Il disastro del Vajont

1917 Le vittime di questa tragedia, millenovecentodiciassette, migliaia i feriti, non calcolabili gli sfollati…Una tragedia annunciata? forse. Sicuramente una tragedia italiana, come al solito, senza veri colpevoli.

Maria Catalano Fiore

Era il 9 ottobre del 1963, ricordo bene quel giorno e le giornate seguenti. Ero piccola, in prima elementare, ma ricordo le suore, nella scuola che frequentavo tutte concitate… poi tutti in preghiera per la “gente del Vajont”. Non capivo molto, ma era qualcosa di brutto, qualcosa successo nella notte, poi, a casa, in Tv, le prime terribili immagini di fango, paesi interi spazzati via da una ondata di acqua e fango. La gente vagava nel fango cercando qualcuno, qualcosa, una traccia della sua casa.

Immagini difficili da dimenticare, riviste poi anno dopo anno sino nell’oblio generale.

Cosa è successo realmente? Un bilancio terribile: 1917 morti, tra cui 487 bambini, 1300 dispersi, migliaia di feriti, di sfollati, tre paesi e vari agglomerati rurali spazzati via dalla furia dell’acqua.

Il Vajont è un fiume, affluente del fiume Piave, che scorre nelle Dolomiti, tra Friuli e Veneto. Nei secoli, questo corso d’acqua ha scavato una suggestiva gola stretta e profonda, la “gola del Vajont”, tra due montagne, il monte Toc e il monte Salta. Sulle pendici del monte Salta due comunità montane, racchiuse nel comune di Erto e Casso, mentre più a valle vi è la cittadina di Longarone.

Una targa, sul costone della diga, ricorda la data

Il “Disastro del Vajont” si verifica la notte del 9 ottobre 1963. Nel neo bacino idrico, artificiale, del torrente Vajont, precipita una frana dal pendio del monte Toc. La conseguente violenta tracimazione dell’acqua coinvolge prima i borghi di Erto e Casso, poi l’inondazione e distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone.

Vajont: schema geologico della frana

Un primo approccio all’edificazione di un bacino idroelettrico avviene tra il 1926 ed il 1929, ad opera dell’ing. Carlo Semenza, che pubblica il rapporto: “La diga del Vajont” in “l’industria italiana del cemento” , Roma anno XXXI, ma il progetto non ha seguito. Un nuovo progetto viene presentato nel 1937 con relativa relazione geologica di Giorgio Dal Paz, ma con il sopraggiungere del secondo conflitto mondiale la proposta viene archiviata.

Nel 1948 viene data la concessione per i lavori (D.P.R. nr.729 del 21 marzo 1948) alla SADE, azienda elettrica privata. La costruzione della diga prevedeva l’abbandono forzato di abitazioni e terreni produttivi. La gente si ribella, inascoltata, i vecchi montanari preannunciano il collasso della montagna. A metà degli anni 50 cominciano i primi espropri fondiari e la preparazione del cantiere. I lavori cominciano nel 1956, il progetto è approvato solo nel 1957. La diga, inaugurata nel 1961, è molto più alta del progetto iniziale controllato da geologi.

Le cause della, preannunciata tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi, opere di letteratura, sono state ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell’opera, per aver occultato i saggi idrogeologici sul bacino e la sua collocazione.

Già all’epoca della sua costruzione sono note sia la sua fragilità morfologica che le preesistenze giurassiche nel terreno calcareo, ma questi problemi sono coperti con palese dolosità.

La cittadina di Longrone, prima e dopo la tragedia

La diga regge, quindi non è colpa dei progettisti, ma è la spinta della massa d’acqua straripata, a seguito del collasso del monte, sul versante del bacino, a determinare la tragedia.

Longarone: foto scattata il gg. 10 ottobre 1963

Dal tragico evento che ha cambiato per sempre la geografia di quei luoghi, sono passati 59 anni. E’ stato calcolato che dalle pendici del monte si stacca una frana di 50 milioni di metri cubi di materiale solido, tale da sollevare un’onda alta 230 metri composta da acqua e materiali vari che si riversa sino alla sottostante valle del Piave.

Dalle testimonianze gli abitanti sopravvissuti: “C’era un vento sempre più forte, che portava una nuvola nebulizzata di goccioline, tra un crescendo di rumori, ci siamo, in parte, resi conto di ciò che stava per accadere, ma ormai era troppo tardi, non si poteva più scappare. Nel pomeriggio alcuni alberi erano caduti, gli animali erano agitati, gli uccelli scomparsi…“. Un geometra: Giancarlo Rittmeyer, alle 22.00 telefona, alla sede di Venezia, per esprimere la sua preoccupazione. Tutto inutile, 39 minuti dopo lo stesso geometra viene travolto dalle acque. La devastazione è così potente da intaccare per sempre, anche i monti vicini.

Un’immagine di desolazione e disperazione

l’Europa si è schierata per celebrarne il sessantesimo, nel 2023. Stamattina il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha dichiarato: “E’ una ferita aperta nella carne della nostra terra. Una ferita che ci impedisce di dimenticare quegli uomini, donne e bambini che in un attimo hanno perso la vita”.

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