. Ancora oggi molti pagano sul proprio corpo e su quello dei propri figli o nipoti le conseguenze di quell’esplosione.

La storia di questo bambino sconvolse profondamente O’Donnell. In un’intervista del 1995 all’emittente giapponese Nhk Tv, nel 50esimo anniversario dell’attacco americano, Joe si scusò con il popolo giapponese, in particolare con i famigliari delle vittime dei bombardamenti: “Voglio esprimervi questa sera il mio dolore e rammarico per il dolore e la sofferenza causata dai crudeli e inutili bombardamenti atomici delle vostre città … Mai più Pearl Harbor! Mai più Hiroshima! Mai più Nagasaki!”.

L’impiego della bomba atomica ha segnato un punto di non ritorno, facendo di Hiroshima il simbolo del rischio di autodistruzione della specie umana. Solo nel 2010, per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale, un ambasciatore degli Stati Uniti ha presenziato all’annuale cerimonia di commemorazione.

Ed oggi non abbiamo ancora dimenticato la lezione… Russia, Iran, Corea del Nord sventolano ancora lo spauracchio dell’atomica, aspettando che dall’altra parte, Dio non voglia, si accetti la sfida, anche per stanchezza o per stupidità, in modo da giustificare un genocidio mondiale che potrebbe non avere sopravvissuti, insomma il segreto per vincere una guerra atomica oggi è non cominciarla affatto!

Per seguirci su Facebook mettete il “mi piace” sulla pagina La Voce News o iscrivetevi al gruppo lavocenews.it. Contatti: direttore@lavocenews.it o info@lavocenews.it. Grazie.