Giorno 285

In copertina l’incontro a Parigi di Zelenskiy con Putin

Orio Giorgio Stirpe

Esaminata la situazione psicologica dell’Ucraina, dei suoi abitanti e dei suoi soldati – che vedo assolutamente propedeutica per comprendere non solo i successi riportati sul campo e la resilienza dimostrata dalla popolazione – bisogna adesso riportare la nostra attenzione sulla Russia per cercare di capire in quale posizione si trovino il Regime e la sua popolazione… Questo per mettere a fuoco soprattutto il differente approccio negoziale e quindi per tornare a scrutare l’orizzonte futuro.

Come abbiamo visto, l’Ucraina è abbondantemente oltre la “soglia del dolore”, per cui la popolazione ha ormai superato il momento della scelta drammatica del “flight or fight” (scappa o combatti): le sofferenze patite sono ormai tali da esigere giustizia ad ogni costo, ed anche la minaccia nucleare non può più smuovere esercito e popolazione dalla volontà non tanto di resistere, quanto di riconquistare tutti i territori occupati, soprattutto nel momento in cui la vittoria militare appare a portata.

Tutto questo però non è vero per la Russia.

La Federazione Russa, forte delle sue dimensioni territoriali, demografiche ed economiche, non è ancora stata colpita altrettanto brutalmente dell’Ucraina dalla violenza del conflitto. Anche se le sanzioni occidentali hanno danneggiato duramente l’economia del Paese, i loro effetti sono a lungo termine e non sono ancora arrivati a colpire direttamente la gente in maniera tale da generare lo shock che porta alla scelta “flight o fight”: le condizioni generali di vita si sono degradate in diversi settori, ma sostanzialmente le persone proseguono la loro vita come sempre… A meno di chi rischia la mobilitazione.

Il Regime russo domina su una Nazione da sempre usa ad un dispotismo più o meno illuminato, e la gente è abituata a subire ed accettare le decisioni del Governo, almeno fintanto che questo garantisce condizioni di vita generalmente considerate accettabili dalle varie fasce della collettività. Il patto sociale è tale per cui la vasta maggioranza della popolazione non interferisce nelle decisioni governative e mantiene il suo supporto al Regime fintanto che questo fa “il suo lavoro”. In sostanza quella che noi chiamiamo la “maggioranza silenziosa” sostiene il Regime in maniera passiva ma costante, fra due frange estreme che potremmo definire una “dissidente” e l’altra “patriottica”, entrambe largamente minoritarie.

Un’ottima similitudine è quella della campagna siciliana nella prima metà del secolo scorso, dove le masse contadine subivano la mafia senza ribellarsi, tollerandone gli abusi purché non fossero esagerati, a fronte di una esigua minoranza decisa a scrollarsela di dosso e ad un’altra ancora più piccola ma violenta che invece provvedeva ad alimentarla.

La differenza fondamentale rispetto all’analogia mafiosa è rappresentata dalla propaganda pervasiva, che mantiene vivo il tradizionale spirito nazionalista che unisce i russi di fronte ad un mondo esterno percepito come perennemente ostile, “russofobico” e permeato da un “nazismo” latente o manifesto da cui difendersi appunto attraverso un Regime magari autocratico ma comunque capace di vincere.

Questa propaganda ha garantito il sostegno al Regime non solo durante gli anni della nuova “guerra fredda” con l’Occidente iniziata nel 2008 con l’aggressione alla Georgia, ma anche durante i primi mesi di quella “calda” in Ucraina. Questo però dipendeva appunto dalla natura del “patto” secondo cui la maggioranza silenziosa delega tutte le decisioni, l’autorità e le responsabilità al regime, a patto che questo “faccia il suo lavoro” senza mettere a rischio la relativa sicurezza e prosperità da essa raggiunte.

In sostanza quindi il Regime aveva il sostegno popolare nella sua guerra, purché questo riuscisse a vincerla con le proprie forze: cioè attraverso le sue costose Forze Armate semi-professioniste.

La guerra però – per una serie di ragioni già esaminate in precedenza – non è andata come prefigurato dal Regime, ed ha condotto prima alla precipitosa ritirata da Kyiv e poi al sanguinoso fallimento dell’offensiva nel Donbass. L’Occidente che ci si immaginava colto di sorpresa e incapace di reagire con prontezza e unità di intenti ha invece avuto il tempo di riprendersi e di organizzarsi, avviando prima la più grande campagna di guerra economica della Storia e poi un aggressivo programma di assistenza militare all’Ucraina che ha ribaltato i rapporti di forza sul campo costringendo le decimate forze russe su un’umiliante difensiva di fronte a quello che era stato inizialmente presentato come un avversario di infima qualità, se non addirittura non esistente.

