Giorno 356

La grande offensiva russa, minacciata e forse già avviata, registra perdite “disastrose” e non riesce a conquistare neanche Bakhmut. La vera grande offensiva è quella mediatica ed in Italia i minions (in copertina) sono particolarmente attivi e combattivi.

Orio Giorgio Stirpe

Uno dei pochi dibattiti seri fra gli specialisti in questo momento, è se la grande offensiva russa stia per iniziare, oppure se sia in effetti già in atto.

Quando è che una tempesta diventa uragano?

Naturalmente è questione di convenzioni, altrimenti, si rimane in ambito soggettivo. In meteorologia esistono stadi ben precisi di giudizio basati sulla velocità del vento, che consentono una definizione oggettiva; in arte militare la distinzione fra un attacco e un’offensiva rimane vaga, legata ad aspetti più qualitativi che quantitativi (l’attacco è un atto tattico mentre l’offensiva è una postura operativa), che ci rimandano alla vecchia storia per cui l’arte militare è – appunto – un’arte e non una scienza e pertanto non può essere definita e regolata in maniera troppo esatta.

Fra l’altro un’offensiva non funziona come nei film, con il generale che dà cerimoniosamente il “via”: segue numerose fasi di sviluppo concettuale, organizzativo ed esecutivo, ed anche la fase condotta inizia per stadi successivi, che prevedono fra l’altro una serie di attività preparatorie.

La dottrina occidentale per esempio prevede inizialmente lo “shaping”: una serie di azioni più o meno cinetiche che “ammorbidiscono” l’avversario prima che le manovre offensive vere e proprie abbiano inizio. Queste azioni includono il pre-posizionamento dei dispositivi sia tattici che logistici, l’acquisizione della superiorità aerea e il Targeting intensivo contro gli obiettivi selezionati a priori.

Anche la dottrina russa prevede una sorta di “shaping”, che include oltre alla nota intensa preparazione di artiglieria – spesso però indistinguibile dalla normale attività di attrito lungo il fronte – una approfondita ed efficace campagna ibrida per indebolire il morale avversario. Sono settimane che sentiamo parlare di questa nuova, travolgente offensiva che dovrebbe annientare l’Ucraina rovesciando Zelensky e obbligando il suo successore ad un armistizio che lasci i territori occupati alla Russia indefinitamente… E i minions nostrani hanno convenientemente fatto da cassa di risonanza di queste affermazioni, riempiendo i social di previsioni sull’”inevitabilità” della vittoria russa, dovuta come al solito all’infinita supposta disponibilità di risorse a disposizione di Putin e contrapposta agli apparenti enormi problemi ucraini in termini di più o meno tutto. Perfino i noti gravissimi guai della mobilitazione russa sono stati rovesciati, trasformandosi nei gravi problemi ucraini nel reperire personale.

Ora, non è che l’Ucraina non abbia i suoi problemi: la campagna anti-corruzione lanciata da Zelensky in supporto alle sue ambizioni europee e le misure contro i renitenti alla leva (assolutamente normali in un Paese in guerra ma ovviamente non in linea con le normali prassi democratiche di uno in pace) offrono ovviamente il fianco a questo tipo di azione ibrida, e l’incapacità occidentale di fornire una voce univoca e soprattutto chiara sugli aiuti militari in atto contribuisce a farli apparire inadeguati. Sta di fatto che lo “shaping” russo per la “grande offensiva” d’inverno è in atto da tempo e che adesso più che prepararla la sta accompagnando.

La dottrina russa prevede che un’offensiva in fase condotta passi attraverso diversi stadi, attivati da attori differenti. Il primo “scaglione tattico” conduce un assalto frontale lungo un fronte piuttosto ampio, ingaggiando più forze nemiche possibili e saggiando diversi assi di attacco per individuare un punto debole; il secondo scaglione invece viene lanciato interamente contro il punto debole che si è individuato, vi pratica un varco e lo occupa acquisendo un primo obiettivo importante ma relativamente ravvicinato. Un terzo scaglione, con funzione di riserva, viene impiegato alternativamente per alimentare lo sforzo del secondo, per parare eventuali contrattacchi avversari, e/o per proseguire in profondità verso l’obiettivo successivo, posto maggiormente in profondità.

