In esclusiva: intervista al professor Antonio Mazzocca

In copertina il professor Antonio Mazzocca, patologo generale presso la Scuola di Medicina dell’Università degli Studi di Bari con il saggio “Teorie del cancro”

Cinzia Montedoro

È essenziale cercare di inquadrare il problema “cancro” e il paradigma che gli ruota attorno sia dal punto di vista scientifico che da quello di filosofia della scienza. Il cancro è una malattia la cui incidenza è in aumento nonostante gli enormi sforzi finanziari e scientifici sostenuti sin dal 1971, quando il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon dichiarò “guerra al cancro”. Il professor Antonio Mazzocca, laurea in Medicina e Chirurgia, Dottorato di Ricerca in Fisiopatologia Clinica ed esperienze di ricerca negli Stati Uniti, presso la Harvard Medical School e la Vanderbilt University ha affrontato queste tematiche nel suo saggio “Teorie del Cancro” edito da Santelli, che sarà presentato il 22 settembre a Bari presso l’Accademia Pugliese delle Scienze.

Il cancro è un problema biologico molto complesso, serve un cambio di paradigma da parte del mondo scientifico per comprenderlo meglio.

«Per il professor Antonio Mazzocca, patologo generale presso la Scuola di Medicina dell’Università degli Studi di Bari è essenziale cercare di inquadrare il problema “cancro” e il paradigma che gli ruota attorno sia dal punto di vista scientifico che da quello di filosofia della scienza. Il cancro è una malattia la cui incidenza è in aumento nonostante gli enormi sforzi finanziari e scientifici sostenuti sin dal 1971, quando il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon dichiarò “guerra al cancro”.

Come nasce il suo “Teorie del cancro”?

«Nasce dall’intenzione di illustrare i modelli teorici e interpretativi del cancro, patologia che certamente non ha eguali nel corso della storia, in termini di sforzi compiuti da ricercatori e scienziati per cercare soluzioni ad un problema così complesso. Una malattia che rappresenta una sfida intellettuale, scientifica e terapeutica gigantesca. Un’altra motivazione è stata quella di fare il punto della situazione sul problema “cancro” in un periodo storico come quello attuale in cui è importante riflettere criticamente e obiettivamente sui risultati raggiunti dalla ricerca biomedica, soprattutto su quelli ottenuti in campo terapeutico».

Quali sono i più recenti sviluppi della ricerca come sostenerla maggiormente?

«Oggi il paradigma dominante che governa la ricerca scientifica sulla malattia è quello che vede il cancro originare da mutazioni del DNA, quindi il cancro visto come una malattia dei geni. Tuttavia, questo paradigma appare essere in crisi poiché spesso inadeguato nel supportare i cardini delle terapie anticancro. Non è infrequente, infatti, che le terapie fondate su questo paradigma non funzionano così come atteso, mettendo in discussione la sua completa fondatezza. Pertanto, dovremmo chiederci se ci sono altre ipotesi o visioni scientifiche che ci aiutano a inquadrare meglio la malattia nella sua complessità. Per esempio, considerare il cancro come malattia metabolica o come una malattia dell’organizzazione dei tessuti o come un fenomeno biologico con radici evoluzionistiche. Il libro, in questo senso, ha lo scopo di delineare questi aspetti e dare al lettore una sintesi sulle conoscenze attuali della malattia, riportando i limiti e i vantaggi delle nuove terapie, ma anche su come la malattia è stata vista in passato. Alla luce di quanto detto prima, oltre agli interventi previsti dalla ricerca scientifica, bisogna nell’immediato ampliare lo sforzo preventivo correggendo gli stili di vita individuali e intervenendo sui fattori di rischio ambientali che rappresentano una parte importante dei fattori di rischio noti. Infine, gli interventi nel campo della ricerca dovrebbero considerare una buona quota di finanziamenti che vadano a premiare idee e progetti fuori dal paradigma dominante. Se non si rischia, per dirla alla Thomas Kuhn, non si innescano rivoluzioni scientifiche».  

C’è una predisposizione genetica al cancro? Quanto questa è influente rispetto allo stile di vita che facciamo e alla qualità dell’ambiente in cui viviamo?

«Questa è una domanda chiave in cancerologia. Il libro dedica una parte ampia di discussione prendendo spunto dal recente lavoro di Tomasetti-Vogelstein, pubblicato sulla rivista Science, affrontando la questione aperta da questi autori se il cancro non fosse la risultante del “caso e/o della sfortuna”. Il lavoro di questi autori ha sollevato molte polemiche nel dibattito scientifico sul ruolo dei fattori stocastici nel determinismo del cancro. Infatti, il loro lavoro rivendica che la maggior parte dei tumori è dovuta “al caso” o alla “cattiva sorte” (bad luck), minimizzando così il ruolo dei fattori ambientali e dello stile di vita. Tuttavia, altri ricercatori della Stony Brook University guidati da Yusuf Hannun, riesaminando gli stessi dati di Tomasetti e Vogelstein, hanno in seguito mostrato, in uno studio pubblicato sulla rivista Nature, che l’ambiente e i nostri comportamenti contribuiscono per circa l’80% allo sviluppo del cancro, con un apporto sostanziale dei fattori di rischio estrinseci. Confermando quello che è noto da tempo sul ruolo determinante dei fattori ambientali nella cancerogenesi, pur non trascurando una parte (minore) di casi in cui la familiarità ed una certa predisposizione individuale sono fattori importanti. Da ciò si evince che la discussione in questo campo è ancora aperta e che comunque il ruolo dei fattori ambientali e dello stile di vita è determinante nella stragrande maggioranza dei tumori».  

Il libro è sicuramente pieno di spunti di riflessioni, ma anche di teorie. Quand’è che una teoria diventa realizzabile nella pratica?

Paradossalmente mai! Ciò rappresenterebbe l’estinzione di una teoria. Come sostiene il filosofo della scienza Karl Popper, bisogna distinguere tra teorie scientifiche e teorie non scientifiche. Se un esperimento, un’osservazione, un risultato, eccetera, non falsifica una teoria non può far altro che corroborarla. Ciò non ne implica la verità ma solo la sua temporanea capacità di sostenere le informazioni a favore di una certa realtà. Per Popper dunque le teorie per essere scientifiche devono poter essere confutate e mai confermate in maniera definitiva».

Dopo i suoi lunghi studi quale pensa che sia la strada da percorrere nel
caso di una malattia così complessa?

«Le strade che si possono percorrere sono diverse e si può essere incisivi a vari livelli, dagli approcci sperimentali a quelli terapeutici. Dal punto di vista sperimentale, per esempio, bisognerebbe adottare un approccio sistemico-integrato non relegando tutto al riduzionismo che rimane comunque utile per l’acquisizione di conoscenze. Dal punto di vista terapeutico, per esempio, nel tentativo di eradicare il cancro in tutti i casi e a tutti i costi utilizziamo spesso protocolli con terapie ad alte dosi, una sorta di artiglieria pesante. Così facendo spesso causiamo il fenomeno della resistenza ai farmaci, la quale si accompagna al fatto che la malattia non risponde più a nessun trattamento. Una finalità molto più auspicabile sarebbe invece quella di cronicizzare la malattia rallentando il più possibile la sua progressione, utilizzando per esempio terapie adattive o metronomiche che consistono nell’impiegare farmaci a più bassi dosaggi ed intervallandoli adeguatamente sulla base di precisi algoritmi. Il libro offre degli spunti in questa direzione che alcuni autori hanno già intrapreso». 

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