Trent’anni da Capaci

Identificati esecutori materiali e mandanti intermedi. Sui mandanti che contano nessuna certezza

Gianvito Pugliese

Tutte le commemorazioni, tutto ciò che si è fatto per ricordare il sacrificio e prima ancora la via da fedele e prezioso servitore dello stato di Giovanni Falcone. non può che vederci grati e favorevoli,

Ma non è facile dimenticare che sono passati trent’anni e, non solo non sono stati trovati e, quantomeno, incriminati i mandanti che contano, i potenti del 4 livello, quelli che Buscetta si rifiutò di rivelare a Falcone, precisandogli che fare quei nomi e conoscerli sarebbe costata la vita sia al delatore che a chi li avesse appresi.

Ma vi è in questa tragedia qualcosa che stride e che fa davvero male, oltre a fare il paio con l’agenda di Paolo Borsellino, sparita dalla scena del delitto dell’attentato di Via d’Amelio.

L’esplosione tremenda sull’autostrada Punta Raisi-Palermo, all’altezza di Capac,i fu avvertita da un fotografo del luogo che, inforcata la sua Vespa, se non erro, comunque un motociclo, si precipitò verso il luogo della strage e vi giunse praticamente per primo. Stava fotografando quando un uomo della scorta di Falcone sopravvissuto, credendolo un sicario venuto a completare l’opera, gli puntò contro la mitraglietta scambiando la macchina fotografica per un’arma. Chiarito l’equivoco, riprese a fotografare finché non sopraggiunsero gli inquirenti. Un carabiniere gli intimò di consegnare il rollino di foto scattate.

Trascorsi gli anni e non vedendo le sue foto allegate agli atti del processo, il nostro fotografo chiese spiegazioni al Questore di Palermo. Quest’ultimo lo invitò a non far clamore sulla storia e gli riferì che il rollino sarebbe stato, dapprima dimenticato in un cassetto, e poi sarebbe scomparso, forse buttato via inavvertitamente.

La scusa è troppo banale per poter essere creduta. E’ giusto chiedersi allora cosa l’obiettivo del fotografo riprese ed immortalò che nessuno doveva vedere. L’occhio del fotografo era monopolizzato dalle auto distrutte, dai corpi dilaniati, ma la macchina fotografica non ha sentimenti riprende anche gli sfondi delle scene e molto probabilmente sullo sfondo si vedono personaggi semi nascosti che spiavano la scena per eventualmente intervenire, se necessario, per chiudere la partita, completando gli assassini. E non è esclusa la presenza sul luogo, non dei mandanti del 4° livello, ma di qualche loro emissario, presente per controllare e riferire.

Dal controllore risalire ai mandanti non sarebbe stato impossibile. Certo sto solo tirando deduzioni, che potrebbero anche non aver colto nel segno, ma certamente assai più credibili ed attendibili della versione del Questore di Palermo.

A Capaci scompare un rollino ed a via d’Amelio scompare l’agenda di Paolo Borsellino. Dicono con certezza una sola cosa: tra gli investigatori, forze dell’ordine e magistrati, non erano pochi quelli che non solo non fecero nulla per scoprire i mandanti, ma li coprirono e forse li coprono ancora. Se così non fosse non si comprenderebbero le parole del giudice Roberto Scarpinato, che indagò su quei delitti, e che fa capire che sospetti sui mandanti ci sono, ma che al momento non c’è ancora nessuna prova per poterli incriminare.

E tutto questo porta ad una sola conclusione: Falcone prima e Borsellino poi, furono lasciati soli da una grossa fetta di quello Stato che avrebbe dovuto proteggerli e che invece li condannò a morte, anche solo abbandonandoli a se stessi. Una verità scomoda ed inquietante, che però ci opprime e ci perseguita immutata da tanto, troppo tempo.

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