Con tutta probabilità abbiamo recentemente assistito nell’ultima settimana al primo stadio dell’offensiva promessa: abbiamo infatti visto una serie di assalti frontali condotti con estrema veemenza lungo tutto il fronte che investe il Donbas, e in particolare nelle zone di Kremina, a nord e a sud di Bakhmut e nella zona di Vuhledar.

Vista l’entità delle forze impiegate – per esempio nel solo attacco a Vuhledar sono state impegnate in ondate successive otto Brigate – non credo ci siano dubbi sul fatto che non si tratti di una finta o di un tentativo di “fissaggio”, quanto di un attacco in piena regola condotto con il massimo impegno nell’intento di conseguire un risultato importante.

Naturalmente dal punto di vista giornalistico possiamo scegliere di definire l’inizio della “Grande Offensiva” con l’impiego del secondo “scaglione tattico” nel varco identificato dal primo, e allora in questo caso potremmo dire che l’offensiva deve ancora avere inizio.

Ora il fatto è che nell’ultima settimana il fronte non è che si sia spostato di molto: è la ragione per cui finora mi sono astenuto dal fare commenti sulle operazioni in atto, visto che non ci sono risultati da commentare.

Questo significa che almeno finora il primo “scaglione tattico” NON ha individuato un punto debole sfruttabile dal secondo. Solo che per cercare di trovarlo ha dissipato un potenziale offensivo notevole, accumulato con fatica attraverso la famosa “mobilitazione parziale” d’autunno. I minions naturalmente protesteranno che si tratta di propaganda occidentale, ma tanto le fonti intelligence (aperte) occidentali che quelle indipendenti come ONYX, ma pure i MilBlogger russi, concordano sul fatto che negli ultimi quindici giorni abbiamo visto le perdite russe più elevate da febbraio scorso (quando a causa dell’inadeguatezza del piano operativo iniziale le perdite dei primi giorni furono folli), e che queste sembrano dovute fondamentalmente all’inadeguatezza tanto dei Comandi tattici (cioè di plotone, compagnia, battaglione e Brigata) che degli stessi soldati, che sconterebbero tutti un addestramento assolutamente insufficiente.

Abbiamo parlato estensivamente del problema principale dell’esercito russo: le gravissime perdite subite nei primi mesi e che hanno letteralmente distrutto l’esercito professionale russo determinando l’inevitabilità della mobilitazione, hanno colpito anche e soprattutto i quadri (ufficiali e sergenti), per cui i mobilitati non solo non ricevono addestramento a causa della mancanza di istruttori, ma soprattutto vengono inquadrati e comandati da personale che fino a poche settimane fa ricopriva posizioni non di inquadramento o di Comando. Il risultato non è solo un addestramento scarso, ma soprattutto una capacità di Comando e Controllo del tutto insufficiente, per cui le manovre sul campo risultano erratiche, scoordinate ed assolutamente basiche: tali cioè da provocare perdite elevate in cambio di risultati irrisori.

Tanto a Kremina che a Vuhledar l’esito degli attacchi preliminari appare semplicemente disastroso: per l’appunto, perdite elevate in cambio di risultati irrisori. Il tentativo di travolgere il Donbas partendo dalle “ali”, quindi non ci sarà.

Non sorprende come l’unico punto in cui i russi abbiano ottenuto qualche risultato sia, ancora una volta, intorno a Bakhmut: in questo settore – guarda caso, sempre l’unico in prossimità di un terminale ferroviario che consenta il rapido rifornimento di munizionamento di artiglieria – si sono registrate modeste penetrazioni di qualche chilometro… Anche se ovviamente Bakhmut stessa (che “sta per cadere” ormai da diversi mesi) è ancora in mano ucraina.

Dobbiamo quindi aspettarci l’immissione del “secondo scaglione tattico” nel settore di Bakhmut?

Un’avanzata di qualche chilometro non indica esattamente un “punto debole”, e tantomeno uno “sfondamento”, ma è sicuramente meglio di quanto visto altrove, quindi è probabile.

Le previsioni meteorologiche non sono favorevoli ad operazioni manovrate in profondità a marzo, e l’imminente arrivo dei razzi americani da 150 Km di gittata rischia di ridurre di molto il rateo di fuoco dell’artiglieria russa, quindi se l’orso Vladimiro spera di conseguire qualche risultato dovrà sbrigarsi.

Solo che a questo punto il massimo che può sperare di ottenere dalla sua “grande offensiva”, è riuscire una buona volta a prendere Bakhmut.

Una soddisfazione…

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