Questo rovescio politico e diplomatico di fronte al mondo ha messo il Regime con le spalle al muro. Il danno fisico non è ancora tale da metterlo a rischio, ma quello di immagine è esiziale: di fatto, dopo aver scatenato una guerra di aggressione che doveva essere simile a quella per la repressione della “Primavera di Praga” e averla vista con orrore trasformarsi in una guerra assolutamente simmetrica e ad alta intensità come non se ne vedevano in Europa dal 1945, la “Seconda Potenza Militare” del mondo non poteva più piegarsi ad una soluzione negoziale che non vedesse riconosciuti tutti i suoi obbiettivi dichiarati.

Il Regime, di fatto, si è ritrovato a sua volta al di là della propria “soglia del dolore”.

Messo militarmente in scacco dall’esercito di una Nazione di cui si rifiuta di accettare il pieno diritto di esistere e da un Occidente che non è neppure veramente sceso in campo, Putin ormai non può più guardare al costo della sua guerra: deve assolutamente ottenere “giustizia” davanti alla storia.

Il suo problema però, è che – proprio a causa della natura del suo Regime – ad oltrepassare la “soglia del dolore (o nel suo caso, dell’umiliazione)” è stato solo lui, e non la Russia nel suo insieme. Mentre infatti l’esercito semi-professionale russo falliva il compito affidatogli dal suo Presidente-Autocrate, la popolazione proseguiva la sua vita normale, estraniata dalla realtà del conflitto ad opera della stessa propaganda che l’aveva spinta ad accettarla con tiepido entusiasmo; il raggiungimento della vittoria era compito del Regime e delle risorse da esso già raccolte, mentre il ruolo della società russa era semplicemente quello di sopportare le sanzioni e proseguire con la sua vita normale nella fiducia che i successi promessi sarebbero stati raggiunti.

Inizialmente, Putin si era mantenuto fedele al suo ruolo di “piccolo padre” cercando di rispettare il patto sociale del Regime, rifiutando di ordinare la mobilitazione anche quando era militarmente evidente che questa fosse necessaria e addirittura urgente. Ma quando ha superato la “sua” soglia del dolore e l’ansia di ottenere giustizia per il suo ruolo di condottiero ha travalicato ogni altra considerazione di ragionevolezza, ha dato l’ordine che ha cambiato la natura del conflitto.

La guerra per gli ucraini aveva già un carattere “totale” dai primissimi giorni, quando di fronte all’inaudita ed inaspettata violenza subita l’intera società nazionale si era unita con la ferma volontà di resistere all’aggressione: Governo, esercito e popolazione erano stretti intorno allo stesso obbiettivo e con la stessa determinazione, resa evidente dall’assoluta mancanza di dimostrazioni o anche solo di voci di dissenso verso una guerra vissuta come un autentico Risorgimento nazionale.

Per i russi però fino all’ordine di mobilitazione la guerra era stata un conflitto limitato. Quando quest’ordine è giunto, del tutto inaspettato per i più, la popolazione era ancora molto lontana dalla “soglia del dolore”, e di fronte al test “flight or fight” ha largamente optato per la fuga (oltre due milioni di espatriati) o tutt’al più per la resistenza passiva. I volontari agli uffici di reclutamento sono stati ben pochi a dispetto dei vantaggi economici offerti, e le reclute in base agli stessi media russi dimostrano una generale motivazione al combattimento bassissima e un morale disastroso.

Insomma: l’orso Vladimiro si vede con le spalle al muro come il suo famoso topo d’infanzia, ed è disposto a lottare fino alla fine per difendere il suo Regime; ma la popolazione russa non la vede assolutamente come lui, tanto è vero che secondo i rilevamenti demoscopici degli stessi russi, rivelati da Meduza, ormai oltre il 55% dell’opinione pubblica si esprime per trattative diplomatiche con gli ucraini, e meno del 20% per una prosecuzione dell’“operazione militare speciale” ad oltranza.

La famosa “maggioranza silenziosa” passiva ma sostanzialmente fedele al Regime sta vedendo il suo patto sociale compromesso da un Presidente-Autocrate che non sembra più in grado di “fare il suo lavoro” con i propri mezzi e richiede adesso il sacrificio diretto dello stesso popolo che aveva la responsabilità di mantenere al sicuro.

Inevitabilmente, le reclute mobilitate da questa stessa popolazione risultano assai meno motivate a impegnarsi rispetto a quelle richiamate da un’Ucraina unita nella sua decisione di combattere fino in fondo.

Non siamo ancora alla rivolta contro il Regime. Ma quella che per l’orso Vladimiro è ormai una Guerra Totale, non lo è per il suo popolo.

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